Un condottiero senza bussola
1 Maggio 2008
Marco Ligas
Walter Veltroni è convinto di aver conseguito un risultato ragguardevole, di aver dato al Partito Democratico una forza più consistente rispetto al 2006, di essere uscito dalla battaglia elettorale con le prerogative di una organizzazione politica moderna e sufficientemente attrezzata per affrontare un avversario temibile di cui rimuove la pericolosità per l’attacco sistematico che conduce contro la democrazia: per tutte queste ragioni mostra un ottimismo che è pari alla sua avventatezza.
Il modello americano che tanto lo ha appassionato è rimasto assai lontano dalle sue aspettative. La concentrazione delle diverse organizzazioni politiche in due soli partiti non è un processo che, nel nostro paese, possa realizzarsi attraverso semplificazioni o accelerazioni. Questa ipotesi, in realtà, è apparsa più funzionale al bisogno del Partito Democratico di ratificare, ostentandola, la separazione dalla sua identità del passato piuttosto che ad una esigenza della società italiana di realizzare un cambiamento così radicale. Insomma un altro tributo da pagare per l’entrata a tutti gli effetti nell’area dell’occidente più filoamericano. Che il bipartitismo poco si adatti alla nostra storia e alla nostra esperienza si coglie dalle distinzioni che già si manifestano all’interno dello stesso PDL, dove le rivendicazioni della Lega non sono certo in sintonia con quelle degli altri alleati. È pur vero che queste distinzioni saranno di volta in volta ricomposte, abile e consapevole com’è questa maggioranza nel serrare le fila per difendere la possibilità di governare per tutta la legislatura. Ma siamo comunque lontani dall’ipotesi di un bipartitismo ormai definitivo. E lo stesso PD, pur asciugato dalla presenza social comunista, non è estraneo alle conflittualità che derivano dall’eterogeneità ancora presente nella sua aggregazione.
L’avventatezza di Veltroni si coglie ancor più nel convincimento che la separazione dallo schieramento di sinistra lo rafforzi in termini di credibilità davanti al paese (meno litigiosità, meno estremismi, più buonismo, come ha detto ripetutamente durante la campagna elettorale) e di conseguenza gli offra maggiori possibilità di dialogo col suo avversario. È una cattiva illusione quest’ultima perché Berlusconi, nel corso di questi anni, ha mostrato come interpreti il confronto con i suoi avversari: temporeggiando quando si trova in difficoltà e usando per intero la sua arroganza quand’è in posizioni di supremazia. Nella situazione che si è determinata col voto del 13/14 aprile con lui non sembra possibile neppure un’intesa sulle riforme istituzionali o sulla cancellazione della legge elettorale, se non alle condizioni capestro che cercherà di imporre. La scelta del segretario del PD è dunque imperdonabile per aver diviso lo schieramento di sinistra cercando alleanze altrove, come se la debolezza del governo Prodi non fosse da individuare principalmente nella resistenza continua esercitata dalla componente più conservatrice dell’Unione. L’unica operazione sensata per realizzare un processo di rinnovamento nel nostro paese avrebbe dovuto escludere chi, nel governo Prodi, ha ostacolato la realizzazione del programma dell’Unione, a partire dai temi del lavoro, della difesa della democrazia e della laicità. Veltroni invece, da condottiero senza bussola, ha scelto la strada opposta e oggi, anziché individuare nelle forze sociali progressiste un soggetto fondamentale per il cambiamento, cerca di recuperare un rapporto privilegiato con l’UDC. C’è in questo orientamento un’ulteriore conferma dello spostamento operato dal segretario del PD per cui l’opposizione va fatta con interlocutori moderati e possibili alleati in un futuro non molto lontano. Gli istituti della democrazia partecipativa non rientrano in questa categoria essendo strumenti dell’estremismo politico, non più idonei nel terzo millennio. Chissà se anche i sindacati, negli intendimenti di Veltroni, dovranno modificare le loro pretese e riconsiderare il ruolo del padronato ormai assunto come collaboratore dei lavoratori; sicuramente Montezemolo apprezzerebbe.
