La caparra e il pecorino

16 Settembre 2010

pecore_sardegna

Pier Luigi Carta

“La crisi – ha detto l’Assessore Andrea Prato in sede di Commissione delle Politiche Agricole l’8 settembre a Roma – e’ sempre più insostenibile, con una perdita netta nella vendita di Pecorino Romano sia in termini di quantità che di valore. In Sardegna ora c’e’ il rischio concreto di chiusura da parte di diverse cooperative a causa delle enormi eccedenze di Romano previste per ottobre (60 milioni di quintali). Ciò causerebbe un effetto dumping ancora più drammatico del prezzo del latte in Sardegna, ma anche nelle altre regioni produttrici che acquisterebbero latte sardo a prezzi ridicoli. Parliamo –ha detto l’assessore- della possibilità di ritrovarci 40-60 milioni di litri di latte ovino senza padrone, che rischiano di finire sul mercato a prezzi stracciati”. E’ quanto sta già accadendo in Sicilia dove il prezzo e’ sceso a 34 centesimi. il confronto con le altre Regioni è fondamentale, anche se la Sardegna resta sfavorita per la sua condizione insulare –e anche per l’inefficacia dell’azione della sua giunta. Il 9 settembre è stato avviato il tavolo tecnico al ministero delle Politiche agricole per garantire da una parte strumenti di sostegno immediato, dall’altra per fare in modo che in futuro questa situazione non si ripeta.

Alla manifestazione di Venerdì 10 a Cagliari, davanti al palazzo della Regione, il Presidente regionale della Coldiretti, Marco Scalas, circondato da giornalisti, ha parlato di lotta fino alla vittoria, di valorizzazione del prodotto, dell’importanza di un movimento unico e della complessità di un problema che tocca non solo il settore ovicaprino, ma anche quello cerealicolo e quello idrico, in quanto -la Sardegna oggi deve affrontare tali sfide a 360 gradi-. La manifestazione almeno fino a lunedì è stata partecipata dalla Coldiretti, dalla CIA e da Copagri, nessuno del Movimento dei Pastori Sardi, i quali si son dati appuntamento martedì mattina davanti alla Fiera. Marco Scalas annuncia che il ministero ha altri dieci giorni lavorativi di tempo, poi la protesta continuerà a Roma con una presenza più ingente di allevatori, provenienti anche dalle altre regioni italiane in crisi. -Nel frattempo il nostro consiglio regionale- afferma –si sta svegliando dalle ferie, e a Roma non si è visto neppure Cappellacci, solamente l’Assessore Prato era presente, eppure la sua presenza sarebbe stata gradita-.

Gesuino Muledda è stato più dettagliato nel proporre soluzioni al problema, dirigente dei Rosso Mori ed ex Assessore Regionale all’Agricoltura, durante un’intervista telefonica illustra la piattaforma d’azione per salvare il settore pastorale sardo. –Chi compra latte compra pastore e chi vende latte vende pastore- inizia così il suo inciso, per evidenziare che non è accettabile che siano i soliti capipopolo e accaparratori di latte a rappresentare i pastori. –Qualsiasi intervento di sostegno al comparto che non ha ricaduta diretta sul prezzo del latte sarà controproducente o quantomeno inefficace- la sicurezza dei suoi argomenti e di come si giostra nell’esposizione sono accattivanti. Muledda mi spiega che il prezzo del latte lo fa chi detiene il prodotto, i pastori hanno la triplice possibilità di cederlo direttamente ai trasformatori industriali, alle cooperative o trasformarlo in privato, e in tal caso il prezzo è irrilevante, conta solo il prodotto finito. Nel caso delle cooperative si assume che il prodotto renda in base al bilancio di quest’ultima, minori saranno i costi e maggiore sarà il livello di vendite, maggiori saranno gli utili degli allevatori. Gli industriali invece sostengono di non esser loro a fare il prezzo, che esso è causa diretta del mercato, ma loro fanno parte del mercato quanto e più della domanda.

