Un tema in disuso
1 Settembre 2008
Paola De Gioannis
Di pace non si parla più. L’indifferenza sembra essersi sottilmente insinuata nella sensibilità di tutti. Ogni tanto assistiamo a parole di circostanza per dire di questo o quel paese ma nessun politico parla di pace come progetto, come modo di percepire il mondo, pensarlo, programmarlo. La guerra è funzionale al mondo nel quale viviamo. Omologato ad un sistema di valori regolati dalla dittatura del profitto, il pianeta ha trovato nella religione del mercato, la sua espressione più compiuta. Il commercio delle armi è in continua espansione e le risorse dei popoli deboli periodicamente sfruttate. Cupo e feroce, lo sfruttamento impone il prezzo di migliaia di vite umane il cui numero, mai reso pubblico, forse neppure conosciuto, finisce per perdersi nella complessiva economia dell’operazione. E se la distruzione delle cose favorisce la successiva, vantaggiosa ricostruzione, la mutilazione dell’ambiente non è più ricomponibile. L’ambiente è distrutto per sempre.
“Chi ama la guerra – scriveva Erasmo già nel Cinquecento – non l’ha mai vista in faccia”. Chi l’ha vista in faccia parla di macello, strage, pazzia. Quell’atto violento per ridurre l’altro in nostro potere non si cura affatto del dramma di colui che lo subisce. Dietro l’immensa tragedia di coloro che ne sono vittima innocente si nascondono ogni volta gli interessi di pochi che nulla hanno a che fare col “giusto” ma molto con il denaro e con il potere. Lo sappiamo, la prima vittima è la verità.
La riflessione sulla guerra secondo l’etica politica di una parte dell’umanità, si intreccia con un più generale ripensamento del mondo giunto al limite di una pericolosa soglia critica. E’ necessario costruire altri sistemi, ispirati al superamento degli egoismi e alla composizione degli interessi. La questione della pace infatti – ed è ragione sufficiente per ignorarla – riporta in luce il rapporto non più dilazionabile, fra pace e giustizia.
Rifugiati, clandestini, disperati giungono a noi, impreparati ad accoglierli, sulle incerte carrette di un mare troppo spesso nemico. Ogni vita un dramma. Portano con sé la paura, l’eco lontana di “guerre dimenticate” dove i bambini diventano soldato. Intanto le guerre del petrolio continuano, anzi si fanno più dure e prevaricatrici, in risposta le bombe umane e le loro vittime non si contano più. Ultimo in ordine di tempo, il conflitto interno ai paesi dell’ex Unione Sovietica dalla cui disgregazione il mondo aspettava un nuovo equilibrio di libertà e pace. Una spirale di guerre dagli sviluppi imprevedibili. Guerre di sfruttamento, di controllo dei mercati, di invasione, dimenticate, di prevaricazione, vendicative, punitive, che sembrano non lasciare spazio al dialogo, e ancor meno a soluzioni pacifiche nell’ambito della legalità internazionale.
Introdotto nel linguaggio politico agli inizi del secolo scorso, il termine pacifismo si appesantì subito di valutazioni spregiative. Rinunzia alla volontà di difendersi, mancanza di coscienza nazionale, infatuazione utopica, abbandono di realismo politico e fino agli anni trenta del secolo scorso, indegnità nazionale. Il programma del pacifismo perseguiva il fine di un ordinamento in cui l’uso della forza fosse mantenuto sotto controllo attraverso i meccanismi della politica e gli strumenti del diritto internazionale. Ma l’uso della forza proprio come mezzo della politica, rimase un’istituzione legale e il movimento non riuscì a conferire alla pace lo stesso carattere. La guerra è un’istituzione. La pace non lo è.
Il movimento della pace – dileggiato ancora oggi dai padroni della terra – è un aspetto del più vasto movimento civile di emancipazione umana. I popoli non vogliono la guerra. La vita è un diritto universale. La democrazia non si “esporta” con il terrore, lo strazio dei corpi, lo stravolgimento del territorio ma con il confronto, nel rispetto dell’autodeterminazione e della cultura di ciascun popolo.
Il superamento della guerra tuttavia, è ancora una questione complessa perché nessun governo è disposto ad ammetterne un uso diverso dalla difesa.
