Nuragik, cronache dalla colonia Sardegna
16 Novembre 2010Alfonso Stiglitz
Nur. At si è materializzato: con un finanziamento dell’Assessorato al Turismo della Regione Autonoma della Sardegna e con la presenza del Presidente della Commissione cultura dell’Assemblea regionale, è stata inaugurata a Milis l’ennesima mostra sullo tzunami che, nel 1175 a.C., avrebbe travolto la Sardegna. La mostra ha dato l’avvio alle gite di ricerca dei geologi che dovrebbero svelare le ragioni della “scomparsa improvvisa” della Civiltà nuragica; indagini i cui risultati saranno resi pubblici il 1° aprile 2011.
Data emblematica direte, si: per la presa dei fondelli dei sardi, che pagano pure per questo. Vi chiederete, da quando in qua a disquisire su una civiltà e sulla sua fine hanno competenza i geologi? Ho sempre pensato che spettasse agli storici, è il loro mestiere, che è anche il mio. Il problema è che gli storici, tutti ma proprio tutti (parlo ovviamente di quelli che si occupano per professione e per competenza di questo periodo storico), sono concordi sul fatto che la civiltà nuragica non è crollata, né improvvisamente né lentamente, nel XII sec. a.C. e che, anzi, nel periodo finale dell’Età del Bronzo raggiunge uno dei suoi apici: pensiamo ai pozzi sacri, alle statue di Monte Prama, ai bronzetti, tutte esperienze di una civiltà vitale, vitalissima, e non non frutto di gente in fuga inseguita dalla malefica, ancorché fantasiosa, onda anomala.
E allora che fare? Semplice, cancellare gli storici; decidere che non saranno loro a parlare. Ma si pone anche un altro problema, quello dei geologi: chi chiamare? E si perché i geologi sardi e non sardi che operano nella nostra isola hanno già espresso tutte le loro perplessità, per non dire contrarietà, a parlare di un maremoto di cui nessuno ha mai trovato una traccia sul terreno. Meglio portarli da fuori e che possibilmente non abbiano molta dimestichezza col tema della Civiltà nuragica, che non abbiano mai partecipato ai molti scavi dei nostri villaggi e nuraghi e che mai abbiano letto alcunché di quanto pubblicato dai loro colleghi che operano a contatto con gli archeologi nei nostri scavi, potrebbero contaminarsi; e, infatti, al Convegno di Milis hanno tutti messo le mani avanti: bisogna studiare. Capperi! (Mi stava per uscire un’altra espressione sassarese doc, ma avendola già usata in queste colonne mi astengo, per evitare rimostranze). Eppure, già alla prima gita, qualche dubbio pare aver assalito anche il prof. Tinti, massimo esperto italiano di maremoti, che un po’ perplesso nota l’improbabilità, tra le cause di tale sconquasso, di terremoti, frane e quant’altro e opta, chissà quanto convinto, per un asteroide. Vorrei segnalargli che questa ipotesi era già stata presa in considerazione alcuni anni fa dall’Università di Cagliari (equipe del prof. Gaetano Ranieri), con la notazione che l’evento avrebbe avuto effetti catastrofici non solo in Sardegna. Ma cosa vogliono le Università sarde! Quando con Marcello Madau, su questo giornale, criticammo la proposta di legge Nur.At fummo accusati di essere contrari alla “ricerca made in Sardegna”. Ebbene l’Assessorato regionale al Turismo ci ha pensato e mi ha convinto, di “made in Sardegna” ci sono i finanziamenti.
A riprova di ciò, in questi ultimi giorni una nuova ricerca è stata finanziata, quella sui Giganti in Sardegna, i giganti veri non quelli figurati, che ha come patria Pauli Arborei. Ora ho capito cos’è la ricerca made in Sardegna. Tutto questo avviene mentre un vero “maremoto” si abbatte sui nostri beni culturali, frutto delle onde politiche bipartisan che negli ultimi decenni hanno smantellato le strutture di tutela e i fondi destinati al patrimonio culturale della nostra identità. L’ennesimo crollo a Pompei, e il conseguente dibattito in Parlamento davanti a un’aula semideserta, è solo l’ultimo evento in ordine cronologico. Anche in Sardegna non ci tiriamo indietro, la situazione dell’Orolio di Silanus ad esempio, oppure l’allarme di qualche mese fa per i crolli imminenti a Nora, più di recente quello per la situazione a gravissimo rischio delle domus de janas di Pala Larga di Bonorva e l’elenco potrebbe continuare, sono la punta emergente della mancanza di volontà e capacità politica. Per quest’onda servono a poco i geologi e gli archeologi, serve un cambiamento politico, di capacità di progettazione politica. Potrebbe essere il tempo di discutere e confrontarsi per togliere la tutela e la conservazione alla diretta decisione politica; togliere le competenze allo Stato e alla Regione e pensare a strutture federali, europee. Ai politici il compito di pensare a una normativa comunitaria che stabilisca le regole e le competenze. Questo si che sarebbe un maremoto, anzi un terremoto. Ma questo discorso merita un altro intervento specifico.
Che morale trarne da questi eventi? Torniamo ai nostri maestri: nel 1967 Michelangelo Pira, nell’ambito di quella straordinaria trasmissione radiofonica “controgiornale”, oggi disponibile nella Digital Library della Regione, avanzò la proposta di un fumetto sardo, Nuragik; “fumetto archeologico, isolazionista, sociopaleosardista, falso protestatario, liberty, kitch, un poco bieco”.