Già tempo fa durante un’assemblea dei pastori a Gavoi, Muledda ricordava che secondo uno studio dell’Università di Sassari, produrre un litro di latte costa 80 centesimi, e gli industriali intendono pagarne solo 60. Ciò vuole dire che i pastori dovrebbero finanziare gli industriali per 20 centesimi al litro. Dicono gli industriali che a dicembre il prezzo del pecorino romano era di 6,5 euro al chilo, a tale prezzo del formaggio quello del latte sarebbe dovuto essere di 90 centesimi minimo. La questione è chiarissima: quando il prezzo del formaggio sale, intasca l’industriale. Quando il prezzo del formaggio scende, paga sempre il pastore. Il prezzo del Pecorino Romano infatti fa da calmiere per la valutazione del prezzo a litro di tutta la produzione di latte pecorino, ma solo una parte di esso è destinato al Pecorino Romano, che rimane il formaggio ovino più economico. Negli ultimi 30 anni si è sviluppata infatti una grande diversificazione nella produzione ovina, di cui il pecorino è il formaggio più scadente.
-Questa dovrebbe essere la realizzazione economica del letto di Procuste– metafora mutuata da Muledda -se il pastore produce a 80 e gli pagano solo 60, il pastore è fottuto, praticamente deve pagare la quarta parte agli industriali per continuare a poter produrre-. Ciò comporta un attaccamento forzato all’assistenzialismo, sotto forma di contributi a fondo perduto di assistenza alla produzione e di integrazione al reddito.
Una delle possibili soluzioni secondo i Rosso Mori potrebbero essere le Organizzazioni di Prodotto che riunivano le cooperative di trasformazione, favorite dalla giunga Soru e ora demolite dalla mano degli industriali con buon gioco dell’odierna giunta. Il vantaggio dei produttori consiste nell’aggregare il prodotto e andare direttamente sul mercato, senza intermediazioni si potrebbe stabilire direttamente il prezzo a monte. Fino a poco tempo fa le OP di Ittiri, Guspini, Bortigali e Oschiri aggregavano fino al 50% del Pecorino Romano, ma oggi vengono martoriate con azioni di corruttela dilagante. Mentre oggi la Coldiretti, la Cia e i sindacati propongono azioni di Dumping del prodotto e di riconversione multifunzionale dei lavoratori, Felice Floris muove una cospicua parte degli allevatori con l’MPS, Muledda propone un tavolo di discussione con gli attori economici in questione e come commensali principali, i produttori, -perché non si fa democrazia senza i soggetti interessati.
Gesuino Muledda pone l’accento su una questione quasi tragica: –la desertificazione delle comunità rurali è un problema europeo, e la nostra isola non fa eccezione; l’odierna crisi del settore non farà che aggravare tale fenomeno. Se non si fa nulla per migliorare l’istruzione e l’amministrazione nei poli rurali, se il principio gramsciano non viene applicato, molti centri già ristretti, non tarderanno a scomparire.
Per concludere mi arrogo il privilegio di citare il carteggio del ’26 tra Gramsci e Lussu suggeritomi da Muledda, nel quale Lussu, parlando di Pili, un fascista sbarcato in America per commercializzare il Pecorino, scoraggia la riuscita degli affari in quanto già da allora i pastori non detenevano il prodotto, già requisito dagli industriali dietro concessione della caparra, e il prezzo era imposto sempre da loro, gli industriali. -Alla luce dei fatti –scriveva Lussu- non ci sarebbe stata un’evoluzione positiva.

1 Commento a “La caparra e il pecorino”

  1. Andrea Motzo scrive:

    Le ragioni degli allevatori non si discutono ma il problema è: come trovare la via d’uscita per iniziare ad intravvedere un po’ di luce nel buio più pesto che attraversa il settore da qualche anno a questa parte?
    dalle cifre non si risolverebbe neanche con un prezzo di 85 centesimi al litro dal momento che per produrlo si spende 65 centesimi al litro
    prezzo che farebbe zittire tutti e salvare la categoria.
    Bisogna invece iniziare a diversificare la destinazione puntando sul prodotto dop prodotto dagli stessi allevatori e allo stesso tempo diminuire la produzione. Se si rimane totalmente nelle mani degli industrialie dei politici ( vedi anche il prezzo degli agnelli ma anche della pecora da macello)
    il problema si ripeterà per sempre.
    Per finire dico solo che bisogna essere uniti, iniziare a valorizzare il prodotto
    abbassando drasticamente il costo di produzione, più qualità e meno quantità.
    In parole Sarde pinnigamos sos brazzos.

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