L’uomo è per sua natura un essere culturale e la guerra non è un destino ineluttabile ma una decisione consapevole, quella della aggressività in luogo della socialità. La scienza moderna applicata allo sterminio ha dotato l’uomo di armi sofisticatissime e l’umanità si trova a decidere fra l’autodistruzione attraverso la guerra o l’autoliberazione dalla guerra. Ma è un cammino obbligato. La linea di indirizzo della storia non può essere la fine dell’uomo.
Una larga riflessione politica, giuridica, morale sorretta dal rifiuto di qualsiasi tentativo di demonizzazione di popoli o civiltà nello spirito di una tolleranza fondata sul riconoscimento dell’altro, è una responsabilità che ci riguarda tutti.
Costruire una filosofia del vivere veramente alternativa non è tuttavia impresa facile. Quella della non violenza – era solito ricordare Aldo Capitini a coloro che hanno vissuto l’importante, profonda esperienza di essere stati suoi allievi – è una scelta verso la vita e se entra nella scena del mondo, niente rimane più come prima, il rapporto fra i popoli, la politica, la morale e persino la morte.
Scegliere un modo piuttosto che un altro di essere uomini, passare da un’idea del mondo ad un’altra è un salto di civiltà che non coinvolge tuttavia solo i governi ma gli individui stessi. L’uomo, la sua storia lo testimonia, non è soltanto ” il lupo dell’altro uomo”. Sebbene la guerra – le superbe parate degli armamenti militari lo sottolineano – sia ritenuta elemento costitutivo dell’identità di un popolo talvolta più degli stessi valori che ha saputo esprimere, l’umanità non è soltanto storia di guerra e di violenza. E’ anche storia di lotta alla guerra, alla sua natura di strumento barbaro e traumatico al quale contrapporre l’intelligenza della ragione. Uccidere il proprio simile non è un fatto biologico, ma un percorso antropologico, culturale, storico.
Siamo entrati in una storia nuova nella quale ciascuno si confronta ogni giorno col diverso da sé. E’ questa la vera rivoluzione di quel Novecento che il vento della storia ha già portato lontano. Ma ogni individuo come ogni popolo deve essere consapevole che nessuno è il centro dell’universo sul quale misurare il valore dell’altro. Ciascuno è un valore in sé. Oggi l’ incontro con l’altro è percepito come una minaccia, qualcosa di cui diffidare prima ancora di conoscere. Quando la conoscenza verrà approfondita in un costume di attenzione reciproca, la contrapposizione delle culture prenderà la forma di uno scambio interculturale di esperienze, di significati umani, di crescita. Gli uomini saranno allora più liberi dal ricatto della guerra, perché saranno più liberi dall’identificazione del diverso col nemico. – E’ possibile – scriveva nel luglio 1932, Einstein a Freud – dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alla psicosi dell’odio e della distruzione?
– Forse – rispondeva Freud dopo una sofferta argomentazione – non è una speranza utopica…- La loro speranza è un momento del ripetuto tentativo dell’intellettualità mondiale di trovare una risposta all’inquietante perché della guerra.
I mutamenti radicali, quelli che cambiano la storia, conoscono involuzioni e ritorni, sono lenti e faticosi ma non impossibili.
Deve pur esserci, nonostante tutto, un modo nuovo di essere uomini.
1 Settembre 2008 alle 12:49
“Deve pur esserci nonosante tutto, un modo nuovo di essere uomini” . Così conclude Paola nel suo bel saggio , che è di per sé un importante contributo per far sì che anche la pace diventi, come la guerra , “un’ istituzione”, come lei auspica. L’istituzione deputata a rendere impraticabile la
guerra. Peccato che motivi redazionali (così penso) abbiano, per mancanza di stacchi, reso graficamente difficile la lettura. Aupico che i lettori vadano oltre l’impatto della grafica.
8 Settembre 2008 alle 21:21
Un saggio profondo che fa riflettere. La questione della pace è sempre meno sentita soprattutto dalle nuove generazioni, grazie a un bombardamento mediatico fatto di false illusioni e grandi fratelli. Un bombardamento che si occupa volutamente, in maniera approssimativa e qualunquistica dei grandi problemi del mondo e tenta di screditare il valore della pace con slogan martellanti quali la “guerra è un fatto normale”, “la guerra è necessaria”, “i pacifisti sono dei pericolosi, violenti no global”, “le bandiere della pace compaiono soltanto quando di mezzo ci sono gli Stati Uniti” Del resto viviamo nel tempo della non-informazione e delle non-notizie, e siamo noi, soprattutto i giovani, a dover cercare la verità ed eventualmente diffonderla. La questione della guerra va affrontata anche dal punto di vista della immensa quantità di denaro, mai messa in discussione, in un momento in cui una metà del mondo soffre la fame e l’altra taglia senza troppi scrupoli sulla ricerca.
