La stagione degli amori. Atto II

1 Luglio 2007

Franco Tronci

Premessa. Anche un’iniziativa modesta come la pubblicazione di un quindicinale on line promossa dall’Associazione “Luigi Pintor” rientra nel lento, faticoso processo di ripensamento della sinistra sarda. L’obiettivo più urgente di tale processo consiste nel riacquistare una capacità di lettura della realtà isolana che sia all’altezza di una non dimenticata tradizione di analisi del reale, marxista e non, e, nello stesso tempo, adeguata alla complessità della società nell’epoca della globalizzazione. Chi partecipa all’operazione, naturalmente, deve mettere in conto l’accettazione del rischio e il coraggio di mettersi in discussione. Anche tre anni di storia recente della Sardegna, caratterizzati da una figura nuova sotto il profilo politico come l’attuale presidente della giunta regionale possono mettere alla prova la serietà delle intenzioni e la capacità di perseguimento dell’obiettivo di chi scrive. E forse è questa la ragione che ha generato la progressiva lievitazione del testo fino a renderlo “sproporzionato” rispetto alle normali dimensioni di un articolo. Per non disperdere il lavoro fatto e per mettere in campo materiale utile a suscitare discussione, ho accolto la proposta degli altri compagni della redazione di chiamare col pomposo nome di “dossier” le modeste e sparse riflessioni qui presenti. E’ un modo per dialogare con i compagni e gli amici che avranno la pazienza di leggere.

II

Fare il bilancio provvisorio dell’esperienza di governo della Sardegna sotto la guida di Renato Soru significa anche, per il nostro neonato giornale on line, cominciare a definire, per grandi linee, la materia di una futura inchiesta sulla natura e sulla gestione del potere, palese e/o occulto, nell’Isola.

1. Il potere nazionale.

Non vi è dubbio che il confronto col governo nazionale ha costituito il terreno che ha procurato il grado maggiore di popolarità al presidente della giunta. Lo scontro è cominciato col governo di centrodestra su questioni care a chi dichiara di praticare un’idea coerente di autonomia: l’allocazione delle risorse finanziarie, la riduzione delle servitù militari, la gestione del territorio, l’esercizio di attività legislativa in campo fiscale, la protezione dell’ambiente, la definizione di un nuovo assetto statutario. E’ questo tipo di iniziativa che ha fatto venire allo scoperto l’autonomismo verboso dei partiti di entrambi gli schieramenti e la loro incapacità di perseguire, su questo piano, obiettivi concreti. Lo scontro è stato duro ancorché fosse soltanto agli inizi. La decisione americana di abbandonare la base di Santo Stefano ha, di per sé, costituito una sorta di vittoria morale della giunta regionale.
Con l’avvento del governo di centrosinistra lo scenario cambia. Il governo Prodi, consapevole dell’ondata di consenso creatasi intorno al “governatore”, tende a presentarsi come ‘governo amico’ e la figura di Soru entra così a far parte dei nuovi scenari che si vanno delineando. Nel concreto, tuttavia, la scelta di risanare rapidamente i conti, come da richiesta degli organismi internazionali (Ocse, Fondo monetario, Banca europea) fa slittare nel tempo l’attribuzione concreta delle risorse finanziarie aggiuntive promesse. La dismissione delle servitù militari che procede di pari passo con la crescita dell’importanza delle forze armate, in ossequio alla politica estera del governo e con il gonfiarsi a dismisura della retorica insopportabile del ministro Parisi e dei suoi sottosegretari intorno alle virtù belliche della Brigata Sassari, riduce all’osso la portata reale delle dismissioni. Vengono abbandonate poche vecchie caserme; resta intatta la presenza dell’esercito italiano e delle forze della NATO nei grandi poligoni nonché la destinazione alla Marina dell’arsenale di Santo Stefano. Le cose non vanno meglio per il piano paesaggistico e le tasse contro il lusso, come dimostrano le sempre più frequenti convocazioni di vertici con gli alleati di governo regionali e gli infruttuosi incontri nelle sedi del governo nazionale.
Il presidente della giunta è costretto spesso a millantare credito o a inseguire la propria immagine: inserisce nella legge finanziaria somme che verranno accreditate in avvenire; fa mancare il numero legale alla commissione paritetica per l’approvazione delle esercitazioni militari del prossimo semestre; modifica il suo atteggiamento nei confronti delle contestate quattro nuove province sarde.
D’altronde, e i risultati delle recenti elezioni amministrative confermano, il governo nazionale, sordo verso il proprio elettorato, continuamente sollecitato da un troppo loquace (modello Cossiga senza le intemperanze caratteriali) capo dello stato verso le soluzioni bipartisan, non ha concessioni da fare al quarantacinquesimo traghettatore del partito democratico. I giochi saranno altri per tutti e si faranno in quella sede.

