L’edilizia archeologica
16 Settembre 2008
Edoardo Salzano
Da ‘Carta’, n. 33, 12 settembre 2008. Nel 2000 la Regione Sardegna, il Comune di Cagliari e gli uffici dei Beni culturali fecero un clamoroso errore. Con un “accordo di programma” decisero di smembrare il sistema collinare che conteneva la più grande necropoli punico-fenicia e romana del Mediterraneo cioè del mondo intero, e di edificarvi ulteriori 400mila metricubi di costruzioni. Nel frattempo un dissennato piano regolatore consentiva di costruire giganteschi palazzoni al piede e sulle prime pendici del colle, tagliando la storica visuale verso i luoghi del primo insediamento della città e demolendo 431 tombe puniche, fenicie e romane. Una piccola parte dell’area (22 ettari) era stata assoggettata dalla sovrintendenza nel 1996 al vincolo archeologico. Un successivo vincolo paesaggistico su tutto il colle era stato violato dalla stessa regione, che aveva dato il nulla osta paesaggistico agli interventi previsti dal nefasto “accordo di programma”. Complici oggettivi del misfatto: il comune, la regione, la sovrintendenza ai beni culturali. Egemone e vincitore: un costruttore, proprietario dell’area. Il grimaldello: la perequazione, questa turpe invenzione dell’urbanistica mercificata. Vittima: una preziosa area archeologica, unica al mondo. Modalità del crimine: la divisione della necropoli in tre parti, una riempita da palazzi, una seconda coperta da un giardinetto alla Milano 2, una terza ceduta dai proprietari, bontà loro, alla pubblica amministrazione. Cambia la maggioranza regionale: nasce la giunta presieduta da Renato Soru. Ma nel frattempo gli interessi dei costruttori si tramutano in progetti, che ottengono le prescritte autorizzazioni. Il silenzio è rotto da una provvida iniziativa: Italia nostra organizza un convegno, invita il presidente della Regione che va a visitare il luogo, ne comprende l’importanza e avvia un nuovo procedimento di vincolo. Mentre il Piano paesaggistico regionale riconosce l’intera area (corrispondente a circa … ettari) come meritevole di particolare tutela, Soru insedia una commissione invitandola a riprendere in esame il prezioso patrimonio e a individuare le modalità più opportune per assicurarne la conservazione e la contemplazione. La commissione opera, conclude i suoi lavori, specifica – in un’ampia relazione – le ragioni della tutela e le caratteristiche dei provvedimenti da assumere. Questi ovviamente comportano la revoca unilaterale dell’accordo di programma, consentito dalla legge che disciplina questo istitutose sussistono regioni d’interesse pubblico. Ma i costruttori, e i loro complici, naturalmente non si arrendono. Ricorrono alle giustizia amministrativa. Questa invalida, poche settimane or sono, le conclusioni della Regione per alcuni errori procedurali. Tripudio dei costruttori. Angoscia e trepidazione da parte di chiunque conosca il complesso di Tuvixeddu-Tuvumannu e ne comprenda il valore. In Sardegna si è sollevato un vasto movimento di protesta contro la decisione di invalidare il vincolo. La Regione ha deciso di utilizzare ogni strumento disponibile per riproporre il vincolo e salvaguardare l’inestimabile patrimonio. Chi scrive è stato cittadino romano. Ricorda quando un lungimirante ministro, Giacomo Mancini, con un atto di autorità impose la tutela del comprensorio dell’Appia Antica: un patrimonio dello stesso ordine di grandezza di quello di Tuvixeddu. Quella necropoli, quella collina, quel paesaggio non sono un patrimonio che appartenga solo alla Sardegna: è un patrimonio dell’Italia, dell’Europa, del Mondo. Non può essere abbandonato alle sole difese della Regione e degli abitanti. Per questo eddyburg.it e il manifesto sardo hanno lanciato un appello, e invitano tutti ad aderire.
16 Settembre 2008 alle 10:54
dr. Salzano, da tempo la seguivo, pensavo fosse persona accorta ed obbiettiva, purtroppo mi devo ricredere, ha dato una esposizione dei fatti a dir poco sconcertante. Seguo i fatti relativi al colle di Tuvideddu ormai da oltre due anni, lo faccio da cittadino che ha dato il suo voto al presidente Soru, lo faccio per cercare di capire se ho fatto bene o meno e questa vicenda per me funziona come una cartina tornasole. Le conclusioni sono inequivocabile, ho fatto un errore madornale a dare il mio voto a Soru.
