Il vuoto
1 Agosto 2008C’è un vuoto nella politica regionale del centrosinistra, un divario preoccupante tra ciò che avviene nel paese e la scarsa importanza attribuita al nuovo corso iniziato dopo il 14 aprile. In Sardegna la campagna elettorale del prossimo anno sta entrando nel vivo e tuttavia i partiti che governano la regione danno l’impressione che i temi della politica nazionale non riguardino anche la nostra isola, essendo interamente impegnati a risolvere il problema della ricandidatura di Soru.
Eppure le scelte del governo non sono irrilevanti. Viene condotto un attacco violentissimo ai diritti delle persone e alle loro condizioni di vita che avrà delle conseguenze gravi anche da noi. Non è soltanto la seconda parte della Costituzione ad essere minacciata e stravolta ma anche la prima, quella che riguarda il principio di uguaglianza e il quadro dei diritti individuali. Il Parlamento viene continuamente esautorato e l’Esecutivo tende ad esercitare anche i poteri legislativo e giudiziario senza che ci sia un’adeguata opposizione. La riforma della legge elettorale che doveva essere la prima iniziativa del nuovo governo è entrata nel dimenticatoio. Così quello che, negli anni scorsi, è stato definito il cambiamento del sistema politico con l’introduzione delle nuove leggi elettorali, oggi si precisa e assume le caratteristiche proprie di un cambiamento del sistema costituzionale. I cittadini del nostro paese sono ormai diversamente uguali davanti alla legge. La classe politica o la casta, come ormai viene comunemente definita, si protegge sempre più dalla Giustizia attraverso Lodi, immunità parlamentari, prescrizione dei processi, attribuzione di privilegi. In passato ho sempre avversato l’espressione classe politica, la ritenevo qualunquistica perché considerava omogenee formazioni politiche che stavano su fronti opposti. È probabile che allora questa avversione fosse giustificata, ma oggi ritengo che nella politica del nostro paese siano intervenute mutazioni per cui in tutti i partiti si sono formati gruppi di potere che mettono al primo posto il consolidamento delle proprie carriere dimenticando i bisogni dei lavoratori e delle fasce sociali più deboli. Anche i cittadini di altri paesi presenti in Italia sono diversamente uguali davanti alla legge. Lo sono rispetto agli italiani nei confronti dei quali hanno minori diritti nonostante molti svolgano attività riconosciute utili e necessarie. Rischiano l’espulsione se non hanno il visto o non trovano lavoro; e la recente istituzione del reato di clandestinità facilita questo processo. Con sfrontatezza si afferma che la rilevazione delle impronte ai bambini rom è un atto di protezione nei loro confronti. Per attenuare la gravità di questo gesto si decide di rilevare le impronte a tutti i cittadini a partire dai prossimi anni, come se questa fosse una garanzia di uguale trattamento e non una violazione plateale del diritto alla riservatezza di cui tutti dovrebbero godere. Ma l’attacco frontale che conduce il governo non finisce qui: anche il ridimensionamento del sindacato rientra nella sua politica. L’abolizione del contratto collettivo è l’obiettivo principale che vuole raggiungere. Non è cosa da poco: attraverso la sua cancellazione intende eliminare la dimensione sociale del lavoro e così il rapporto tra padronato e lavoratori diventa un fatto individuale. In questo modo i lavoratori, presentandosi singolarmente alla trattativa, non avranno altra scelta se non quella di subire il ricatto che verrà loro imposto. Già le forme di precariato esistenti preannunciano quale sarà la condizione sociale del lavoro. Nel nostro paese abbiamo salari fra i più bassi d’Europa, eppure se le retribuzioni fossero adeguate alla produttività, come esortano i ministri Sacconi e Brunetta, dovrebbero essere più alte almeno del 10%. E come se tutto ciò non bastasse si preannuncia un’altra riforma disastrosa: quella sul federalismo fiscale che non solo darà un colpo rilevante all’unità del paese ma consentirà alle regioni ricche di tenersi la quota più alta dell’Iva (si ipotizza una percentuale non inferiore al 70%). In questo modo non solo si accantonerà qualsiasi sembianza di politica perequativa ma si metteranno le istituzioni del paese nell’impossibilità di funzionare per mancanza di fondi.
Ecco, questo è il contesto in cui si svolgeranno le prossime elezioni in Sardegna. È superfluo ribadire che il centrodestra che opera nell’isola è del tutto omogeneo a quello che ha vinto le elezioni politiche. Questa coalizione che è fedele alleata di una confindustria conservatrice, pronta a ribadire il primato del mercato ma al tempo stesso arrogante nel pretendere le sovvenzioni pubbliche, già si prepara non solo a dare l’assalto alle coste rimaste ancora integre, ma anche a ridurre ulteriormente le politiche sociali nei settori della sanità, dell’istruzione, dei servizi. Davanti a tutto ciò che cosa fa il centrosinistra? Si agita e non riesce a stabilire se il candidato alle prossime elezioni regionali sarà Soru oppure no e se sarà meglio fare le primarie di partito (naturalmente PD) o di coalizione. È davvero difficile capire e giustificare questa inefficienza. È probabile che ci sia ancora tempo (poco) per fuoriuscire da questa paralisi, ma non sarà certo la scelta di un candidato a dare slancio alla coalizione. Se questa non saprà affrontare le questioni relative al funzionamento democratico dell’istituzione regionale e se non darà segnali attendibili di una politica tesa ad affrontare i bisogni reali dei cittadini, a partire dall’occupazione, andrà incontro ad una sconfitta certa dalle conseguenza gravi.
9 Agosto 2008 alle 19:30
Condivido pienamente. Anch’io mi sono rifiutato fino a ieri di adoperare il termine “classe politica”, ma oramai mi sembra chiaro che questa classe ha un ruolo specifico nel processo sociale, è parte integrale di un sistema di rapporti sociali e di produzione le cui finalità sono condivise. E’ difficile resistere, se non si riesce a comprendere fino in fondo quali sono i meccanismi di questo sistema (della fase attuale del sistema capitalistico), la sua ideologia, le ragioni della sua egemonia.