La stagione degli amori. Atto I
1 Giugno 2007Franco Tronci
Renato Soru fa parte di un comitato di quarantacinque membri che accompagneranno al battesimo ufficiale il Partito Democratico.
Da Follini a D’Alema storie e identità diverse e, talora, perfino opposte si impegneranno in una scommessa politica che è destinata, comunque vada, a rivoluzionare l’intero sistema politico italiano.
Iniziando una storia nuova, ciascuno dei protagonisti della vicenda deve cercare di chiudere nel modo più dignitoso possibile la storia precedente. E ciò vale anche per il presidente della giunta regionale comunemente chiamato, per vaghe ascendenze nordamericane, governatore.
Mi sembra, questa, una ragione valida per incominciare a redigere un bilancio politico dell’esperienza Soru senza aspettare la fine della legislatura.
Per non essere confusi con un membro dell’approssimativa opposizione di centro-destra sarà metodologicamente corretto non soffermarsi più di tanto sugli avvenimenti che hanno contraddistinto gli ultimi non esaltanti mesi di governo della regione: perdita di pezzi non secondari della giunta, conflittualità permanente con gli alleati di governo, insistenza defatigante e inopportuna su una legge statutaria tutta tesa a rafforzare il dominio della presidenza sulle prerogative del consiglio, ritardo storico, quasi cinque mesi nell’approvazione della legge finanziaria con ricorso costante all’ordinaria amministrazione.
A tutto questo si potrebbe, volendo, aggiungere l’esame delle disastrate condizioni delle istituzioni isolane (effetti della moltiplicazione delle province, riduzione solo parziale delle comunità montane, stato confuso e incerto degli enti, ecc.) nonché le evidenti carenze del sistema sanitario, scolastico, universitario.
La scarsa attenzione manifestata dalla giunta per i problemi economici e sociali, industria e lavoro in primo luogo, la mancanza di risolutezza dell’alleanza di governo nel mettere ordine in settori importanti come il credito, la formazione professionale e così via ha visto crescere il numero di manifestazioni sindacali di protesta, perfino appoggiate in modo esplicito dalla chiesa, e dei bivacchi di precari davanti al palazzo della giunta e gli episodi di contestazione dei rappresentanti delle istituzioni, tutti ormai accomunati, non senza ragione, dall’accusa di aver aumentato a dismisura i costi della politica e accresciuto i privilegi di un ceto dirigente sempre più distante dai bisogni del corpo elettorale (operai, impiegati, pensionati, giovani precarizzati del terziario, ecc.) che pure dicono di voler rappresentare. Anche i risultati elettorali di una tornata parziale di elezioni amministrative sembrano rivelare l’interruzione di un feeling, la fine di un amore.
Benché le ragioni sommariamente esposte non siano del tutto trascurabili, esse risultano, tuttavia, insufficienti a consentire la formulazione accettabile di un bilancio politico esauriente di un momento nuovo e, per certi versi originale della recente storia politica sarda.
La comparsa del padrone della Tiscali nel panorama politico, accompagnata dalla nascita di un movimento chiamato Progetto Sardegna, mai trasformatosi, per volere del suo leader, in partito nonostante le forti pressioni interne in tal senso, va esaminata piuttosto per il suo carattere di movimento anti-sistema rispetto al quadro socio-politico precedente.
L’ascesa di Renato Soru, con ricadute sul piano nazionale come la cooptazione fra i quarantacinque dimostra, è stata favorita dalle simpatie suscitate dal suo essere contro: contro il potere centrale, indifferente alle prerogative autonomistiche dell’isola; contro i partiti divenuti, ormai, comitati d’affari; contro i sindacati, beneficiari di risorse economiche regionali e gestori in proprio di fette di attività come la formazione professionale.
L’elenco degli avversari può anche arrivare a comprendere il partito dei sindaci cementificatori delle coste e autoproclamatisi manager in grazie di una legge elettorale micro-presidenzialista; le grandi corporazioni e i poteri espliciti o occulti che le sostengono; i gestori della sanità pubblica e i proprietari della sanità privata; gli ordini professionali implicati nel ricco mercato delle consulenze, ecc., ecc.
Andando indietro con la memoria, è possibile constatare che in questi tre anni una piccola ‘guerra’ è stata combattuta; stilarne un bilancio significa fare il conto delle vittorie e delle sconfitte, degli armistizi e delle paci, durature o imposte dalla nuova situazione che si va delineando e dalla quale abbiamo preso le mosse per queste brevi considerazioni.
Avremo modo di continuare a discuterne.
