L’epistolario di Antonio Gramsci

1 Giugno 2011

Claudio Natoli

Il volume di cui qui si discute è parte dell’edizione critica degli scritti di Gramsci1, un’opera che è destinata ad imprimere un impulso straordinario ad una biografia che possa avvalersi degli enormi progressi delle ricerche intervenuti negli ultimi decenni. Essa prevede la raccolta sistematica degli interventi politici e la rivisitazione e riattribuzione degli scritti giornalistici secondo più affinati criteri filologici, lessicali e anche informatici; una nuova edizione dei Quaderni del carcere, volta a ricostruire, attraverso un riesame della veste grafica e di tutti gli elementi diretti o indiretti di datazione, la struttura cronologica e la storia dei manoscritti, e quindi il carattere processuale dell’elaborazione dei Quaderni, l’approfondimento di problemi e di concetti, il complesso intreccio tra i diversi filoni di ricerca2; e infine la pubblicazione dell’epistolario sulla base di una impostazione filologica, prospettica e metodologica profondamente nuova. Da questo punto di vista, la scelta più qualificante a me pare sia stata quella di proseguire sulla strada, intrapresa con l’edizione critica del carteggio tra Gramsci e Tatiana Schucht del 19973 e rivelatasi ricchissima di risultati, di procedere alla pubblicazione contestuale non solo dei carteggi di Gramsci e dei suoi corrispondenti, ma anche di includere i carteggi “paralleli” tra Tania e Sraffa e tra Tania e i familiari.
Questa documentazione si è già rivelata essenziale non solo per illuminare numerose “zone d’ombra” ma anche per ricostruire in una nuova luce l’intera vicenda degli anni del carcere e anche per contestualizzare le stesse note dei Quaderni. Il primo volume dell’Epistolario raccoglie le lettere di Gramsci e quelle a lui indirizzate nel periodo 1906-1922, nonché le lettere da lui ricevute in rapporto agli incarichi politici ricoperti, e segnatamente quelle inviategli in copia in quanto membro del Comitato centrale del PCdI e rappresentante del partito nel Comitato esecutivo del Comintern. Tra le lettere inviate da Gramsci il nucleo più consistente è, come nella precedente edizione curata da Antonio Santucci4, quello costituito dalle lettere relative al periodo liceale cagliaritano e da quelle che egli scrisse alla famiglia negli anni del suo garzonato universitario a Torino. Esse sono corredate per la prima volta da una serie di lettere, in parte inedite, della madre, del padre e dei fratelli. La parte più importante e nuova di questa sezione del carteggio è costituita tuttavia dalle lettere fino ad oggi inedite inviate a Gramsci da parte dei suoi compagni di università, che forniscono preziosi elementi per ricostruire la rete delle amicizie di Gramsci e il loro “clima spirituale”. Di particolare rilievo a me pare siano le lettere qui pubblicate di Angelo Tasca tra l’estate del 1912 e la fine del 1913 perché lasciano trasparire rapporti di amicizia e di consonanza tra i due giovani ben più intensi di quanto sinora si fosse supposto. La pubblicazione del volume conferma per converso il rammarico per l’impossibilità di colmare il quasi totale vuoto di documentazione relativo all’intero periodo dell’attività giornalistica di Gramsci sull’Avanti!, sul Grido del Popolo e sull’Ordine Nuovo settimanale e quotidiano.
Siamo qui in presenza di una lacuna difficilmente riparabile, in quanto imputabile non già ai curatori, bensì all’azione distruttiva che colpì le organizzazioni del movimento operaio tra guerra e dopoguerra o alle cautele della clandestinità per i militanti illegali o perseguitati. Una cospicua sezione del volume riguarda invece i documenti relativi alla corrispondenze tra gli inviati del PCdI a Mosca, Gramsci e Ambrogi, gli organi dirigenti del Comintern e il Comitato Esecutivo del PCdI nel semestre compreso tra il giugno e il dicembre 1922: un periodo particolarmente travagliato della storia del PCdI, perché segnato dall’esplodere del contrasto con i vertici del Comintern sul fronte unico antifascista e sulla scissione del PSI, nello scenario politico precedente e successivo alla “marcia su Roma”. Prima di entrare nel merito dei contenuti, è d’obbligo sottolineare l’accuratezza del lavoro filologico svolto dai curatori per la riproduzione dei testi, che nulla ha da invidiare ai criteri in uso nella filologia classica, l’ampiezza degli apparati critici e l’identificazione di molti nominativi sino ad oggi sconosciuti, il corredo di una sezione di voci biografiche in cui trovano posto anche i personaggi minori e di un indice dei periodici. Si tratta anche in questo caso di strumenti preziosi per una auspicabile futura biografia di Gramsci che possa avvalersi degli enormi progressi delle ricerche intervenuti negli ultimi decenni. Ciò premesso, molti sono gli aspetti della vita e dell’opera di Gramsci che affiorano attraverso la lettura di questo epistolario. Vi è anzitutto il carteggio con i familiari negli anni cagliaritani e in quelli torinesi dell’università, anni che, come egli stesso ebbe a scrivere a Giulia, erano stati decisivi per la prima formazione del suo carattere e della sua personalità, di quella difficoltà ad esternare i propri sentimenti e di quella “maschera di durezza” e di ironia in cui si era rinchiuso5, della tendenza a lavorare “tutto per il cervello e niente per il cuore”, nonché delle difficoltà materiali ed affettive che dopo il temporaneo distacco dal socialismo torinese alla fine del 1914 lo avevano spinto sino a “troncare uno a uno tutti i fili” che lo “univano al mondo e agli umani”6. Ma fin qui si tratta di aspetti in larga parte conosciuti della biografia di Gramsci. Altre lettere pubblicate per la prima volta in questo volume e rimaste inedite per motivi su cui forse varrebbe la pena di riflettere, sono invece di grande interesse per illuminare momenti della vita di Gramsci rimasti a lungo nell’ombra. E mi riferisco qui all’ambiente in cui sarebbe maturata la prima adesione al socialismo del giovane Gramsci e all’influenza preminente che su di lui fu esercitato da Angelo Tasca.