2. Il sistema regionale dei partiti.

Quando ha deciso di dedicarsi, anche lui, alla politica, l’ex presidente della Tiscali Spa si è ampiamente accreditato come un uomo d’impresa e come interprete di aspirazioni popolari a lungo disattese. Il blocco di potere costituito dai due schieramenti politici (molto trasversale sulle questioni economiche di fondo) era arrivato al minimo storico di consenso. Ciò non ha impedito, nel frattempo, che il gioco delle scissioni e delle ricomposizioni producesse un numero spropositato di nuovi soggetti politici pomposamente autodefinitisi partiti. Abbiamo potuto constatare che i partiti crescono in ragione inversamente proporzionale al loro impegno ideologico ed alla loro capacità di migliorare le condizioni di vita dei cittadini (non a caso ormai comunemente chiamati nel lessico politico consumatori). Forse è questa la ragione per cui Renato Soru ha preferito non trasformare in partito il proprio movimento denominato Progetto Sardegna perdendo per strada alcuni dei pezzi più esperti (come Maninchedda) o più destinati a dargli ombra (Pigliaru).
Se non si differenziano tanto fra loro per le ideologie di fondo e la coerenza tra programmi e fatti, i partiti entrano in competizione per finalità meno confessabili ancorché abbastanza evidenti ai più: occupare le poltrone disponibili, dal Parlamento nazionale alla più minuscola circoscrizione comunale, con tutto il corredo di privilegi che hanno fatto crescere a dismisura i costi di un apparato enorme di professionisti (sic!) della politica; spartirsi il governo degli enti a tutti i livelli istituzionali; controllare il sistema degli appalti o dei (pochi) concorsi con occupazione a tempo indeterminato; mantenere vivo l’incontro/scontro con gli altri soggetti detentori di pubblico potere.
In tutto questo agitarsi la parte del leone la fanno gli eredi di vecchie formazioni politiche (ad esempio DC, PCI, PSI, ecc.) di cui hanno conservato solo i difetti blindando i gruppi dirigenti e determinando una vera e propria nomenklatura che fa impallidire, a confronto, quella di sovietica memoria.
Nella pervicacemente perseguita “riforma della regione” vi è stata dunque la volontà di Soru di puntare, facendo leva su un’ipotesi presidenzialista (v. legge statutaria), alla riduzione o al contenimento del blocco di potere costituito dai partiti.
Le cose non devono essere andate sempre per questo verso, come attestano le sempre più frequenti vertici di maggioranza e la minaccia di referendum confermativo sulla legge statutaria. L’ultima scadenza, che forse rivelerà gli esiti del ungo e sotterraneo scontro, è rappresentata dal più volte sollecitato “rimpasto” della giunta. A quel punto si vedrà se si tratta semplicemente di rimpiazzare pezzi importanti del governo regionale, persi per difficoltà caratteriali del presidente, o di ridiscutere l’intera mappa del potere. Il dibattito avrà, nel frattempo cambiato natura ed è probabile che la comunanza di appartenenza al partito democratico suggerisca ai contendenti soluzioni di compromesso.