Secondo uno studio molto serio del SIPRI, Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma, le spese militari mondiali ammontano nel 2006, a oltre 1200 miliardi di dollari. In testa figurano gli Stati Uniti con una spesa pari a 529 miliardi di dollari, seguono Regno Unito, circa 60 miliardi di dollari, Francia e Cina, circa 50 miliardi di dollari. L’Italia occupa il nono posto con circa 30 miliardi di dollari. E’ una responsabilità che ci riguarda tutti.
10 Settembre 2008 alle 15:07
E’ proprio vero. Di pace purtroppo non si parla più. Come scrive Paola De Gioannis è un tema “in disuso” e la mancanza di progetti di pace è radicalmente sostituita da enormi interessi economici che, celati sotto la falsa motivazione dell’ordine e della sicurezza internazionale, generano “guerre giuste !!??” fatte con “bombe intelligenti !!??” (troppo spesso così definite per farcele digerire).
Noto con grande piacere che l’autrice dell’articolo punta il dito con coraggio e convinzione su un argomento di grande rilevanza sociale ma ormai dimenticato dai più. Devo però constatare con amarezza che argomenti di tale portata siano affrontati sempre più raramente e che siano soprattutto le riviste con un ristretto numero di lettori ad affrontare questi temi.
14 Settembre 2008 alle 12:24
Pace. Se ne parla sempre facendo riferimento al concetto di illusione, considerandola come un orizzonte sempre più lontano, forse la più grande utopia. E così non si fa che contribuire al suo distacco dalla realtà, dalla nostra società, dalle nostre vite…si rende davvero non praticabile il cammino per raggiungerla, incolmabile il vuoto in cui è immersa. La pace è, in realtà, un processo più concretamente perseguibile e realizzabile di quanto non ci venga fatto credere o di quanto crediamo, ma forse sarebbe troppo scomodo rendersene conto…se venisse realizzato che ciascuno di noi può essere determinante per la sua costituzione questo farebbe davvero paura ai molti. Invece è meglio far credere e convincersi che non sia realizzabile un mondo senza guerra, meglio arrendersi e non battersi per una battaglia già persa in partenza, meglio fuggire di fronte alle responsabilità.
La costruzione della pace parte proprio dal nostro vissuto quotidiano e deve essere compiuta mattone su mattone.
La pace è un impegno, un modus vivendi e tutti ne siamo responsabili.
Gandhi, il Mahatma, il primo più grande sostenitore della non violenza , scriveva: “sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.
Questo potrebbe e dovrebbe essere il punto di partenza per far sì che la pace possa finalmente diventere reale, concreta e profondamente umana.
Grazie a Paola De Gioannis per il prezioso contenuto del suo articolo e per questo momento di rifessione.
3 Maggio 2014 alle 15:13
Di pace non si parla più…..quanto è attuale l’articolo che la saggista Paola De Gioannis scrisse 7 anni fà, non è cambiato niente,la pace nel mondo è ancora un’ utopia che l’uomo ancora oggi , cerca invano o meglio che l’uomo vuole ma non fa niente perchè questo avvenga.La pace è il bene più prezioso per l’umanità: purtroppo se ne comprende l’immenso valore solo quando questo bene viene perduto. Il valore immenso della pace: un bene che nel passato è stato piuttosto raro,ancora oggi troppi focolai di tensione e guerre sono presenti nel mondo . La fine della cosiddetta guerra fredda non sembra aver liberato l’uomo dall’incubo del conflitto armato,troppe risorse che potrebbero alleviare tanti disagi e tante sofferenze dell’umanità sono purtroppo destinate alle spese per gli armamenti. E’ possibile realizzare, in un prossimo futuro, l’aspirazione alla pace e alla concordia di tutta l’umanità? Non voglio essere pessimista al punto di credere che nell’uomo alberghi sempre una disponibilità di violenza, un brutale istinto di sopraffazione e di morte, spero e credo che, nel futuro, si possa dar vita a una nuova era di pace, di concordia e quindi di benessere per tutta l’umanità,