2 Giugno 2007 alle 14:15
Tonino Dessì
Ho affermato in diverse occasioni (posso ora rivelare di averlo fatto in sedi riservate, ma decisionali, ben prima di dimettermi da assessore: lo dissi anche di fronte al Presidente) l’esigenza, per la politica sarda, di porsi il problema del dopo-Soru. Non perché io condivida l’ipotesi di limitare a un mandato la candidabilità presidenziale. In linea di principio, come avviene in tutte le forme di presidenzialismo democratico, il limite invalicabile della non rieleggibilità dovrebbe essere fissato in due mandati. Nella Legge Statutaria, per esempio, questo principio avrebbe potuto opportunamente essere tradotto in norma esplicita. Il problema relativo all’attuale Presidente della Regione è invece legato al giudizio sul sistema che per suo tramite si sta instaurando. Non so dire se si tratta di una mutazione o di un disvelamento. Utilizzando il solo parametro della cronologia (dall’insediamento in poi) osserverei una mutazione, rispetto agli impegni personali e programmatici originari. Ma forse la situazione era già in origine un po’ più complessa, come poi cercherò di dire. Parto da alcune valutazioni sulla condizione attuale. L’amministrazione regionale è praticamente nel caos. Se l’idea di buon governo poteva inizialmente sembrare moderata, rispetto alle aspettative di cambiamenti radicali, oggi considererei il buon governo, l’ordinata e trasparente gestione della cosa pubblica nel rispetto delle regole, l’obiettivo più rivoluzionario da perseguire, in un contesto dominato dalla delegittimazione dell’amministrazione (anziché dalla promozione della sua professionalità e della sua funzione di garanzia della legalità, dell’imparzialità e del buon andamento), dall’infiltrazione di consulenti spesso poco noti, ma potenti nei suoi gangli apparentemente interstiziali o addirittura informali, eppure divenuti determinanti, in quanto legittimati dal capo dell’esecutivo e da alcuni dei suoi assessori più fidati (mi riferisco esplicitamente e senza tema di smentita al ruolo, che pochi conoscono nella sua portata reale, svolto dall’attuale assessore della sanità), dall’orientamento personalistico nelle scelte, dall’approssimazione procedurale che emerge sempre più in alcune vicende. La questione Saatchi&Saatchi, al di là e a prescindere dalla valutazione che ne darà la magistratura, tutto questo testimonia e non la ritengo un episodio isolato. Ma anche il Consiglio regionale subisce il disordine dell’esecutivo. La legge finanziaria è il simbolo più eclatante della situazione. A prescindere dai suoi contenuti (la prevalenza di quelle che, ormai per uso comune, sono definite “marchette” ha molti precedenti, il che significa che ben poco è cambiato), è la sua approvazione a metà dell’esercizio cui si riferisce, che la rende del tutto inutile. Ed è la terza della legislatura. Cosa sarebbe stato meglio dell’imporsi fin dall’inizio la presentazione e l’approvazione entro la fine dell’anno precedente, cosa che ormai Governo e Parlamento nazionali, di qualsiasi colore dominante, riescono a fare da quindici anni? Ma ciò che è più grave è l’ingiustizia che ciò provoca nella società sarda, il rallentamento che si produce non solo nei suoi processi di rinnovamento, ma proprio nella vita molecolare, quotidiana delle famiglie, delle imprese, delle amministrazioni locali. E ciò che è più impressionante è la cinica, anche perché reiterata, consapevolezza di tutto ciò da parte degli attori politici e istituzionali: in primis del capo dell’esecutivo ex assessore ad interim del bilancio, ma anche dei responsabili dei gruppi e dei partiti della maggioranza. Non che si possa assolvere un’opposizione imbelle, priva di idee quanto di spina dorsale, ma in fondo abbastanza contenta del fatto che tutto continui esattamente come prima, perché, in un domani che le regalasse il ritorno alla guida della Regione, potrebbe, anch’essa, a proprio avviso giustificatamente, perpetuare esattamente lo stesso andazzo della legislatura in cui essa ha governato. Dopo qusai tre anni, il momento per alcuni giudizi, per chi ha esperienza tecnica (in senso stretto) della politica e dei fatti di governo è ormai più che maturo, purtroppo. Il tempo scorre come la sabbia: le elezioni (e lo si vede già nei comportamenti del ceto politico) sono alle porte; certo, altri due anni ci separano dalla conclusione formale, ma molti di noi sanno che due anni e mezzo passano in un lampo ed è già domani. Non è cosa ininfluente. Uno dei problemi che ho cercato di affrontare da assessore, anche a costo di qualche bruciante frizione con le organizzazioni sindacali, è quello della riconversione industriale. So di toccare un punto delicato. Ma avendolo detto proprio a Carbonia e a Portoscuso in momento non sospetto (ero, appunto, assessore) oggi posso farlo ancora più liberamente. La metallurgia e per certi