3. Sindacati (e altro).

Un convinto sostenitore della new economy (seppure con la fortunata coincidenza di una bolla speculativa) e della supremazia del mercato come regolatore dei rapporti economici e dei conflitti di classe, divenendo presidente della giunta regionale e desiderando potenziarne i poteri decisionali, deve aver immediatamente antipatizzato con i sindacati dei lavoratori, eredi di una non disprezzabile tradizione.
Le ragioni dello scontro con questo tipo di potere (al quale, dopo un primo momento di titubanza, si è aggregata anche la CGIL) non sono state, però, di natura strettamente ideologica. D’altronde, da quando le organizzazioni sindacali hanno investito il loro futuro nella pratica della concertazione, il loro peso, per quanto attiene alla ragione sociale della loro esistenza (difendere i diritti e le condizioni di lavoro dei lavoratori), è fortemente calato. Quello che una volta era il più forte movimento sindacale d’Europa ha perso, concertando concertando, i pezzi più importanti di uno stato sociale conquistato con tanta fatica. Non è un caso che all’origine dell’attuale situazione ci sia stato un ambito politico (il primo governo Prodi) e l’iniziativa di una parte dello schieramento sindacale (la CISL in particolare) che hanno costituito il terreno di cultura dell’elaborazione fondamentale che ha partorito l’insieme delle misure (leggi “pacchetto Treu”) da cui ha preso le mosse tutta la presente legislazione antisindacale.
Se non realizzano risultati apprezzabili in difesa dei lavoratori (non c’è stata, in questi ultimi anni, in Sardegna una vertenza significativa conclusasi positivamente per i lavoratori e per l’economia dell’Isola), negando l’esistenza del conflitto sociale la politica della concertazione finge di non vedere l’ostacolo insormontabile per chi tenti di resistere al pensiero unico dominante: che all’impresa non si possono porre condizioni né da parte del potere politico, né da parte delle organizzazioni dei lavoratori.
A che serve, allora, la concertazione? Serve a mantenere e incrementare una sorta di ‘potere parallelo’, ad alimentare il narcisismo dei partecipanti ad una sorta di cursus honorum fatto anch’esso di piccoli, medi, grossi privilegi che, talvolta, si trasforma in potere politico vero e proprio.
La presidenza della giunta regionale ha dovuto fare i conti con una tradizione consolidatasi nel tempo che vede i sindacati beneficiare di flussi di denaro pubblico giustificati come sostegno a poco produttivi uffici studi; ha dovuto fronteggiare, in una fase di penuria di risorse la massiccia presenza (soprattutto della CISL) sindacale nella gestione diretta della formazione professionale, destinata, nelle intenzioni della giunta, ad un drastico ridimensionamento, ecc.
La scarsa attenzione della leadership per i problemi del lavoro e dell’occupazione, la riduzione dell’esile sistema industriale, soprattutto nella Sardegna centrale, il carattere dilatorio assunto dagli incontri “concertativi” col governo centrale hanno favorito il montare di un movimento di protesta incentrato sulla difesa dell’occupazione, la riduzione della precarietà, la lotta alle nuove povertà.
Mai si era visto un movimento di queste dimensioni in presenza di un “governo amico”: cortei e sit-in si sono moltiplicati anche grazie al raddoppiarsi del numero (provvisorio ) di province. Da parte sindacale soprattutto proviene l’accusa a Soru di aver favorito, con l’insensibilità verso il mondo del
lavoro, la sconfitta elettorale alle recenti elezioni amministrative.
Vale la pena di ricordare che anche la chiesa cattolica, interessata al flusso di risorse pubbliche per i settori da lei controllati come l’organizzazione del volontariato, la gestione di buona parte della scuola privata e dell’assistenza agli anziani, si è unita al movimento contribuendo a mettere in difficoltà la giunta.
Si intravedono, anche in questo settore, i segni di un cedimento parziale della politica del presidente. Gli esempi possono essere diversi: dall’accordo sulla scuola professionale all’accreditamento di un probabile organismo come il Consiglio regionale dell’economia e del lavoro (CREL, di pertinenza UIL) che tende a scimmiottare l’attività dell’omonimo Consiglio nazionale e che va controcorrente rispetto ad una politica di riduzione degli enti inutili.