Ma torniamo alla descrizione che Lei da dei fatti, il privato non ha ceduto una parte al Comune ma a ceduto la maggior parte, l’80% delle aree, aree private di gran pregio che vengono date ai cittadini, al posto di valutare positivamente questa cessione la si fa passare in secondo piano omettendo l’entità della cessione. Il privato ha tenuto per se i fronti di cava, le zone meno pregiate e maggiormente degradate, quelle sulle quali sorgevano gli imponenti capannoni della cementeria che per anni ha devastato il colle.
Lei parla delle sentenze come quisquigle come se i magistrati che hanno esaminato sicuramente migliaia di documenti avessero espresso un parere superficiale e insignificante come se non avessero parlato di sviamento di potere e uso distorto del potere (alias abuso d’ufficio).
Una domanda mi sorge spontanea: ma Lei ha mai visitato il colle di Tuvixeddu? Conosce la realtà dei luoghi?
Mi sa proprio di no
16 Settembre 2008 alle 22:32
Pubblichiamo la risposta integrale data da Edoardo Salzano su Eddyburg al commento di un lettore sull’articolo scritto per Carta e da noi ripreso(RED).
Caro signor Giusto, suppongo che lei si riferisca all’articolo che ho scritto per la rivista Carta. Ma dell’argomento mi ero occupato anche altre volte sul mo sito. Mentre la ringrazio per la sua considerazione (che spero sopravviva all’articolo) le rispondo sui tre punti che ella solleva.
1) Il suolo, ogni suolo, di per se non vale niente ai fini dell’edificabilità. Quel suolo in particolare non poteva certo essere utilizzato per coltivare vigne o fiori: anche se a questa utilizzazione fosse stato adibito, il suo valore sarebbe stato quello derivante dalla coltivazione agricola. Il valore che deriva dall’attribuzione di edificabilità è un valore attribuito dalla collettività. Quindi il proprietario non ha regalato niente: ha solo ottenuto 400mila metri cubi. Lei mi dirà: lei mi parla di ciò che sarebbe giusto, ma in Italia le cose vanno in modo diverso. È vero, in Italia le leggi riconoscono al proprietario del terreno una qualche edificabilità. Ma allora, se ci riferiamo alle leggi, ricordiamo anche che la legislazione italiana, a partire dalla Costituzione, stabilisce che prima di ogni altro diritto e interesse viene quello pubblico di tutelare i beni culturali e paesaggistici; e questi, per fortuna, senza riconoscere nessun obbligo di indennizzo. L’unico indennizzo è quello per le spese legittimamente e documentatamente sostenute dal proprietario per affidamenti che ha legittimamente ottenuto dalla pubblica amministrazione.
2) Se lei ha letto la sentenza del Consiglio di Stato (e sono certo che l’ha letta) si sarà reso conto che essa invalida la scelta della Regione per questioni di procedura, non di merito. Non ha detto quell’area non era meritevole di tutela: ha detto che la procedura adottata per tutelarla non era corretta. Riconosco che le procedure sono importanti, ma i nostri posteri piangeranno per il merito della vicenda, non per le procedure.
3) Mi chiede se ho visitato Tuvixeddu. Si, ho visitato e ammirato, grazie a qualche cancello sul versante di via Avendrace che era rimasto aperto. È un sito veramente meraviglioso, mi ha dato un’emozione impagabile. E nulla mi ha turbato e scandalizzato di più che vedere quei palazzoni al piede del colle e sulle tombe, e pensare a quegli altri palazzoni che pensano di costruire lassù in cima, e al giardinetto condominiale nel quale pensano di trasformare la necropoli. Ma quello che mi scandalizza di più, devo confessarle, è il fatto che tanti cagliaritani non si sentano custodi d’un patrimonio che è dell’umanità (e che – per converso – tanti italiani ed europei non abbiano idea di quale tesoro è in discussione). Ripeto spesso che quell’area mi ricorda l’area dell’Appia Antica a Roma, che un benemerito ministro (allora quello ai Lavori pubblici) seppe sottrarre trenta anni fa alle costruzioni. Mi auguro che anche questa volta un ministro (nella fattispecie quello dei Beni e delle attività culturali) venga in soccorso del benemerito Renato Soru, al quale va tutta la mia stima e solidarietà.