versi anche la chimica sarda sono al limite estremo della sostenibilità di mercato. Occorre fare conti realistici con i processi di ristrutturazione su scala europea, con gli alti costi dell’energia (il cui elevato consumo è ineludibilmente connaturato ai processi produttivi delle maggiori industrie sarde), con alcuni insuperabili limiti fisici. Qualcuno sa dove Portovesme S.r.l. potrà conferire le proprie scorie, dopo che avrà esaurito la discarica di Genna Luas, ormai piena per oltre la metà del suo milione e mezzo di metri cubi e per la cui realizzazione ci sono voluti quasi dieci anni ? Il territorio ne accetterà l’ampliamento o la costruzione di una nuova? E sulla chimica: come non leggere le prescrizioni ministeriali sui muri di cemento se non come una resa, rispetto all’esigenza di modificare i processi produttivi rendendoli fin dall’origine il meno inquinanti possibile? E dietro questo, non c’è forse la consapevolezza che prospettive incerte sul futuro sconsigliano gli investimenti destinati al rinnovamento degli impianti? E allora aggiungo: ma a cosa serve un piano energetico non troppo dissimile, nella sua filosofia, da quello elaborato a suo tempo dalla Giunta di centrodestra (limitazione dell’eolico a parte)? A cosa serve il “tutto carbone” per il consumo industriale interno, posto che il gasdotto servirà prevalentemente per l’approvvigionamento continentale? Penso peraltro che anche su questo non tarderemo a renderci conto di una permanente criticità: sono circa venticinque anni (da quando in pratica faccio politica) che ogni tentativo di affidare in varie forme agevolate a qualche impresa lo sfruttamento del carbone Sulcis per produrre energia non va in porto. Ancora oggi, pur in un regime di prezzo crescente di tutti i combustibili fossili, importare carbone migliore dal Sudafrica o dalla Polonia costa meno. E che ne sarà di un parco energetico sovradimensionato, quando entrerà in funzione il cavo SAPEI? Quel cavo, certamente, potrà servire per esportare (nel programma di SardegnaInsieme avevamo però proposto che la Sardegna non diventasse una piattaforma energetica per l’esportazione), ma ci si può ancora nascondere che, con la piena liberalizzazione del comparto elettrico del mercato energetico, ormai ineluttabile anche per l’Italia (benché qui finora consapevolmente ritardata), SAPEI sarà soprattutto utilizzabile per importare energia a costi di mercato? Ecco perché questa legislatura avrebbe dovuto essere spesa per costruire una transizione industriale attraendo quell’industria non energivora, non inquinante, ad alto valore aggiunto, di cui anche una piccola regione insulare ha bisogno per non restare fuori dai processi economici mondiali. Non si può solo assistere alla progressiva chiusura delle fabbriche (vedi il settore tessile) o vivere con l’incubo che chiudano all’improvviso le energivore, senza preparare un’alternativa. Non si può pensare seriamente di vivere solo di turismo o di produzioni artigianali o di agricoltura locale. Quando scegliemmo Soru pensavamo che un Presidente di provenienza imprenditoriale a questi problemi avrebbe saputo dare un contributo. Posso solo prendere atto che, anche nella matrice imprenditoriale, ci sono inclinazioni e vocazioni diverse: molti industriali si sono trasformati in finanzieri ed in immobiliaristi; nessun finanziere o immobiliarista, nel nostro Paese e nella nostra Isola, si è trasformato in industriale, neppure quando si è messo in politica. Tuttavia non è demonizzando la persona di Soru che si rende un servizio alla politica. Soru l’abbiamo chiamato noi. Oggi, per sopravvivere, lui sta cambiando in parte le sue alleanze. Ha bisogno della neutralità, se non del sostegno, di alcuni poteri forti, interni o contigui al centrosinistra tradizionale. La chiave di lettura dell’ultimo congresso regionale dei DS sta quasi tutta qui. Archiviato (ma non era di sua competenza, trattandosi di fatto nazionale) senza batter ciglio l’abbandono della Sinistra Democratica, il Congresso ha registrato un parziale cambio di gestione, con il palesarsi di un’alleanza tra l’area socialista (ormai non solo egemone politicamente, ma maggioritaria anche numericamente) e proprio la parte degli ex-PCI originariamente più ostile alla candidatura di Soru. La proclamazione della ricandidatura presidenziale ha avuto un segno tutto politico: Antonello Cabras ha notificato che la maggioranza congressuale, tra Presidente della Regione e Presidente del Gruppo, sceglie il Presidente della Regione e che nei DS, pronti a trasmutarsi nel Partito Democratico, non vi sono candidati alla successione presidenziale, casomai qualcuno avesse coltivato tale velleità. E’ qui che veniamo al problema cui accennavo in apertura: mutazione o disvelamento? Non voglio dare ora una risposta, anche se nel valzer di nomine, da quelle bancarie a quelle di