Pluralità o nuove divisioni?
16 Giugno 2008
Marco Ligas
Sono passati due mesi dalla disfatta elettorale. I partiti che hanno dato vita alla Sinistra Arcobaleno svolgeranno i loro congressi, tutti separati. Alcuni affronteranno questa scadenza discutendo mozioni distinte. I compagni di Rifondazione Comunista ne hanno presentato addirittura cinque. E’ naturale che nei congressi si discuta di tante cose. Ci si interroga comunque se dal dibattito che si svilupperà possa scaturire una proposta che sappia rispondere alle aspettative di tanti compagni che, nel corso di questi anni, si sono impegnati per consolidare quei valori che fanno parte del patrimonio della sinistra. Insomma c’è un’attesa soprattutto fra coloro che non hanno rinunciato a progettare un’alternativa. La risposta naturalmente non sarà facile e dipenderà anche dallo spirito con cui si affronta il dibattito congressuale. Ritengo che la scelta di andare separati ad una discussione così importante non rappresenti un buon inizio. Perché escludere a priori una fase di riflessione comune, necessaria per capire meglio le tendenze e gli orientamenti di ciascuno e individuare percorsi unitari? Questa decisione rischia di perpetuare separazioni che si sono mostrate funzionali soprattutto al consolidamento di uno spirito di corpo del tutto inconcludente. Vedo in questa ripartenza un errore che ho conosciuto quando, da giovane, partecipavo attivamente alla vita del Partito Comunista. Spesso i dirigenti di questo partito concepivano le alleanze come inglobamento dei loro interlocutori all’interno della propria organizzazione. Ecco, vedo questo pericolo connaturato al metodo di riflessione scelto da ciascuna formazione della ex Sinistra Arcobaleno. E purtroppo non è il solo; mi sembrano esagerate cinque mozioni per il congresso di RC, così come sono sproporzionate tre per i Verdi e due per il PdCI. Queste differenziazioni, più che articolazioni di un’analisi, sembrano strappi rispetto ad un progetto che, al contrario, dovrebbe avere un carattere unitario. Insomma siamo ben lontani dal sano dualismo fra pluralità e unità e molto più vicini al vizio endemico della sinistra, quello per cui ci si divide ogni qual volta emergono differenze che puntualmente tendiamo a considerare inconciliabili. Così facendo sottovalutiamo una conseguenza pericolosa che possiamo sintetizzare con questo interrogativo: come viene vissuto un dibattito così organizzato nelle diverse regioni o federazioni? L’impressione che si ha è che ogni componente veda le altre come potenziali avversarie da cui bisogna guardarsi con diffidenza. E in questo clima è naturale che si alimentino sia la contrapposizione tra gruppi dirigenti sia la tentazione di una resa dei conti, soprattutto laddove lo scontro precedente ha raggiunto punte di asprezza esagerate. Quel che succede in Sardegna da tempo conferma e legittima queste preoccupazioni. Ma al di là delle questioni di metodo sarà importante il ruolo che questi partiti assumeranno nella definizione del rapporto tra ‘impegno politico’ e ‘impegno sociale’. È sin troppo facile sostenere che i due aspetti non possono essere tra loro alternativi, ma nell’esperienza di questi anni abbiamo visto come la preoccupazione della governabilità possa risultare prevalente sino a condizionare e rendere marginale la presenza nel ‘sociale’. Quando questo processo si consolida risulta difficile invertirne la tendenza; è più facile una deriva con perdita di credibilità e di fiducia nelle relazioni con la propria base sociale. È quanto è successo col governo Prodi dove le componenti più moderate non solo hanno agito da freno nella realizzazione del programma dell’Unione ma hanno anche provocato la fine dell’esperienza governativa. La successiva disfatta elettorale è il segno del prezzo che si paga quando si verificano queste circostanze. La sinistra in Sardegna sta vivendo un’esperienza che presenta molte analogie col governo Prodi. In altra parte del quindicinale riferiamo dell’atteggiamento che ha assunto, nel Consiglio Regionale, in merito all’iniziativa sul G8 a La Maddalena. È una posizione, quella dei consiglieri regionali della sinistra, inaccettabile e soprattutto lontana dalle molteplici proposte che movimenti, associazioni e singoli cittadini fanno ormai da tempo. Se questa distanza non verrà colmata rapidamente anche nella nostra isola andremo incontro ad una sconfitta elettorale simile a quella del 13/14 aprile. Governabilità e radicamento nella società devono essere dunque due aspetti inscindibili di una politica di sinistra. Naturalmente non si può rilanciare una politica di sinistra senza approfondire un’analisi sui mutamenti degli assetti capitalistici, sulla nuova organizzazione del lavoro, sulla compatibilità tra sviluppo e tutela dell’ambiente. Già in passato abbiamo fatto cenno ai problemi dell’occupazione e alla necessità di individuare nuovi percorsi che consentano di ottenere risultati soddisfacenti sul versante del lavoro. Siamo ancora legati alle rivendicazioni di interventi pubblici nei settori produttivi fortemente in crisi e perciò dalle limitate possibilità di crescita. Mentre si moltiplicano anche nella nostra isola le forme più insopportabili dello sfruttamento: la crescita dei call center, del lavoro precario, di quello in nero e così via. Subiamo in definitiva le conseguenze di una pigrizia intellettuale che non ci aiuta nell’analisi e nella interpretazione dei processi che sono in corso e che i nostri avversari padroneggiano con eccessiva disinvoltura e irresponsabilità, tanto è vero che non solo parlano nuovamente di gabbie salariali ma anche di settimane lavorative di 60 ore. Congressi o no, sarebbe opportuno che la sinistra si cimentasse maggiormente su questi problemi, anche sostituendo i suoi gruppi dirigenti che appaiono troppo condizionati dall’esigenza dell’autoconservazione.
16 Giugno 2008 alle 20:45
Caro Marco, condivido in grandissima parte il merito del tuo intervento. Ci tengo, però, a fare due piccoli appunti. Il primo riguarda la modalità di svolgere un congresso. Tutti avrebbero voluto fare un congresso unitario ma nessuno ( e dico nessuno ) ne ha creato le condizioni. Poco conta l’auspicabilità di un processo unitario e poco contano i buoni appelli. L’unitarietà si ottiene e si pratica con scelte ed atteggiamenti reali.
E’ difficile fare un congresso unitario con chi ti sfiducia a 24 ore dall’esito elettorale perchè non ti ritiene in grado neanche di garantire le procedure congressuali…e questa è per dirne una!!
Per ultimo l’elemento del tuo ragionamento che condivido meno, anzi, per niente. Non capisco come si possa pensare di risolvere tutte le questioni chiedendo dimissioni e sostituzioni perenni dei gruppi dirigenti. E soprattutto non capisco con chi dovremmo sostituirli. In Sardegna, ad esempio, il rinnovamento è stato fatto appena un anno fa e abbiamo diversi dirigenti giovani, anzi, giovanissimi. Nessuno è perfetto ed è fin troppo facile cercare di accollare questa disastrosa fase politica ( per la sinistra ) ai dirigenti dei partiti…a me pare che il problema sia un po più profondo e che vada indagato non limitandosi ai partiti politici. Credo che la sconfitta della sinistra sia anche culturale e ricondurre il tutto alla presenza nel governo o alle scelte fatte in campagna elettorale sia molto, troppo limitativo!!
tanti saluti
Michele Jr