16 Settembre 2008 alle 23:10
Apprezzo la risposta celere al mio precedente commento, e al proposito ritengo opportuno precisare che i metri cubi previsti a Tuvixeddu sono, secondo le verifiche da me fatte, non 400.000 ma bensì 153.000 su untotale di 263.000 (la restante volumetria è prevista a Tuvumannu in aderenza ai quartieri popolari). Sul fatto che il versante sulla via San’Avendrace sia meraviglioso, sono perfettamente daccordo con Lei, ma Viale Sant’avendrace, in realtà l’edificazione è prevista in via Is Maglias, il versante opposto, un terreno dal quale non è neppure possibile vedere l’area archeologica, un’area di appena 4 ettari che va a contrapporsi alle decine di ettari, mi pare 40, cedute e in cessione al Comune e quindi ai cittadini, e allora mi chiedo, ma i piani pubblico-privato potranno mai esistere una volta che viene negato un accordo del genere andare a rotoli? Quale sarà il privato che si imbarcherà in un accordo di programma con una Pubblica Amministrazione che poi disattende in toto tali accori mettendo a rischio la sopravvivenza del privato, mettendo a rischio il futuro dei suoi lavoratori e loro famiglie?
17 Settembre 2008 alle 16:27
Caro Roberto Giusto, non so quanti siano i metri cubi previsti per gli interventi a Tuvixeddu. Se pure fossero in quantità inferiore a quelli da lei indicati il problema che noi abbiamo sollevato rimane identico. Lei considera, almeno così appare, l’accordo di programma su Tuvixeddu un normale accordo tra una Pubblica Amministrazione e un privato. Ma non è così: l’accordo raggiunto avviene su un terreno che ha una sua importanza particolare, senza cadere nella retorica possiamo dire eccezionale. Insomma Tuvixeddu non è un campo sportivo e la sua tutela ci sembra fondamentale, anche se diverse Amministrazioni hanno fatto poco per tutelarlo. Non dimentichi fra queste il Comune di Cagliari che, come abbiamo detto altre volte, sembra una vittima sacrificale di questa controversia. Lei si chiede poi quando un privato potrà fare un accordo di programma con una P.A. Io penso che potrebbe farlo sempre, naturalmente rispettando l’ambiente, il paesaggio, la cultura e la storia di un popolo. Non mi pare che l’impresa Cualbu si muova in questa direzione. Il futuro dei lavoratori? Via, non è difficile avviare un’attività di impresa in una superficie che non abbia vincoli. Al signor Cualbu sono state offerte delle alternative, perché non esaminarle? Forse sarebbe opportuno parlarne di più pubblicamente. Il futuro dei lavoratori lo vedo minacciato maggiormente dalla politica governativa e della confindustria: riduzione del costo del lavoro, maggiore produttività, precarietà, ecc.
17 Settembre 2008 alle 23:16
Il signor Roberto Giusto saltella da un sito a un altro a difesa di Coimpresa. Ne sa molte di cose, ha un eloquio da tecnico un po’ avvocato un po’ ingegnere. E’ sinceramente preoccupato di convicerci che quell’accordo di programma che prevede di fare palazzi a ridosso delle tombe sia una cosa buona e giusta. E poi i mc sono meno di quanto si dice, come se cambiasse di molto. Come se non sapessimo quanti sono 100mila mc. Ma cosa vuol dire fare accordi – uno oggi – uno domani e così via? Che si decide a second di come gira il vento? Un bel modo, non c’è che dire. Guardi signor Giusto che le imprese fanno accordi solo per grande convenienza, non c’è mai generosità nelle cessioni di aree in cambio di volumi. Le aree cedute non erano utilizzabili per farci case, almeno quelle no. Provi a informarsi quanto vale un’area archeologica di propr privata. Siamo un circolo di studenti e laurati in varie materie e non ci facciamo incantare da discorsi come questi. Chi ha appena a cuore la sorte di Cagliari non può accetare questa vergogna palazzinara. Ha risposto bene il prof. Ligas.