Sardi qualunque
16 Novembre 2010Marcello Madau
Se è gravissima la perdita della ‘domus’ pompeiana, parte irripetibile di una città dalla suggestione immensa, il delitto ha assunto molti richiami simbolici: il crollo dei beni culturali italiani, del sistema-paese, della politica di questo governo. Oppure la noncuranza qualunquista per un problema italiano…
Abbiamo scritto qualche giorno fa che queste politiche governative sono state più dannose dell’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei, e che la previsione di altri crolli e lo stato generale della tutela creano allarme. Ed è un fatto che la tutela sia rientrata da tempo nella retorica del contenimento del debito pubblico: vista come una passività da chi non è in grado di comprendere che la cultura è voce attiva, anche se non omologabile alla partita doppia, e curiosamente parla di valorizzazione senza capire che un patrimonio senza tutela non può essere valorizzato.
Le politiche governative, che sotto il paravento di atteggiamenti pseudo-manageriali tagliano i fondi per protezione e conservazione, espongono al degrado irreversibile monumenti fragili, preziosi, di forte impatto antropico. Nel complesso, al di là dei singoli casi, quelle più a rischio appaiono le reti di grande densità archeologica, tra le quali si distingue, come è noto, quella dell’archeologia sarda.
La verità è che il discorso del sistema tutela andrebbe riscritto. Compito difficilissimo in tempi come questi, caratterizzati dall’attacco ai beni comuni e dalla crisi della tradizione delle istituzioni pubbliche.
E’ molto istruttivo osservare, proprio attraverso il disastro pompeiano, che nelle zone dove sono presenti i vari nazionalismi, dalla inesistente Padania alla Sardegna, si evidenziano reazioni particolariste e qualunquiste.
Il governatore veneto Zaia grida ‘prima il Veneto di Pompei’, e non vuol vedere che il dissesto idrogeologico italiano è anche frutto del capitalismo da rapina, tutto ‘deregulation’ che la Lega Nord appoggia e rappresenta. Negli ambienti del nostro centro destra, caratterizzati dalla presenza di un nazionalismo sardo piuttosto becero, il ‘sardo qualunque’ grida: ‘Pompei? E le nostre domus de janas?’, in un contesto di esoterismi un po’ ridicoli e polemiche stucchevoli contro tutti gli scavi che non siano nuragici o prenuragici. Quelli dei colonizzatori, ovviamente.
Ambienti che – non a caso – non sono scesi in campo per difendere Tuvixeddu: il fatto che possa costituire per essi “la necropoli dei colonizzatori cartaginesi” è solo la prima delle ragioni possibili, e forse non la più profonda. L’assenza strutturale di un punto di vista complessivo sulla tutela li colloca di fatto dalla parte della speculazione.
La destra nazionalista sarda – a giudicare dalla qualità di ciò che si legge – vuole il passaggio di sovranità e competenze sui beni archeologici (silenzio sulle politiche di conservazione), con l’intento non esattamente nobile di avviare finalmente ricerche al di fuori della comunità scientifica e della tutela. Dominate da piccole esigenze ideologiche e mediocri mercati garantiti da fanghi e meteoriti – i fenomeni, pur diversissimi, sono intercambiabili per banali ragioni di capitalismo – passando per NurAt.
Al ‘sardo qualunquista’ Pompei non importa anche e soprattutto perché egli dovrebbe criticare la linea mercantile del ministro Bondi, dei suoi azzimati consiglieri e di Mario Resca. Il suo atteggiamento sui possibili viaggi intercontinentali delle statue nuragiche di Monti Prama, nonostante la generale levata di scudi, è stato rivelatore.
Al di là di queste cose – che certo non sono di conforto – la situazione della tutela in Sardegna è davvero drammatica. E nelle soprintendenze molto indebolite, accanto a tentativi di governo virtuosi sempre più difficili permangono, accentuandosi, episodi di chiusura e centralismo ben noti, in un rapporto non sempre dialettico e talora autoritario verso il territorio. Ma se è giusto denunciare la ritrosia all’informazione e le difficoltà di molti monumenti pregevoli (per i quali è positivo che la gente chieda conto), il discorso è più vasto della difficoltà di questo o quel monumento: l’enorme patrimonio archeologico della Sardegna allo stato attuale – anche se non ci fossero le tensioni centro-periferia oggi così accentuate – non ha risorse istituzionali in grado di proteggerlo adeguatamente.
Le proteste per la straordinaria domus bonorvese di Sa Pala Larga come le sofferenze di decine e decine di contesti più o meno famosi dovrebbero trovare un canale di costruzione reale per non restare fine a se stesse. Ma, nella loro parte migliore, pongono seriamente problemi di tutela e conoscenza allargata.
Perciò, invece di irridere all’inevitabilità di tenere ‘coperti’ molti siti per non consegnarli ai ‘tombaroli’, che talora non mancano di coperture ideologiche, o di pensare a dietrologiche congiure ordite per non sconvolgere convinzioni consolidate, sarebbe bene progettare e ricostruire la tutela. Altrimenti, per quanto poco popolare, meglio tenere relativamente nascosto il patrimonio archeologico, almeno nelle sue localizzazioni, valorizzando realmente solo ciò che si è in grado di tutelare e proteggere.
Appare perciò necessario costruire un sistema di gestione della tutela decisamente più forte ed incisivo, costruendo un nuovo tavolo condiviso fra istituzioni della tutela, della ricerca, associazioni professionali e comunità del territorio: perché è urgente una forza adeguata alla vera protezione dei ventimila monumenti archeologici sardi, aumentare il numero degli occhi, delle braccia e delle menti coinvolte.
Vorrei aggiungere che un tale piano prescinde dalla natura della sovranità delle istituzioni della tutela: italiane o sarde, purché esse ci siano ed operino entro l’idea pubblica della salvaguardia. Diversamente nessun discorso di autogoverno del territorio e dei suoi profili identitari sarà possibile. Parto ovviamente dal fatto che tutto il patrimonio sardo, e le sue reti, vada protetto e considerato di interesse collettivo; che nessuna cultura, per ragioni italo centriche o sardo-centriche, debba prevalere sulle altre.
Selezionarla politicamente è un attacco in atto, incompetente ma assai pericoloso, contro il territorio della Sardegna e la sua identità. Sembra proprio un pretesto per lasciar procedere, come sta succedendo giorno per giorno a Tuvixeddu, la speculazione.
27 Novembre 2010 alle 01:40
Bellissimo articolo che suggerirebbe la necessità di aprire un serio dibattito sul discorso della tutela, all’interno del mondo accademico e culturale della Sardegna.