Quando Tasca nella primavera del 1912 incontra Gramsci, ha già maturato nel suo impegno nel Fascio giovanile, nel Circolo universitario torinese e nella Federazione giovanile socialista alcuni concetti guida che non è difficile rintracciare, variamente declinati, negli scritti giovanili di Gramsci. Anzitutto, la centralità attribuita alla formazione culturale nell’acquisizione di una coscienza di classe da parte dei giovani in rapporto alla prefigurazione dei “fini ultimi”, in alternativa al “catechismo socialista”, al corporativismo e all’economicismo del socialismo riformista. In secondo luogo la polemica antipositivistica e antideterministica, il richiamo alla continuità tra la grande tradizione della filosofia tedesca e il marxismo, i riferimenti alle Tesi su Feuerbach e ad Antonio Labriola filtrati attraverso l’insegnamento e la lettura in chiave “umanistica” di Rodolfo Mondolfo. Inoltre va considerata l’esperienza diretta nelle lotte operaie vissuta da Tasca a fianco della FIOM di Bruno Buozzi nel centro più avanzato d’Italia, che fecero da tramite a Gramsci per l’incontro con i giovani operai e la “scoperta” del proletariato del Settentrione come soggetto storico della rivoluzione socialista. Sono tutti motivi che per impulso di Tasca circolavano anche nel Circolo universitario, a cui lo stesso Tasca aveva introdotto Gramsci. Infine, va ricordata la comune matrice salveminiana in riferimento alla politica giolittiana e alla questione meridionale, tradottasi nella celebre proposta della candidatura alle elezioni suppletive del collegio torinese del 19147, anche se in Gramsci il primo impulso per l’incontro con Salvemini era stato costituito dallo spirito di rivalsa sardista e “anticontintale”.
Certo, negli anni successivi, la formazione di Gramsci attraverso gli studi di letteratura e di linguistica, l’approfondimento della filosofia neoidealistica e l’approccio diretto al giovane Marx, avrebbe assunto una diversa coloritura e uno spessore ben più profondo rispetto all’eterogeneità e all’eclettismo che sarebbero rimasti un tratto caratterizzante della figura di Tasca, ma ciò nulla toglie alla vitalità e alla ricchezza di questo humus culturale originario. Vorrei anche aggiungere che le lettere di Tasca testimoniano non solo di un’amicizia che si svilupperà negli anni decisivi per l’ambientamento di Gramsci a Torino, ma ci parlano di un programma culturale condiviso, del progetto di un giornale di cultura per i giovani, della coscienza socialista non già come fede, ma come conquista e autonomia dell’individuo ed elaborazione di nuovi valori ideali, di un rinnovamento teorico del PSI al di là delle contrapposizioni tradizionali tra le correnti8. E del resto, di quanto profonda sia stata la traccia impressa da questa esperienza, Gramsci stesso avrebbe lasciato nel 1916 una viva testimonianza: “Uscivamo spesso in gruppo dalle riunioni di partito circondando quegli che era allora il nostro leader, attraversando le strade della città ormai silenziosa, mentre gli ultimi nottambuli si formavano a sogguardarci perché, dimentichi di noi stessi, con gli animi ancora gonfi di passione, continuavamo le nostre discussioni, intramezzandole di propositi feroci, di scoscianti risate, di galoppate nel regno dell’impossibile e del sogno”9. Ma altrettanto significativa suona la rievocazione del clima di affettuosa comunanza che si era creato tra quel gruppo di giovani, che Gramsci aveva potuto sperimentare per la prima volta nella sua vita, e che si traduceva nella “confidenza che dava l’essere compagni, il sentire che si aveva la stessa passione, che l’idea dominante era quella, e per gli uni e per gli altri sempre presente, che assillava il nostro ingegno, che ci faceva dividere il mondo in due parti d’amici e d’avversari, comuni gli uni e gli altri.

