Iberia indignada
1 Giugno 2011Mauro Piredda
Premessa. Le elezioni autonomiche e municipali dello stato spagnolo parlano chiaro: il Partido popular diventa il partito egemonico nel potere locale potendo governare 11 su 13 comunità autonome e surclassando il Partido socialista obrero de España (diamo peso alle parole che compongono la sigla Psoe) di ben 10 punti percentuali. Tuttavia sarebbe più corretto sostenere che non si tratta di una vera e propria vittoria del PP, che guadagna solo 1,52 punti percentuali rispetto alle elezioni del 2007, quanto di una disfatta del Psoe che perde quasi un milione e mezzo di voti e il controllo di Barcellona (ininterrotto dal 1979). Il modesto incremento di Izquierda Unida e il trionfo della sinistra abertzale basca di Bildu in Euskadi confermano che queste elezioni non rappresentano una vera e propria svolta a destra nello stato spagnolo. Tantomeno in prospettiva, con l’aggravarsi della crisi economica e con l’inasprimento delle politiche (ancor più se nel 2012, o prima, il Pp tornerà al potere centrale) che mobiliteranno ancor di più le masse.
Comunque – e finiamo con la premessa – dobbiamo tenere bene a mente questi dati (esercizio certo facile vista la batosta socialista) e inserirli nel movimento di contestazione che in queste settimane ha interessato l’intero stato governato da quel Zapatero che con il suo “socialismo dei cittadini” era visto fino a non molto tempo fa come la speranza per la sinistra europea e mondiale.
Un movimento, quello degli “indignados”, di cui finora poco si è discusso, a sinistra. Così come poco si è discusso a sinistra degli eventi precedenti che hanno contribuito a tale eruzione: contestazioni studentesche al “Plan Bolonia” (ovvero, quel disegno che mette le Università al servizio delle imprese); sciopero generale del 29 settembre convocato (dopo ripetute pressioni della base) dall’Unión general del trabajo e dalle Comisiones obreras (CcOo); contestazioni alla Ley Sinde (una sorta di censura preventiva sulle pubblicazioni online che violano il copyright); manifestazione della “Juventud sin futuro” il 7 aprile, una coalizione di diversi gruppi della sinistra giovanile e di associazioni studentesche con cinque aree rivendicative riguardanti casa, lavoro, pensioni, istruzione e ridistribuzione della ricchezza. In questo contesto fatto di disoccupazione di massa (5 milioni di persone, pari al 21% della popolazione), di precariato, di corruzione e di politiche pro-capitaliste, e in questo susseguirsi di avvenimenti, nasce quel movimento che da domenica 15 maggio ha occupato le piazze (un po’ come a piazza Tahrir al Cairo) di diverse città spagnole.
Queste proteste hanno da subito generato un forte shock nella classe politica (soprattutto nel Psoe), hanno ricevuto gli appellativi più sprezzanti (come se si trattasse di una minaccia per la democrazia), hanno subito repressioni. Lo sgombero poliziesco avvenuto la mattina del 17 maggio nella madrilena Puerta del Sol ovviamente non ha prodotto gli esiti sperati dalla politica e dalle istituzioni, e, come già accadde nelle manifestazioni del 13 marzo del 2004 (quando decine di migliaia di attivisti anti PP – all’indomani della strage attribuita da Aznar a Eta – manifestarono illegalmente nella giornata di riflessione pre elettorale), nulla ha vietato al movimento di continuare a indignarsi anche durante le operazioni di voto. Lo stesso dicasi dell’operazione di “igiene pubblica” del 26 in Plaza Catalunya a Barcellona. Ogni ulteriore tentativo di repressione ulteriore spingerà il movimento in avanti su posizioni sempre più radicali.