4. Il partito dei sindaci,

Una disastrosa miscela di micro-presidenzialismo e di aziendalismo applicato alla politica ha consegnato le città italiane in mano a sindaci cosiddetti manager sottraendole ad una sana dialettica politica e trasformando un’importante istituzione come il consiglio comunale in un’aula sorda e grigia. Aver amministrato una città, anche di piccole dimensioni, costituisce ormai uno dei canali privilegiati per l’accesso al Senato o alla Camera dei deputati.
In Sardegna, lo scontro dei sindaci con un progetto di riforma della regione, accentratore per quanto riguarda la legislazione sul territorio e l’allocazione delle risorse, era inevitabile. D’altronde il problema che lo origina è serio e reale: riguarda i limiti e le prerogative delle autonomie locali.
La reazione più forte è venuta dai sindaci dei comuni costieri, divenuti protagonisti anche in virtù di una sorta di monocultura economica che vede nel turismo il più importante fattore di crescita dell’economia sarda. Fortemente legati agli interessi di piccoli e grandi costruttori, sono riusciti a trasformare buona parte delle meravigliose coste sarde in colate di cemento e in villaggi fantasma vuoti per circa due terzi dell’anno. Averli sottovalutati è stato, comunque, un errore.
Più tenue la protesta dei sindaci delle comunità dell’interno: dopo la rinuncia a piani di governo del territorio di grandi dimensioni, come il parco del Gennargentu, i comuni delle zone fortemente colpite dallo spopolamento sperano di poter ‘catturare’ una parte del flusso turistico puntando sull’agriturismo, sulla valorizzazione dell’immancabile nuraghe locale, sull’allestimento purchessia di un museo per ogni paese.
Il richiamo ad un’economia senza regole e controlli oltreché al patriottismo municipalistico accompagnati da un atteggiamento trasversale al “partito dei sindaci” è, probabilmente all’origine del passaggio di molti comuni al centrodestra e non lascia presagire niente di buono per le prossime scadenze,

5. I padroni della sanità.

Intorno alla salute dei cittadini si è costituita un’occasione di arricchimento più importanti dell’economia sarda. Non è il caso di richiamare gli episodi di malasanità che la cronaca quotidianamente ci offre: sprechi, inefficienza, corruzione, prevaricazione delle industrie farmaceutiche nel settore pubblico si sommano all’attività parassitaria della sanità privata, nel nostro paese stranamente e inspiegabilmente commista con quella pubblica. La corporazione dei medici, nella sua vasta e articolata gerarchia, costituisce , senza ombra di dubbio, uno dei poteri forti nella mappa dei poteri isolani. Ad essa si aggiunge, con la forza ed il prestigio della facoltà di medicina, anche il mondo universitario come la recente realizzazione dell’azienda mista (ospedale più policlinico) lascia pensare e che spinge i più maliziosi a supporre una forma di spartizione delle risorse.
La sanità sarda non è rimasta neutrale di fronte alla volontà razionalizzatrice della giunta: la nomina dell’assessore Dirindin , intervenendo sulla logica spartitoria nella nomina dei manager delle ASL e sulla riorganizzazione del sistema sanitario, ha provocato non poche reazioni e alimentato non pochi malumori. E’ presto per giudicare dell’efficacia dell’intervento dell’assessore alla sanità. Come leggere, ad esempio, il consenso nei confronti di una certa megalomania insita nel progetto di cittadella sanitaria prevista per la città di Nuoro? Come valutare il ritardo nella formazione di categorie importanti come quella degli infermieri professionali o la massiccia presenza nelle strutture sanitarie di personale precario? O la condizione disastrosa di reparti ospedalieri fatti oggetto, di recente, di un intervento delle forze dell’ordine?
In un futuro non molto lontano, gli esiti della politica sanitaria del governo regionale di Renato Soru potrebbero risultare decisivi per valutarne la possibilità del proseguimento dell’esperienza.

