Emergenza criminalitá e controllo sociale
1 Ottobre 2008
Massimo Mele
Dopo anni di martellamento mediatico sull´emergenza criminalità e sull´esigenza di politiche più rigide sulla sicurezza, sono bastati pochi mesi del nuovo Governo Berlusconi per mettere a nudo tutta l´ipocrisia e l´inconsistenza dell´allarme sicurezza alla base della vittoria delle destre in Italia. Se non bastano i dati dell’Istat sulla progressiva diminuzione di omicidi e microcriminalità dal 2006 ad oggi, è sufficiente leggere la finanziaria approvata nel Luglio 2008 che, con il taglio di 3,2 miliardi di euro in 3 anni alle forze di polizia, dimostra come tutta l´emergenza criminalità fosse montata ad arte per vincere le elezioni e creare un clima di insicurezza generale. Gli omicidi sono passati da 13,1 per milione di abitanti nel 2000 a 10,3 per milione nel 2008: «nel contesto europeo», osserva l’Istat, «l’Italia, per numero di omicidi commessi, è uno dei paesi più sicuri. Si colloca infatti al di sotto della media europea (pari a 14 omicidi per milione di abitanti), in ottava posizione dopo Austria, Lussemburgo, Svezia, Germania, Malta, Slovenia e Repubblica Ceca». Sono diminuiti anche i reati che il Ministero dell’Interno chiama “di forte allarme sociale”: scippi, furti di veicoli e di oggetti dai veicoli, furti nelle abitazioni ecc. Ma per tenere alta la tensione e intensificare la paura, il Governo continua ad usare la propaganda e la rappresentazione dell’interventismo “securitario”. Ne sono un esempio l´utilizzo dei militari nelle grandi città, dispiegati a protezione dei cosiddetti luoghi sensibili, mentre il problema “sicurezza” investe principalmente quei quartieri periferici e abbandonati, spesso privi di illuminazione ed “esentati” dal controllo delle forze dell´ordine. Ma i militari, molto più delle forze di polizia, riportano ad un immaginario allarmistico di violenza generalizzata, così come siamo da anni abituati con le operazioni di guerra preventiva o di “peace keeping”. Il martellamento mediatico è talmente forte che seppure in diminuzione, la criminalità e la sicurezza sono diventati il problema prioritario per più del 60% degli italiani. Che poi i morti sul lavoro siano il doppio degli omicidi, dato questo che ci pone ai primi posti nella classifica europea, e che quelli sulle strade siano 8 volte tanti, non cambia la percezione collettiva. Tanto che nell´ultima finanziaria i fondi per il piano sulla sicurezza stradale sono stati dimezzati, passando dai 35 milioni previsti dal Governo Prodi agli attuali 17,5. In aumento invece i casi di violenza sulle donne, tema questo piuttosto complesso e non liquidabile semplicemente con la frustrazione identitaria o economica, la disoccupazione e la mancanza di prospettive lavorative future, di mariti e partner che secondo i dati ufficiali sono responsabili delle violenze nel 70% dei casi. E anche qui salta all’occhio come uno dei tagli della nuova finanziaria riguardi proprio i progetti di prevenzione della violenza sulle donne. Difese no, ma sicuramente strumentalizzate nella propaganda xenofoba e razzista che tende ad indicare nell’immigrato il principale pericolo per la nostra sicurezza. E infatti gli immigrati ammontano a circa il 22% della popolazione carceraria. Lo scorso giugno, Patrizio Gonnella, presidente di Antigone scriveva: “Un dibattito (quello sulla sicurezza) che produrrà ulteriori modifiche legislative di impianto repressivo e che lascerà segni nella cultura e nella società italiana. Non si era mai arrivati a tanto, assimilare la povertà alla criminalità.” E di seguito elencava alcune possibili soluzioni “democratiche” alle problematiche legate alla “sicurezza”: decriminalizzare la vita degli immigrati, dei consumatori di droghe e delle prostitute. Una sorta di preveggenza al contrario, dato che nel frattempo il Governo ha approvato un pacchetto sicurezza che, fra le altre cose, introduce il reato di immigrazione clandestina, inasprisce le pene contro i consumatori di droghe* e, pochi giorni fa, ha dichiarato illegale la prostituzione in pubblico con il carcere per prostitute e clienti. Triste che a ideare tale legge sia stata una ministra sulla cui fulminea carriera sono state dette cose molto imbarazzanti. Eppure anni di tolleranza zero negli Stati Uniti ci hanno insegnato come la maggiore repressione produce maggiore criminalità e che è nell’illegalità e nell’emarginazione che prosperano crimini e delitti. E´ampiamente dimostrato, infatti, che il metodo più efficace per ridurre il tasso di criminalità tra gli immigrati è una politica dei ricongiungimenti familiari. Un immigrato con la responsabilità di una famiglia non può rischiare di finire in galera, ha una propensione a delinquere minore di un clandestino che nella solitudine umana del suo dormitorio affollato non ha molto da perdere. La legge Bossi Fini vietò espressamente il ricongiungimento e l’ex ministro Ferrero, attuale segretario di Rifondazione, non ha nemmeno provato a modificarla. Ma la criminalizzazione non porta necessariamente al carcere. Gli alti costi della detenzione, ca. 145,00 euro al giorno per detenuto, e il sovraffollamento impediscono di fatto di incarcerare tutti i potenziali “criminali”. Milioni di persone sotto costante minaccia di privazione della libertà: dai consumatori di droghe, agli immigrati, ai clienti delle prostitute, ai “sovversivi” ecc.
Una forma di controllo sociale subdola e pericolosa che modifica la nostra percezione dell´altro, le nostre relazioni, il nostro modo di vivere. E soprattutto crea confusione in una società sempre più afflitta dalla crisi economica, ma attenta principalmente a guardarsi le spalle. E il costo sociale di tutto questo è altissimo: odio, razzismo, omofobia, misoginia, violenza, disprezzo degli altri. La paura genera mostri, ma quei mostri, alla fine, siamo sempre noi!
*La sola presenza nel sangue di tracce di droga provoca il ritiro della patente e il sequestro del veicolo, anche se tali droghe sono state assunte molti giorni prima ed il loro effetto psicotropo è al momento inesistente