Ma cosa ci dice questo movimento (va detto, non solo di giovani)? Dando uno sguardo al manifesto del “Movimento 15 maggio” vediamo la necessità di una «società migliore» che garantisca «il diritto alla casa, all’occupazione, alla cultura, alla sanità all’istruzione». Cose che non possono essere garantite dal «nostro sistema economico e di governo» che «non riesce ad affrontare queste priorità e costituisce un ostacolo al progresso umano». Una «dittatura partitocratica guidata dalle inamovibili sigle di Pp e Psoe» sottomessa ai «dettami delle maggiori potenze economiche». Abbiamo a che fare con una lista di colpevoli che dimostrano come Marx e Engels avessero ragione quando – nel Manifesto – dicevano che lo stato altro non è che il comitato d’affari della classe dominante: «Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea, Nato, Unione europea, la agenzie di rating come Moody’s e Standard and Poor’s, Pp, Psoe».
E abbiamo anche a che fare con un movimento che, come tutti quelli che hanno un inizio e uno sviluppo forgiato dagli eventi, vive alcune ambiguità. Date le rivendicazioni, decisamente contro lo status quo (sistema bancario, sistema di governo, legge elettorale che marginalizza la sinistra) non si capisce il passaggio «alcuni di noi sono progressisti, altri conservatori»: però è anche vero che gli eventi chiariranno ulteriormente le posizioni. Ancora, non è chiaro come basti una «rivoluzione etica», quando l’etica data si basa su un sistema corrotto e privativo come quello contestato: ma anche qui abbiano buone possibilità che si arrivi dalla semplice contestazione al suo auspicato superamento. Ovviamente il salto qualitativo ci sarà qualora nell’intero stato spagnolo si salderà l’alleanza con il movimento obrero organizzato e quando si cercherà di dar vita a quel fattore soggettivo, collettivo e partecipato, che possa guidare la trasformazione. Non è da queste righe che si può prevedere se questo compito sarà portato avanti dalle strutture esistenti.
È certamente opportuno che i dirigenti di Ugt e CcOo si facciano carico di queste rivendicazioni per farne un’unica piattaforma con il movimento operaio. Così come è necessario citare la posizione del Partido comunista de España e della formazione che lo ingloba, Izquierda Unida, che alle elezioni di domenica ha preso quasi un milione e mezzo di voti passando dal 5,54% al 6,31% pur perdendo a Cordoba e non giovando massicciamente né della crescente disaffezione al Psoe, né tantomeno del milione di schede nulle o bianche, o dell’astensione. José Luis Centella, segretario generale del Pce, ha mandato una “carta a la militancia” indicando ai suoi iscritti (soprattutto a quelli della giovanile Ujce) la necessità di stare dentro il movimento «ascoltando, rispettando, analizzando e dando risposte a chi inizia a lottare».
Al tempo stesso Cayo Lara, coordinatore di Iu, ha annunciato la volontà, finite le elezioni, di mettere a disposizione le rivendicazioni della sua organizzazione a chi nella piattaforma “Democracia real Ya” è disposto a fare fronte comune.
Un passo avanti rispetto a una linea non troppo dissimile da quella del Psoe portata avanti negli anni da Iu; un dato di fatto a cui da questa parte del mediterraneo dobbiamo guardare nella prospettiva della ricostruzione della sinistra di classe nella lotta ponendo all’ordine del giorno la questione di come uscire dal bipolarismo, esattamente come è posta in Spagna.
1 Giugno 2011 alle 13:18
Sono stata a Barcellona durante i giorni delle manifestazioni del movimento “Democracia real ja!” e la sensazione che mi è rimasta è ambigua. È evidente che stiamo parlando di una moltitudine di giovani, e meno giovani, critici con il sistema politico ed economico spagnolo. Altresì, non si può nascondere il fatto che la maggior parte degli “indignados” non concepiscono nemmeno lontanamente la loro azione all’interno delle strutture classiche della lotta politica (partiti e sindacati). Piredda dice: “[la sinistra e i sindacati] si facciano carico di queste rivendicazioni per farne un’unica piattaforma con il movimento operaio”. Giusto. Ma Izquierda Unida ci ha provato e finora non è riuscita a interloquire con loro (tra l’altro, rifiutano di nominare un portavoce e non si capisce bene con chi si dovrebbe parlare per stabilire un contatto col movimento). Insomma, le rivendicazioni che portano avanti sono interessanti, ma gli sarà possibile aquisire consistenza fuori dai vecchi -ma sempre validi- canali di militanza politica? Qualche dubbio ce l’avrei. Per ora, aspettiamo.