TecnoCasic, qualche indizio emerge. Così come emerge in alcune questioni urbanistiche importanti: chi beneficerà a Cagliari, nella partita su Tuvixeddu, della sottrazione di volumetrie a Coimpresa? Per quali destinazioni, a chi e dove fisicamente andranno quelle volumetrie? Basta aspettare ancora un po’ e la risposta, che molti di noi immaginano, sarà palese a tutti. Certo è che tira aria di restaurazione. Né più ne meno di quanto avvenne a metà della legislatura Palomba. Esattamente stessi tempi e stessi protagonisti, con una differenza non da poco: per Palomba fu decretata l’uscita a fine corsa, per Soru si decreta la riconferma. Con quali conseguenze, anzitutto sul futuro dell’azionista principale della maggioranza di centrosinistra (il nascente Partito Democratico, del quale fa parte anche un protagonista per ora silente, ancorché non privo di tensioni, cioè la Margherita) non sappiamo ancora. Tutto ciò detto, bisogna pure far politica. Io non so se Sinistra Democratica per il Socialismo Europeo sarà quello che alcuni di noi vorrebbero. E non so se sarà uno dei soggetti di prossime alleanze politiche ed elettorali. Ad oggi ha esattamente 18 giorni di vita: figuriamoci. So che molte dinamiche comunque porteranno alla costruzione di coalizioni a sinistra del Partito Democratico, ancorché con esso alleate. Sinistra Democratica (o quel che ne verrà fuori), PdCI, PRC, SDI, dovranno fare i conti con la necessità di uscire dalla frammentazione: ne va della sopravvivenza. E non è difficile pensare che tali coalizioni interloquiranno in varie forme con altre forze del centrosinistra e sardiste (Italia dei Valori, Verdi, Sardegna e Libertà, Partito Sardo d’Azione), ma ad una condizione non contrattabile: tenere fuori il centrodestra dalla guida della Regione. Nessuno di noi cadrà nella trappola del “muoia Sansone con tutti i filistei”. Se la situazione è grave come mi sono sforzato di spiegare, i pali di ancoraggio restano tuttavia non suscettibili di variazione.
E allora, Soru o non Soru, il terreno del confronto politico va imposto con fermezza, anzitutto sui contenuti materiali dell’azione di governo, in ordine ai quali, anche tra alleati, si può competere nella ricerca del consenso, che è condizione culturale per perseguire, se non l’egemonia, almeno la massima efficacia della propria azione politica. Qualità delle istituzioni, strategia economica, questione occupazionale, welfare (la nostra sanità, dopo tre anni, costa più di prima ed è disfunzionale come prima: si guardi alla situazione del Brotzu), ambiente (dopo e fuori dalla confusione con urbanistica e paesaggio). Questi sono i temi su cui tentare di imporre un punto di vista. E per imporlo con fermezza occorre anche sperimentarsi sul terreno delle regole. Quasi certamente nemmeno questa sarà la legislatura del nuovo Statuto Speciale. Però nessuno ci vieta di parlarne appropriatamente. Senza una cornice culturale costituzionale, infatti, è inevitabile che si partoriscano piccoli aborti come la Legge Statutaria. Democraticità e rappresentanza: certamente invece anche questo Consiglio regionale partorirà una nuova legge elettorale. Possiamo batterci perché sia fatta in grazia di Dio e ci fornisca non solo la stabilità della maggioranza e dell’esecutivo, ma anche una rappresentanza non concentrazionaria e nello stesso tempo anche di qualità? Costi della politica: ormai sappiamo che non è demagogico parlarne. Se, come dice Pubusa, vi sono studi i quali dimostrano che il costo medio dei nostri politici è doppio rispetto a quello di altre esperienze democratiche europee, beh, allora io non mi tiro indietro davanti alla proposta di dimezzarlo tout court. Ma anche in politica occorre una comparazione tra costi e qualità. Qui torniamo alla legge elettorale. Col sistema attuale vi sono rappresentanti del popolo eletti con poche centinaia di voti. Il divieto di mandato imperativo, contenuto nella nostra Costituzione come in tutte quelle democratiche occidentali, è di fatto eluso. Se a una persona basta soddisfare le aspettative di alcune decine di famiglie per poter aspirare a guadagnarsi la carica e a conservarla, è a quegli interessi che guarderà, prima che a quelli generali. Per altro verso, più ci si spinge verso il trasferimento di funzioni al sistema delle autonomie locali, più diventa chiaro che è al livello locale che si deve avere la rappresentanza territoriale e che perciò il Consiglio regionale deve essere un vero Parlamento e non un camera confederativa di rappresentanze territoriali. Allora 85 e persino 80 consiglieri regionali sono troppi e non servono. Meglio, mettiamo, sessanta, ma eletti tutti con ambiti vasti di consenso, territoriali, sociali, d’opinione. Del resto al Consiglio regionale si affianca il Consiglio delle Autonomie: è là che si esprime il concorso del sistema territoriale alle scelte della Regione.