Questa intimità era la nostra forza, quella che spesso fece dei giovani il pungolo perché fosse dato al partito un indirizzo piuttosto che un altro, e li rendeva consci che in loro era l’avvenire, la perfetta fusione fra il vecchio socialismo un po’ misoneista, senza slanci arditi, che andava perdendo gran parte del contatto con la moltitudine proletaria, e il nuovo, pieno di energia morale e rivoluzionaria, in cui non c’era un partito e un proletariato, ma l’uno e l’altro formavano un solo fascio scagliato con mano ferma verso una meta che in certi momenti credemmo così vicina e imminente”10. E qui sembra di poter cogliere una allusione retrospettiva al fascino esercitato a suo tempo sui giovani torinesi e anche su Gramsci dal Mussolini socialista. Non sembra dubbio che anche quell’accenno “al nostro leader” possa riferirsi ad Angelo Tasca e che proprio al rapporto privilegiato con Tasca sia da ricondursi l’adesione di Gramsci al socialismo torinese. Ciò rende ormai superata una visione oleografica volta a retrodatare alla fase precedente la guerra la prima formazione del nucleo originario dell’Ordine Nuovo, per non parlare di altre rievocazioni profondamemnnte segnate dalle lacerazioni e dalle polemiche sopravvenute nei decenni successivi e protrattesi anche nel secondo dopoguerra. E’ opportuno a questo punto soffermarsi brevemente su una seconda questione tutt’altro che secondaria nella biografia di Gramsci, e su cui la pubblicazione di questo volume sollecita una rinnovata riflessione nelle parti dedicate all’attività dei rappresentanti del PCdI nell’Esecutivo del Comintern nella seconda metà del 1922. Per la verità questi documenti erano in massima parte già noti agli studiosi che più si erano cimentati con la storia dei primi anni di vita del PCdI. Tuttavia, attraverso questa documentazione è possibile seguire le varie fasi del contrasto tra i gruppi dirigenti del PCdI e del Comintern dapprima sulla costruzione del fronte unico antifascista nella fase drammatica che precedette la proclamazione dello “sciopero legalitario”, e poi di fronte alla nuova scissione che si stava consumando nel PSI e alla prospettata riunificazione con la frazione dei “terzini” e l’ala massimalista guidata da Serrati, e, in questo contesto, il ruolo specifico svolto da Gramsci. E’ ben noto come il soggiorno a Mosca e in particolare il periodo passato nel sanatorio di Serebriani Bor abbia rappresentato uno straordinario arricchimento nel percorso di vita personale e sentimentale di Gramsci, con l’incontro con le sorelle Schucht e in particolare con Giulia. Ed è noto anche che proprio con il soggiorno a Mosca, attraverso il contatto diretto con le personalità più eminenti del Partito bolscevico e con il grande laboratorio sociale costituito dalla Russia della rivoluzione e della NEP, abbia segnato un momento di svolta e una fase profondamente nuova dell’elaborazione teorica e dell’azione politica di Gramsci nel processo di formazione del nuovo gruppo dirigente del PCI.