È un vero peccato che la pubblicazione del fumetto non abbia avuto luogo; chissà come Mialinu avrebbe interpretato la vicenda della Sardegna-Atlantide e dell’interesse della Regione sarda per queste ricerche; dobbiamo accontentarci di un Assessorato, Turistik.
17 Novembre 2010 alle 09:08
Caro Alfonso, e che pretendevi? Gli archeologi hanno già immerso le loro mani, sporcandosele di fango non tsunamitico, negli strati dei nuraghi, appurando che alternati alle fasi del crollo vi sono numerose fasi di riutilizzo degli stessi dal periodo nuragico più arcaico fino all’età moderna. Gli archeologi non devono dimostrare un bel nulla poichè le loro indagini hanno già dimostrato, dal tempo del Canonico Spano in giù, che non esiste un solo strato di fango dovuto ad improvvisa ingressione marina ma più livelli che sono il portato delle vicissitudini storiche e tutte umane dei crolli dei nuraghi. Ignorare quanto gli archeologi e gli storici hanno scritto è quindi necessario per chi ha inventato il pediluvio universale nuragico.
18 Novembre 2010 alle 14:44
Se proprio si deve parlare di studi allora e ora che si cominci a parlare della civilta ozieresa, che come sapete meglio di me tratta degli anni tra il 4000 e il 3500 a.c., ma ci possono essere anche degli errori.
Il fatto che la civilta nuragica sia caduta è stato lo scotto da pagare per il crollo di quella precedente. Per la Sardegna…. Fortza Paris…
18 Novembre 2010 alle 15:38
Cari Alfonso e Mauro,
sicuramente ed evidentemente avete ragione per quanto riguarda la presupposta fine della civilità nuragica; ma forse non è più la domanda giusta. Ormai, almeno in certi ambienti, la domanda non è più che cosa era successo nel passato, come e quando. Tutto ciò che state descrivendo dimostra, a mio avviso, che prima di tutto bisogna discutere come si intende e vede il passato oggi? A che serve? Cioè, a che cosa serve il passato e perché si indaga – solo per attrarre turisti? Ma anche questo presuppone che un dibattito serio si può avere e forse già questo sta diventando un problema? (meno male che si può almeno su queste pagine!)
19 Novembre 2010 alle 12:32
Gli ordini di problemi da affrontare sono diversi.
C’è il livello scientifico/divulgativo, che va potenziato e liberato da orpelli politici e ideologici, ma anche dalla cappa pressapochista e a volte oscurantista della tutela ministeriale italiana. Il che riguarda sia l’università, sia le sovrintendenze (con poche e preziose eccezioni, direi).
Poi c’è l’orizzonte di senso in cui inserire la conoscenza del passato. Qual è l’orizzonte in cui si inserisce la storia della Sardegna? Di solito, e in larga misura ancora oggi, essa viene considerata – implicitamente o esplicitamente – una porzione marginale e subalterna della storia italiana. Un paradosso storico, questo, nonché culturale e persino politico. Vogliamo liberarcene o siamo disposti a tollerare che i Giganti di Monti Prama facciano una tournèe in Cina a rappresentare la cultura italiana?
Un altro problema è la liberazione della storia e della archeologia sarde dal mito tecnicizzato (Kerényi, Jesi) che ci ingabbia nella nostra maledetta questione identitaria, come se dovessimo di continuo rivendicare il nostro diritto ad esistere come collettività storica. O non esistiamo né siamo mai esistiti, o siamo i depositari della civiltà umana più alta e feconda. Entrambe posizioni ideologiche deleterie da cui dovremmo liberarci. Insieme al complesso di inferiorità che le genera.
Non entro poi nella palude degli interessi particolari che ammorbano ogni dibattito in materia.
A ateros annos menzus!
20 Novembre 2010 alle 13:45
E’ un effetto “palla di neve che rotola”. Prima o poi troverà un ostacolo abbastanza solido da fermarla… L’unica cosa è sperare che – nel frattempo – non diventi una vera valanga, capace di provocare troppo grandi danni. Perché i quadri politici locali che lucrano sulla credibilità della gente (organizzando manifestazioni culturali “accuratamente e rigorosamente” documentate, per giustificare la propria validità nel posto che occupano) e tutti i furbacchioni che lucrano sulla vendita di favole (ideate da sè e basate sul nulla oppure su raffazzonate letture mal digerite), non si fermertanno certamente da soli. Finché potranno guadagnare, mettersi in mostra, raccogliere consensi politici o grati riconoscimenti di appartenenza etnica ad un orgoglioso gruppo isolano, continueranno così. Vista la loro inventiva (ed i molti e diversi modi possibili di approfittare, INSIEME AD ALTRI della situazione) non si può neanche sperare che finiscano gli argomenti. Forse dovremmo cercare un modo per fermare quella che – ormai è chiaro – è divenuta un’ORGANIZZAZIONE VOLTA AL PROFITTO con metodi sempre più sofisticati e capaci di ottenere finanziamenti sempre più grandi (probabilmente per poi farli sparire in mille rivoli irrintracciabili, ma intuibili). Platone saprebbe testimoniarci che non è assolutamente possibile dimostrare che la Sardegna sia mai stata una creazione della fantasia, un semplice esempio nel corso di un’altrimenti noioso discorso politico. E cioé non è mai stata Atlantide, perché Atlantide non è mai esistita.