Concludendo: le idee strategiche non mancano, anzi, sono praticamente obbligate. Il problema è far venir fuori una classe politica che sappia interpretarle, anche sapendo di correre qualche rischio. Una classe politica che a questo punto non abbia né il bisogno di evocare un Soru (tanto c’è già), né quello di esorcizzarlo. Per usare uno slogan ripetuto nella scorsa campagna elettorale regionale: lui non è un gigante, noi non siamo dei nani. Salvo però l’obbligo per noi, indipendentemente da lui, di provarlo con maturità e con coerenza.
2 Giugno 2007 alle 17:13
L’articolo-commento di Tonino ha, come minimo, il merito di entrare in medias res. Non si limita cioè a rienunciare le discriminanti generiche o di fondo (quelle che a volte chiamiamo “valori” esitando ad usare il termine “principi”) ma traccia i possibili e necessari obiettivi strategici per una politica alternativa a quella attuale o a quel “piccolo cabotaggio” fatto di tatticismi tutto sommato funzionali soltanto a mantenere il culo nella poltrona o il privilegio di casta: e il resto è solo propaganda, nell’accezione più vieta del termine.
Tonino enuncia anche, con una chiarezza che definirei lungimirante, la barriera o la diga che comunque bisogna pure erigere o consolidare contro il pericolo che anche qui la destra (che per me è il fascismo, non quello di Mussolini e soci, del trentennio trascorso, ma quello ben più “moderno” ma non meno pericoloso e attuale – di Berlusconi-Fini-Bossi & soci) riprenda il potere dando sfogo alla sua più becera e devastante demagogia. Si può dire forse, che se il centro sinistra flirta (non da oggi) coi “poteri forti” ai quali accenna Tonino, la destra ne rappresenta la sostanza e la polpa.
I compagni del manifestosardo conoscono già (credo) la mia opinione: su Tonino Dessì è uno dei pochissimi politici seri, che meritino cioè l’appellativo di politico, esistenti in Sardegna, che abbia avuto la ventura di entrare nel palazzo non solo come funzionario di altissimo livello e competenze, ma anche come “amministratore” con poteri decisionali (seppure subito messi in forse dal tirannello di turno). E dunque sa, ha visto e udito, dal di dentro, cose che probabilmente non sanno nemmeno i politici adusi a militare fuori dal palazzo e senza nessuna speranza o illusione di potervi accedere un giorno. Non parlo solo dei “cani sciolti” o dei “rabdomanti tristi” di cui faccio allegramente parte, ma anche di quelli appartenenti a gruppi o redazioni ben strutturate come quella di questo periodico. Non so quanto incautamente, mi ha anche confidato o raccontato qualcosa (a proposito del malaffare) che non ho esitato a spifferare in giro. Dato che cose che a lui possono anche sembrare, tutto sommato, secondarie, per me sono primarie: come la vecchia discriminate fra chi ruba e chi non ruba, chi è corrotto e chi non lo è (o lo è un po’ meno): insomma quella roba che si preferisce attribuire alla categoria dell’etica o della morale, ma che – machiavellicamente – anche a sinistra (in quel poco che ne rimane come aspirazione o come attesa del parto) esitiamo ad assegnare alla politica tout court.
E dato che Tonino ha la possibilità di scrivere e commentare negli spazi virtualmente illimitati di questo periodico senza che nessuno mugugni, mi piacerebbe che raccontasse pubblicamente, anche in dettaglio, tutto quello che ha imparato e appreso dalla sua ricca e importante esperienza..
Ad esempio circa i “poteri forti” di cui di solito si parla tacendone: chi sono? a chi fanno capo? chi ne tira le fila? ci sono nomi, cognomi e compromissioni documentabili (se non altro per sentito dire da fonti autorevoli?). Per pulire le stalle di Augia Ercole dovette usare le maniere forti. Qui non si tratta di impugnare altra arma che non sia quella del diritto alla parola, al pensiero e all’informazione “trasparente” sancito dalla Costituzione non a caso minacciata di revisione e di “superamento”. E sappiamo quali siano, per la destra e i poteri forti, i limiti o “legacci” della Costituzione che la vecchia sinistra in qualche modo ha difeso e che ora sembra disposta a revisionare mediante inciucio bipartisan.
Da semplice cittadino mi piacerebbe che anche il linguaggio della “nuova sinistra” (se nasce) si desse il tono e la portanza adeguata. Meno mugugno e più vigore, direi, tanto per cominciare (e sia chiaro che non mi riferisco all’articolo-commento che, pervicacemente, mi sono permesso di commentare e al suo autore – pur avendo giurato di tacere in buon ordine). Alla titolarità dello spazio, semmai, tanto per non indulgere in inutili polemiche personali.Che si riacutizzano immancabilmente quando si osa parlare degli “asini” che da sempre pascolano non solo nelle stanze del potere, ma anche in quelle da cui dovrebbero essere tenuti fuori per definizione.
p.s. mi ‘consenta’ il direttore, ma per mancanza di indizi più sicuri devo andare per esclusione. Inoltre: 1) non mi va di soprassedere; 2) la democrazia partecipativa riguarda anche le modalità di partecipazione al dibattito, che in uno spazio virtuale illimitato dovrebbero essere illimitate;
3) chi non è d’accordo su quel che uno dice o su come lo dice, ha pur sempre facoltà di ribattere.