E’ bene tuttavia precisare che tale cambiamento per tutto il 1922 ed anche oltre non è in alcun modo avvertibile, se non nella determinazione già più volte manifestata di fronte a Bordiga di evitare una rottura con il Comintern e di cedere alla minoranza la guida del partito. Viceversa, in tutti gli altri ambiti, anche dopo il precipitare della crisi italiana e l’avvento al potere del fascismo, è dato cogliere un pieno allineamento di Gramsci alle posizioni della maggioranza bordighiana, nonché la condivisione della medesima ottica ristretta e autorefenziale che aveva contrassegnato dalla fine del 1921 l’opposizione del PCdI al fronte unico e la stessa partecipazione alla Alleanza del Lavoro. Tutto ciò rimanda alla questione più generale dei rapporti tra Gramsci e Bordiga e alla loro sostanziale convergenza politica dopo la diaspora del gruppo ordinovista in occasione del Congresso di Livorno e nei primi due anni di vita del PCdI. A me pare che su questo punto una questione cruciale su cui tornare a riflettere sia la parabola storica dei Consigli di fabbrica a Torino. Mentre, infatti, alla loro fase espansiva corrispondono in Gramsci i livelli più alti di consapevolezza teorica e politica e di autonomia critica tanto in riferimento ai problemi del rinnovamento del socialismo italiano, quanto nei confronti di Bordiga e della Frazione astensionista, la crisi e la disgregazione del movimento sembrano aver avuto l’effetto di procrastinare per un triennio in Gramsci una rielaborazione e un arricchimento del patrimonio politico-culturale sedimentatosi tra guerra e dopoguerra e di alimentare piuttosto in lui lo “spirito di scissione” nei confronti della tradizione socialista. Più precisamente a me pare che dopo l’occupazione delle fabbriche, la serrata alla Fiat e la dissoluzione del movimento dei Consigli sopravvenuta nei primi mesi del 1921, la prospettiva del rinnovamento e del superamento del patrimonio storico del socialismo italiano abbia lasciato il posto in Gramsci al primato del Partito comunista in un’ottica sempre più rivolta al totale azzeramento di questa tradizione. Cosicché anche in Gramsci il terreno privilegiato dell’azione politica diverrà la competizione nel medesimo campo sociale e la lotta per la distruzione del movimento socialista in tutte le sue componenti, come condizione e premessa per la costruzione del PCdI. Tale percorso tenderà sempre più a presentarsi come un “fine in sé e per sé”, separato dall’evoluzione complessiva della società italiana e dai rapporti tra i soggetti sociali storicamente determinati che in essa operavano, e sarà precisamente questo il decisivo punto di convergenza con Bordiga. Attraverso una attenta lettura degli scritti di Gramsci del 1921 è possibile del resto seguire le fasi travagliate di questo processo.
Vero è che, per gran parte dell’anno, Gramsci, pur impegnandosi in una polemica frontale contro il PSI, continuerà ancora a differenziarsi sul piano dell’analisi del fascismo e dei caratteri della crisi dello Stato liberale, entrambe ricche di determinazioni storiche ed estranee all’astrattezza logica delle posizioni di Bordiga, o anche nell’insistenza sulla prospettiva di un colpo di Stato reazionario e nella valorizzazione del carattere popolare della lotta antifascista. E’sintomatico, tuttavia, che proprio nel momento in cui la svolta del III Congresso del Comintern e l’appello al fronte unico internazionale rimetteranno in discussione i rapporti con il PSI e le basi stesse della scissione di Livorno, l’intransigente difesa dell’identità del PCdI così come si era formato a Livorno comporteranno in Gramsci il pieno allineamento alle posizioni di Bordiga, il che andrà di pari passo con il sostanziale accantonamento della ricerca del 1921 e con un prolungato “vuoto di analisi” della realtà italiana.
Quando nella famosa lettera intitolata Che fare?, inviata ai giovani comunisti nel novembre 1923, Gramsci formulerà la domanda “perché siamo stati sconfitti?” e risponderà “noi non conosciamo l’Italia”11, oltre che un pregnante e sempre valido giudizio storico, esprimerà il primo nucleo di una riflessione critica e autocritica che lo avrebbe preposto al ruolo di protagonista nel processo di formazione del nuovo gruppo dirigente del PCdI.

