Pastori in pasto ai lupi
1 Settembre 2010Pierluigi Carta
Il Movimento dei Pastori Sardi si è fatto sentire di nuovo il 27 luglio a Porto Rotondo, bloccando il centro della cittadina turistica del nord Sardegna. Il cuore di una delle roccaforti del turismo mainstream è rimasto bloccato per alcune ore, tanto il fastidio per gli autoctoni di importazione. Attempati e più giovani hanno rinunciato a qualche ora di mare o a qualche rendez-vous mondano per lasciare spazio al corteo dell’MPS che con i suoi campanacci e la sua voce ha portato una ventata di realtà sarda in un tratto di terra che di Sardegna non ha che il nome. Il clima è rimasto sereno e i manifestanti hanno riscosso la solidarietà o quantomeno la curiosità degli abitanti part-time.
Il leader del Movimento Felice Floris ha già annunciato la prossima tappa. Se non si otterranno risposte entro breve lo scenario della protesta sarà Cagliari, dove la tavola rotonda tra Governatore, Assessore, Coldiretti e caseari si è conclusa con un’altra promessa: lavorare uniti con l’UE. Ugo Cappellacci dice di condividere la piattaforma della Coldiretti presentata a Cagliari dal presidente regionale Sergio Marini e vuole trovare tutti gli strumenti utili per risolvere i problemi del comparto. Ma sono gli esponenti del comparto, i manifestanti dell’MPS a non condividere l’azione della Coldiretti e delle rappresentanze sindacali, esprimendo la volontà di partecipare in prima persona al tavolo delle trattative.
Così afferma Santuccio Posadinu, un allevatore di Nulvi, accompagnato dal parroco del paese e da altri manifestanti, raccolti all’ombra di un bar sulla strada della manifestazione, poco lontano dal porticciolo:
“Questa è una manifestazione spontanea, per rivendicare la dignità del nostro lavoro e per farci sentire anche contro le organizzazioni, come la Coldiretti, la Cia e la Confagricoltura, che ci hanno dato in pasto ai lupi della politica, tralasciando la salvaguardia dei nostri interessi.”.
La presenza del parroco, sottolineano, è indicativa di come questa crisi del settore tocchi tutta la società –”Anche la chiesa è colpita dal problema e pertanto deve agire attivamente, perché se è il gregge a soffrire, il pastore non può uscirne indenne, e bisogna capire che se il settore pastorale non riuscisse a risollevarsi dalla crisi, l’intera economia sarda cadrebbe in ginocchio”.
Le rivendicazioni dei manifestanti si risolvono in una richiesta di aumento del prezzo di vendita del latte pecorino, aumentandolo da 55 cent. a minimo 90 cent. in modo tale da rendere superflue le contribuzioni europee, che apportano al massimo un sostegno di 2 cent. per litro prodotto, e pretendono il riconoscimento identitario e l’identificazione della provenienza geografica della produzione, per valorizzare il territorio e i produttori. Un punto dolente è l’importazione del latte dall’estero per il cagliamento e la trasformazione effettuata in Sardegna. Il prodotto finito viene poi etichettato come produzione sarda e conosciuto come tale in Italia e in Europa.
“È anche questione di dignità– affermano –l’aria, la terra e l’erba cambia da regione a regione, è ovvio che cambi anche il prodotto finito, e il nostro non ha nulla da spartire con un formaggio siciliano, laziale o olandese”.
Raffaele Mattu, un allevatore dell’Oristanese membro della cooperativa di Siamanna, ci parla della situazione economica della maggior parte dei pastori sardi: “molti di loro sono in procinto di abbandonare tutto, il lavoro del pastore non paga più; 55 cent. a litro prodotto non è sufficiente neppure a pagare i costi di produzione, lasciando scoperto il costo della manodopera, le politiche di sostegno non sono adeguate alla condizione attuale del settore”.
Egli afferma che la Sardegna è infatti penalizzata rispetto alle altre regioni italiane, e i contributi che riceve sono irrisori data la propria condizione svantaggiata. L’aridità comporta costi di irrigazione maggiori e l’insularità fa si che le spese per i macchinari, i medicinali e i mangimi risultino maggiorati rispetto alle altre realtà. Nella nostra vicina, la Corsica, che presenta un’affinità di condizioni, il latte di pecora si vende a 1.20 € al litro. “Questo basterebbe a far riprendere respiro all’intero settore” aggiunge.
L’allevatore sostiene che venticinque anni fa il latte era più pagato di oggi, se si fa il rapporto tra i costi dei dipendenti, dei concimi, macchinari e medicinali vari, i quali sono raddoppiati, e il prezzo del prodotto che è rimasto inalterato. L’analisi dei fatti illustra una situazione intollerabile e i pastori minacciano una serrata, condannando una morte totale dell’indotto, risparmiando una lenta agonia di tutti i rappresentanti della filiera lattiera. “Per ogni azienda in carne o in latte presente in Sardegna, il prodotto dà lavoro ad un gran numero di attori, come l’Ersat, la ASL, i caseifici presenti sul territorio e i vari consorzi- conclude – e molte di queste aziende stanno per morire, a quel punto il danno economico e sociale comprometterebbe un pilastro fondante della nostra economia”.
Per il momento il movimento è spinto da una necessità stringente che costringe i pastori ad un’azione coesa e determinata, per la difesa e salvezza del settore che tradizionalmente costituisce uno dei tessuti connettivi della Sardegna.