Inoltre c’è anche chi ogni forma di esclusione, seppur minima e tutto sommato insignificante, se la lega al dito. Marco, ironicamente, la chiama “mala spetzia”. Qualche altro, più malignamente, la chiama “mentalità o atteggiamento da cuaddu maccu” (interessante espressione sulla quale un giorno mi piacerebbe discettare semanticamente, sia a proposito di chi la usa, sia a proposito delle persone alle quali si affibbia).
O – se si preferisce – anche la suscettibilità personale dovrebbe avere, in un dibattito davvero democratico, la sua libertà di espressione. Oltre che un limite, ovviamente.
2 Giugno 2007 alle 22:19
SOSTITUISCE IL PRECEDENTE (CORREZIONE REFUSI)
Caro Mimmo, nell’articolo dico davvero poco che non abbia già detto in altre circostanza, quando alcuni forse erano distratti. Anchle le cose che riferisci aver saputo da me confidenzialmente son molto note: diverse sono anzi pubbliche da tempo. Io le mie contestazioni al Presidente e alla maggioranza le ho già messe nero su bianco nella mia lettera di dimissioni, che è stata integralmente pubblicata e commentata su tutti gli organi di stampa. E le ho qualche tempo dopo specificate in modo che taluno allora ha giudicato forse ingeneroso (ma poi si è rivelato profetico oltre le mie stesse intenzioni) quando il Presidente si è azzardato ad attaccarmi sul piano personale: dopodichè, almeno con me, si è dovuto zittire. Ma io da un lato sono un politico, dall’altro sono un dirigente dell’assemblea legislativa sarda; non sono un confidente di giustizia, come ho avuto modo di precisare fermamente anche all’affabile e cortese Procuratore della Repubblica: gli ho ricordato che facciamo parte della stessa ditta (la Repubblica), ma con funzioni diverse. Le questioni penali se le sbrighino Soru, Carta, Dettori e lo stesso amico Marchetti, del quale comprendo bene l’imbarazzo: nessun magistrato inquirente lavora con la vocazione di destabilizzare un’istituzione rappresentativa, a meno che proprio, come mi pare stia emergendo, qualcuno non si sia invischiato irreparabilmente in un guaio. Peraltro (anche di questo mi è capitato di discutere più volte sia da assessore, con i magistrati ai quali nell’esercizio delle mie funzioni dovevo chiedere che esercitassero i loro poteri, sia, cessata la carica, con quello che giustamente ha esercitato anche su di me i suoi poteri di controllo), per me la Costituzione cui ho prestato giuramento è cosa sacra. Caro Mimmo, non è lei (la Carta mi perdonerà una qualche espressione familare) che pone lacci e lacciuoli. Davvero, su questo non posso che invitare tutti a smetterla con vecchi atteggiamenti di sufficienza da “sinistra benaltrista”. Se prima i mariuoli, poi la destra, poi anche i nuovi “democratici” se la sono messa e se la vogliono mettere sotto i piedi, la colpa è anche nostra. Sopratutto dopo la mia esperienza di amministratore, nella quale ho avuto in essa l’unico conforto pratico quotidiano e l’unico vero strumento-guida operativo, di fronte a leggi ordinarie spesso contorte e e ad atti e comportamenti politico-amministrativi distorti, non considererò più credibile nessun interlocutore, qualunque cattedra o carica occupi, che non me la sappia recitare a memoria, che non mi dimostri di averla capita., che non mi dica che la vuole difendere con i denti. L’ho imposto allora ai miei collaboratori e dirigenti e l’ho spesso fatto ingoiare al Presidente e ai suoi consulenti: ho cercato di spiegarlo nella pratica (non con lezioni teoriche, ma nelle asperità quotidiane) anche ai miei colleghi assessori, Quando qualcuno un pò intelligente ha capito di cosa parlavo, ha anch’egli deciso di lasciare la Giunta. Il resto del mio intevento è programmatico e anche su questo mi auguro contributi e approfondimenti specifici, non commenti generosi o viceversa critici, ma generici. Siamo chiamati come cives a sforzi di comprensione e di proposta, anziatutto per poter giustificare lo stesso fatto di pretendere di parlare o di scrivere. Altrimenti meglio faremmo a star solo a guardare: ogni atteggiamento e d ogni parola infatti hanno effetti e piuttosto che generarne di sbagliati è meglio astenersi (non lo dico ovviamente per te). Ciao. Tonino.