Nel corso della campagna elettorale abbiamo sentito spesso che il rapporto tra lavoratori e imprenditori deve cambiare: basta col conflitto, gli uni e gli altri devono trovare modi di collaborazione, è stato detto. È difficile che questo processo di pacificazione possa realizzarsi, soprattutto se la forbice salario/profitto cresce. Pur ipotizzando una comunione di interessi nella piccola azienda, dove sia il lavoratore che l’imprenditore potrebbero trovare, non senza difficoltà, un rapporto di complementarietà, risulta piuttosto difficile che la stessa intesa possa verificarsi nella media e grande impresa. L’esempio del nord-est, spesso assunto come modello dai sostenitori del patto sociale e dello sviluppo, mostra inequivocabilmente la disuguaglianza tra salariati e imprenditori: in quella parte del paese cresce la produttività ma i consumi segnano il passo a causa della staticità dei salari, in compenso aumentano le esportazioni e i profitti crescono con percentuali a due cifre. È dunque possibile un’intesa tra queste due categorie economiche senza una disponibilità al ridimensionamento (sottolineo il termine ridimensionamento) dei profitti? In verità anche questi obiettivi che pur appartengono ad un riformismo moderato non sembrano far parte del nuovo programma del PD. Mentre scrivo sento i risultati relativi alle elezioni del Comune di Roma, sono disastrosi anch’essi; deduco che qualcosa si è inceppata nel nostro paese, soprattutto nel pensare e nell’agire della Sinistra Arcobaleno e del Partito Democratico. Sarebbe opportuno riflettere con maggiore responsabilità su ciò che avviene nella società e su come contrastare questa ondata di destra. Ricordo che Pintor, in occasione di una polemica interna al Manifesto, invitava tutti a non imitare i ragazzi della Via Paal. Usando una metafora analoga oggi si potrebbe chiedere a chi dirige questi partiti di smetterla di fare i condottieri se non sanno orientarsi. Bertinotti lo ha già fatto, Veltroni dovrebbe seguirlo.
6 Maggio 2008 alle 19:42
Marco, tu immagini Veltroni un condottiero senza bussola, e lo critichi per non aver raggiunto un risultato ragguardevole alle elezioni, imposto il bipolarismo e l’americanizzazione della politica. E’ vero, il PD ha imposto una linea politica con un modello di societa’ bipolare e interclassista. Facciamo un po’ di conti: la SA perde 8 punti a Roma, circa 10 a livello nazionale e a Cagliari città non prendiamo i voti della somma degli iscritti ai 4 partiti.Ti pare che Veltroni sia la causa della nostra disfatta!? Siamo noi fuori dal Parlamento, non Veltroni.E’ la visibilità nostra ridotta a zero.Il cartello elettorale dei 4 partiti e la campagna elettorale della SA in cosa si è differenziata dal Pd? In nulla! Nazionalmente e in periferia la SA ha scelto i giochi di palazzo e non i bisogni delle persone. Negli ultimi due anni si è costruito un gruppo autoreferenziale SA che parlava solo a se stesso.
Il programma dell’Unione è stato letteralmente tradito. Non si è riusciti a intercettare il concatenamento delle varie crisi finanziarie, economiche, alimentari, ambientali e costruire pratiche di conflitto sui territori. Tu titoli l’articolo: “Veltroni senza bussola”(se Veltroni era senza bussola perche’ gli siamo andati dietro?) Io dico: La SA “Generali senza esercito”. Leggendo l’odg della riunione del cpf di Cagliari di Rifondazione c’è annunciata un altra sconfitta elettorale, anche questa senza attenuanti.
Vedi noi abbiamo pure la sfiga di avere solo “marescialli e caporali”.