1 Questo scritto è tratto da una relazione svolta alla presentazione del primo volume dell’edizione critica dell’Epistolario di Gramsci, promossa dal Dipartimento di Studi storici geografici e artistici dell’Università di Cagliari e della Fondazione Istituto Gramsci, in collaborazione con l’Istituto Gramsci della Sardegna e la Fondazione Banco di Sardegna ( Cagliari, 3 maggio 2011).

2A. Gramsci, Epistolario I gennaio 1906-dicembre 1922, a cura di D. Bidussa, F. Giasi, G. Luzzatto Voghera e M.L. Righi, con la collaborazione di L.P. D’Alessandro, B. Garzarelli, E. Lattanzi, L. Manias e F.Ursini, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma, 2009, pp. XXXI, 547.

3I nuovi criteri di pubblicazione sono stati di recente esposti in forma sintetica ed accessibile anche a un pubblico più vasto da G. Francioni, Come lavorava Gramsci, in A. Gramsci, Quaderni del carcere. 1. Edizione anastatica dei manoscritti, a cura di G. Francioni, Biblioteca Treccani- l’Unione Sarda, Cagliari, 2009, pp. 21-60.

4 A. Gramsci- T.Schucht, Lettere 1926-1935, a cura di Aldo Natoli e Chiara Daniele, Torino, Einaudi, 1997.

5 A. Gramsci, Lettere 1908-1926, a cura di Antonio Santucci, Einaudi, Torino, 1992.

6 Dalla lettera di Gramsci a Giulia del 6 marzo 1924, ora ivi, pp. 271-73

7Dalla lettera di Gramsci alla sorella Grazietta [1916], ora in A. Gramsci, Epistolario I gennaio 1906-dicembre 1922, cit., pp. 166-67.

8 Traggo questi riferimenti dal volume del collega ed amico , prematuramente scomparso proprio in questi giorni, A. Riosa, Angelo Tasca socialista. Con una scelta dei suoi scritti (1912-1920), Marsilio Editori, Padova, 1979.

9 Si fa qui riferimento alle lettere indirizzate da Tasca a Gramsci del settembre-ottobre 1913, ora in A. Gramsci, Epistolario I gennaio 1906-dicembre 1922, cit., pp. 144-148.

10 La citazione è tratta dall’articolo di Gramsci Pietro Gavosto, “Il Grido del Popolo” 22 gennaio 1916, ora in A. Gramsci,, Cronache torinesi 1913-1917, a cura di Sergio Caprioglio, Einaudi, Torino, 1980, p. 89.

11 Che fare?, “La Voce della Gioventù”, 1 novembre 1923, ora in A. Gramsci, Per la verità. Scritti 1913-1926, a cura di Renzo Martinelli, Editori Riuniti, Roma, 1974, pp. 267-70.

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