3 Giugno 2007 alle 01:25
Non posso che essere d’accordo, anche, o soprattutto, sulle precisazioni e le messe a punto circa le “confidenze” che sono cose già dette pubblicamente: Effettivamente, soprattutto negli ultimi tempi, io (come molti altri, credo) mi sono parecchio distratto dalla politica. Per via di quella nausea che non è facile mettere da parte ma che bisogna ritrovare la forza e la volontà di superare.
La sola cosa che non ho afferrato del tuo intervento è l’accenno alla sinistra “benaltrista”. Ti riferisci per caso a quelli che, levandosi lentamente gli occhiali dal naso, dicono sempre che “il problema è un altro”?. Essere confuso con questo atteggiamento – qualora me lo si facesse notare, anche solo come rischio – davvero mi indurrebbe a nascondermi per la vergogna o ad autoesiliarmi in Slovenia (dove il buon Marco mi dava per rifugiato).
Altre eventuali zone d’ombra credo le possiamo mettere in chiaro parlandone a voce, senza sottrarre troppo spazio al sito.
5 Giugno 2007 alle 10:19
Dopo aver letto il commento amareggiato di Mimmo Bua al pezzo sulla “Costituente” di Pintor, ho l’obbligo di precisare, per evitare ogni ulteriore rischio di fraintendimento, che la critica al “benaltrismo” non era certamente rivolta a Mimmo, bensì proprio a qualche impostazione di ragionamento che intravvedo anche sul Manifesto sardo e nell’articolo cui ho allegato un commento. Tutta la sinistra perbene sarda (si guardi il dibattito nel sito dell’altravoce di Giorgio Melis e quello apersto nel sito insardegna.eu di Francesco Pigliaru e Giorgio Macciotta: sicuramente gente piuttosto moderata per struttura culturale e politica) si sta interrogando seriamente e senza alcuna acrimonia personale sul bilancio di tre anni della corrente legislatura regionale. Possibile che proprio sul Manifesto sardo si trascuri (per mantenermi solo sui miei temi, costitiuzionali e programmatici) che nessun fine giustifica l’uso di mezzi discutibili e che conclusivamente questi mezzi finiscono per apparire l’unico fine? Altro che Presidente e Movimento antisistema! Se si analizza la vicenda degli apparentamenti per i ballottaggi a Oristano e a Selargius mi pare che la polizza assicurativa che emerge essere stata stipulata al Congresso regionale dei DS stia cominciando a dare i suoi frutti: tutta la stampa regionale di oggi osserva il ritorno in campo di Emanuele Sanna e di Giorgio Oppi come grandi mediatori. E’ un bene? E’ un male? In sè nessuna delle due cose. E’ solo il solito business dei poteri forti della politica sarda. Tonino.
7 Giugno 2007 alle 13:29
Caro Tonino, il tuo ultimo commento (quello sul benaltrismo) apparso sul numero 3 del manifesto sardo mi ha sorpreso per la posizione che attribuisci al quindicinale sul governo Soru. È vero che i nostri ricordi col passare del tempo tendono ad offuscarsi e non sempre riusciamo a ricostruire con precisione opinioni espresse qualche anno prima. Ma sulla vicenda Soru ricordo di aver espresso con nettezza, insieme agli altri compagni del manifesto in Sardegna, un giudizio preciso. Per essere sicuro di quel che dico sono andato a rivedere alcuni articoli o posizioni espresse pubblicamente nel corso di questi anni. Te le ricordo indicando anche dove sono apparse.
1) Articolo apparso sull’unione sarda il 5 settembre 2003, firmato Marco Ligas: In queste settimane è emerso il nome di Renato Soru; di lui si dice che, essendo un buon imprenditore, potrebbe rappresentare una sintesi tra la politica e il sistema produttivo. Ma è davvero così? Non c’è forse in questa tendenza l’assunzione da parte del centro sinistra di una filosofia che è propria dell’avversario per cui, per vincere una competizione elettorale, occorre puntare sulle componenti sociali che attribuiscono grande importanza ai valori dell’impresa? E non sarebbe invece più opportuno accompagnare i nomi dei candidati, anche i più prestigiosi, con programmi politici che contengano le risposte alle domande di cambiamento che vengono dalla società?
2) Lettera apparsa sul manifesto quotidiano il 17 giugno 2004 : … Esprimiamo i nostri dubbi per il modo apologetico e acritico con il quale il giornale ha trattato il problema della candidatura di Soru nella fase che ha preceduto il voto (voglio ricordare che in quel periodo dalla Sardegna scriveva per il manifesto un altro compagno che non fa parte del manifesto sardo). Non è nello stile del quotidiano e non ne abbiamo bisogno. E non si trattava soltanto di precisare l’identikit di questo imprenditore sardo e di verificare quanto sulle sue fortune abbiano giocato gli effetti della bolla speculativa che ha determinato lo sviluppo (e la mitologia) della new-economy negli anni recenti quanto, piuttosto, di vedere oggi, in fase di recessione, il ruolo che le banche giocheranno nel deciderne le sorti.
