Guido Costa. La Sardegna e l’altrove
15 Giugno 2007Antonio Mannu
“Una fotografia del 1900, che emozionava allora per il suo soggetto, è oggi più probabile che ci commuova perché è stata fatta nel 1900. Le qualità e le intenzioni delle singole fotografie tendono a scomparire nel pathos generale del passato. (….) E il tempo finisce per portare tutte le fotografie, comprese le più dilettantesche, ad un livello d’arte”.
Parole di Susan Sontag che echeggiano, incontrando corrispondenze immediate, lungo il percorso tra le sale dell’ex tribunale di Nuoro che, dal 26 di maggio, e sino al 31 di agosto, ospita la mostra fotografica “Guido Costa fotografie della Sardegna nel primo Novecento”. Realizzata dall’ Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna, in collaborazione con il Comune di Nuoro, l’interessante esposizione presenta al pubblico, per la prima volta, l’intero corpus del Fondo Costa, e segna, dopo anni di assenza, il ritorno dell’Istituto nel campo delle grandi mostre fotografiche. Il fondo prende il nome dall’autore delle immagini, Guido Costa, insegnante di lingua inglese, fotografo amatore quindi, nato a Sassari nel 1871, morto nel 1951 a Cagliari, dove trascorse gran parte della vita. Figlio di Enrico Costa, scrittore e storico della città di Sassari, appassionato uomo di cultura. Non v’ è dubbio che la figura paterna, per la quale Guido Costa palesava un’autentica devozione, abbia molto influito sulla sua formazione e sui vasti ed eclettici interessi coltivati. Insegnante e traduttore dall’inglese, fu giornalista pubblicista, conferenziere, fotografo, pittore, suonava il pianoforte, accompagnando, a volte, proiezioni di fotografie, realizzate con l’ausilio della lanterna magica, un evocativo oggetto che può essere ammirato in funzione nel corso della visita alla mostra nuorese. Fu dirigente della Croce Rossa Italiana, con la quale partecipò, come documentano tre immagini in mostra, ad una campagna antimalarica per la somministrazione del chinino alla popolazione sarda. Dai dati biografici raccolti pare emergere la figura di una persona affabile ed estroversa, capace e disponibile al dialogo e all’incontro con chiunque, che si trattasse di appartenenti alle fasce più umili della popolazione, o di persone abbienti e colte. Pare fosse generoso, capace di ascolto ed attenzione disinteressata. Tratti della persona che sarebbero piaciuti a Kapuscinski.
L’allestimento della mostra segue una sequenza tematica: ritratti maschili e femminili, luoghi, attività, oggetti, architetture, paesaggi, accompagnati da esaustive didascalie e alcuni brani dell’autore. Il Fondo Costa é costituito da centoventisette negativi in bianco e nero, alcuni su lastra di vetro, altri su pellicola al nitrato, del formato prevalente di cm.13×18, con quattro esemplari di cm. 9×12. La produzione risale quasi certamente alle prime tre decadi del Novecento. Si tratta di un nucleo diversificato di immagini che riguarda tutta la Sardegna, da Cagliari e il Campidano ai territori dell’interno, fino alla parte settentrionale dell’isola. Una raccolta rappresentativa dell’attività fotografica di Costa, presentata integralmente, tanto più importante dal momento che il complesso della sua opera è andato disperso nel tempo.
Il tempo quindi, la nostra distanza da quel quando, come elemento di determinante importanza per la lettura di queste immagini, davvero straordinarie. Non a caso, nella presentazione dell’ottimo catalogo, edito dall’ ISRE e dalla Ilisso di Nuoro, Paolo Piquereddu, direttore dell’Istituto, scrive: “Oggi nessuno dubiterebbe del contenuto etnografico (…) delle foto di Costa; ma questo è un risultato del tempo, dell’allontanarsi progressivo e inesorabile di un presente che nel diventare passato assume le più diverse connotazioni di significato”; e Rosanna Cicalò, nel testo introduttivo, dal titolo pirandelliano di “Immagini di un professore con fotocamera”, sostiene che: “Analizzare una raccolta fotografica non è attività trascurabile; se poi lo studio è rivolto ad una raccolta storica diventa decisamente (….) coinvolgente. (….), ciò che rende complessa l’analisi è la distanza temporale e culturale dal fotografo e dai documenti da lui prodotti”. L’osservatore “non potrà non introdurre delle interpretazioni sviluppate da una sensibilità contemporanea” Per concludere che: “Le fotografie (….) separate dal contesto in cui sono state prodotte (…), possono acquistare significati lontani dalla motivazione originaria che ne aveva dettato la realizzazione; il tempo, infatti, conferisce loro la capacità di sfuggire agli scopi e ai propositi dell’autore..”
Cosa animava il fare fotografico del professor Costa, quali le sue intenzioni? Sicuramente una grande curiosità, unità all’interesse per l’uomo e le sue opere, particolarmente alla quotidianità, quella dei più umili, dei “dannati della terra”. Al di là delle sue intenzioni questa posizione da vita ad una “istintiva attitudine antropologica” che emerge dalle immagini e che lo porta “come non molti altri fotografi dell’epoca” a riprendere “soprattutto le persone, la gente comune e solo in minima parte i monumenti” (Rosanna Cicalò).
Ma allora che Sardegna è questa, cos’ era l’isola al tempo del “professore con fotocamera”, a quale Occidente appartiene, apparteneva? A quale Oriente forse? E’ terra, è mondo, sono donne, uomini, storie, racconti. Universali pur nella distanza, nell’isolamento, nell’insularità. Gli ultimi, gli umili, anche nelle diversità e nelle differenze, s’assomigliano ovunque, tanto da quasi sovrapporsi. Le posture, le mani, gli occhi, i gesti rituali e quelli d’uso comune e quotidiano della gente semplice, rivelano parentele insopprimibili con le posture, le mani, gli occhi, i gesti rituali di donne e uomini già visti altrove, delle donne e degli uomini che è possibile incontrare ad ogni latitudine. Questo raccontano i volti e le cose, riconducendo la molteplicità all’uno, all’unicità della condizione umana. Poi, soltanto dopo però, arrivano i simboli, le architetture modellate dalle idee e dalla fede, gli abiti alla moda dei borghesi, ed ecco che la Sardegna si fa cristiana, occidente, Italia. Ma il volto di una ragazza di Desulo, con le sue vesti tribali, racconta dell’ altopiano tibetano, di aborigeni canadesi, di un villaggio qualsiasi di montagna. E’ questa la “bellezza” salvifica che possiamo cogliere oggi in queste fotografie, questa la loro “verita”. Raccontano gli altri, i nostri morti, che ci osservano da un lontanissimo ieri, lasciandoci specchiare in loro, e rispecchiando in loro altri, solo apparentemente a noi lontani. Un gesto intellettuale che, sottilmente, uccide il fascismo.
ex tribunale in piazza Santa Maria della Neve-Nuoro;
fino al 31 Agosto 2007, tutti i giorni dalle 10,00 alle 20,00.