Si tratta, altresì, di considerare come possano diventare concreta e positiva prassi di governo tutte le genericità del programma politico nel quale si sommano elementi di liberismo, richiami all’efficientismo, ricorso alla panacea della trasversale questione identitaria come antidoto alle insufficienze di proposta politica. Non abbiamo bisogno di santini e di leader carismatici ma di un ritorno all’impegno politico e civile dei cittadini, dei lavoratori, dei movimenti. Soltanto così la vittoria conseguita potrà aprire prospettive concrete di sviluppo. Al quotidiano il compito di divenire strumento attivo di vigilanza. Saluti comunisti da
Virgilio Campus, Serafino Canepa, Cenzo Defraia, Marco Ligas, Cenzo Marongiu, Antonello Mura, Franco Tronci
3) Articolo apparso su Altravoce.net nel febbraio 2007…. Insomma attribuire al presidente dell’esecutivo il massimo dei poteri, il ruolo di capo indiscusso è una pessima scelta, non solo perché alimenta cattive virtù ma perché ci riporta indietro nel tempo e indebolisce principi fondamentali della democrazia quali la partecipazione, la collegialità e il consenso.
Questi principi vanno rispettati comunque, indipendentemente dagli aspetti caratteriali delle persone che governano. E valgono ancor più per il Presidente Soru al quale si rimprovera un eccesso di decisionismo, forse attribuibile alla sua formazione culturale e imprenditoriale che non concede molto spazio alla collegialità.
Qualche osservatore manifesta la preoccupazione che le critiche rivolte all’attuale Presidente della giunta possano favorire un ritorno a situazioni del passato, caratterizzate dalla litigiosità e da una concezione della politica intesa come comitato di affari. E’ un rischio che non bisogna sottovalutare, ma non si evita accettando un quadro legislativo privo di quei contrappesi che garantiscono la gestione equilibrata del governo della Regione.
Caro Tonino mi pare che queste prese di posizione mostrino che anche in altre sedi i compagni del manifesto sardo, oltrechè in diversi articoli di questa ‘nuova avventura’ (compresi ovviamente i tuoi), non sottovalutino i fini e i mezzi usati da Soru. E allora perché ci rivolgi queste osservazioni? Io penso che se Soru si permette troppe licenze che offendono la democrazia la causa principale sia da individuare nella subalternità della coalizione che lo sostiene. Lo stesso esecutivo che ha lavorato in questi anni e che continua a lavorare con lui non ha mostrato e non mostra molto coraggio nel contrastarne le derive autoritarie e alcune scelte programmatiche molto ambigue. Ecco, indirizziamo su questi aspetti la nostra critica e il nostro desiderio di cambiamento. Credo che sia più utile pensare alla ricostruzione della sinistra con questa ispirazione.
Ti saluto con affetto, Marco Ligas.
7 Giugno 2007 alle 21:55
Ricambio l’affetto (non recente, costante e immutato, da parte mia, del resto); non ho mosso critiche al passato (anch’io potrei citare un mio articolo sulla Nuova Sardegna della primavera 2004 sulla stessa lunghezza d’onda di quelli che cita Marco: solo, il mio, un pò più ingenuo); ho colto (magari sbagliando) nell’articolo di Franco una qualche indulgenza (magari, poi, non sbagliata e in tal caso sono io che sbaglio nuovamente) sul presente, rispetto al dibattito che osservo in altri siti certamente non estremisti; prego tuttavia di tornare ai punti che mi premono, per approfondire: a) il fine (anche il migliore) giustifica i mezzi (il travolgimento di elementari principi di correttezza e trasparenza) nel gestire la cosa pubblica? oppure, finalmente liberandoci di un certo machiavellismo proveniente anche dalla nostra tradizione (quella togliattiana, però, non quella gramsciana: nel “Principe” Gramsci non aderisce affatto al modus operandi -diciamo così -del duca Valentino), è l’ora di affermare che mezzi e fini sono indissolubili? b) il mio intento resta quello analitico e programmatico: sono stato angosciato da amminstratore e resto preoccupato da cittadino nel constatare che, mentre il tempo si dipana inesorabilmente, la struttura economica e sociale sarda continua ad andare alla deriva senza guida. Tutto qui. Non ho più molta voglia di leggere me stesso e neppure di scrivere. Vorrei davvero leggere, come mi capitava in passato (non ho dimenticato il nostro compianto compagno di strada Marcello Lelli) qualcosa che mi arricchisca e mi faccia capire. Ciao.
7 Giugno 2007 alle 22:22
Alt. Posso aver male interpretato.Confido in un rilancio sul piano analitico e su quello programmatico. Credo di aver sparato tutte le cartucce a mia disposizione e attendo che qualcuno mi ricarichi di argomenti e di conoscenze. Non fermiamoci qui. L’affetto è ricambiato e non nato di recente: io l’imprinting non lo dimentico. Ciao. Tonino.