6. Imprenditori e manager.

Il mondo produttivo (Confindustria, Confagricoltura, Confcommercio) ha spesso manifestato insofferenza nei confronti di Renato Soru e della sua politica. Gli imprenditori sardi, ideologicamente schierati per l’economia di mercato, sono, di fatto, alla continua ricerca di capitali e crediti di natura pubblica: europei, nazionali, regionali. La simpatia prevalente dichiarata da Soru nei confronti del turismo, dei settori avanzati della new economy, delle opere pubbliche ha fatto sentire tutti gli altri settori trascurati o emarginati, privati, comunque di un alleato importante per l’accesso privilegiato all’utilizzo dei flussi di credito. L’origine imprenditoriale di Soru lo fa, inoltre, apparire come un concorrente pericoloso (il conflitto di interessi esiste anche in Sardegna!) in virtù dei poteri di cui intende dotarsi. Ritornano alla mente le vicende dell’assessorato alla programmazione e della defenestrazione del “fido” Pigliaru; le insinuazioni intorno all’appalto milionario per la pubblicità regionale; le argomentazioni a sostegno delle accuse di aver provocato danni, con le tasse sul lusso e sulle seconde case, all’industria turistica. Al malumore dei “colleghi “ del presidente si aggiunge quello dei numerosi dirigenti di una serie non breve di istituzioni (Camere di commercio, Consorzi, Autorità portuali, ecc.) e di enti gestori di servizi (acqua, trasporti di varia natura, ecc.) che assicurano laute prebende ai cosiddetti manager indipendentemente dai risultati conseguiti e che si sono sentiti toccati dalle intenzioni politiche di Soru.
E’ evidente, anche a partire da una mappa così provvisoria della distribuzione dei poteri in Sardegna, che da qui bisogna partire per tentare un bilancio dell’esperienza politica di Soru senza attendere la fine della legislatura. Anche perché un panorama nuovo già si delinea all’orizzonte.. Ma di ciò ad altra occasione.

III

In conclusione si propongono alcune considerazioni soggettive che prendono spunto, sul piano del metodo, dall’antropologia culturale, dall’imagologia (si intenda la rilevanza della rappresentazione nella “civiltà delle immagini”), dalla sociologia, dalla psicologia, ecc.

a) L’uomo come unità di misura.

Mi sembra sbagliato, anche nel dibattere di seriose questioni politiche, trascurare del tutto le impressioni che la rappresentazione della figura umana dei protagonisti della vita politica sono capaci di suscitare nel cittadino comune. Nel bene e nel male.
Non avendo avuto occasione di riscontri in ambito privato, la figura di Renato Soru, tutta ricavata da documenti audiovisivi, mi pare del tutto nuova e in consonanza con la sua esperienza politica.
Fisicamente asciutta, sobriamente vestita, ci appare collocata sempre in disparte, quasi indispettita dalla perdita di tempo che le occasioni pubbliche che lo coinvolgono comporta.
Parsimoniosa nelle parole fino all’avarizia, priva dell’abitudine a dare all’eloquio un flusso corposo e continuo, non fa ricorso all’usuale linguaggio in “politichese”; né ai sussidi comuni della retorica di tanti uomini politici.
Le rare parole vengono, però, pronunciate con tono asseverativo e, perfino, quasi minaccioso.
In conclusione, una figura conflittuale con molti tratti antropologici della cultura sarda che nella comunicazione preferisce procedere per sottrazione anziché per accumulazione.
Un intelligente ed attivo funzionario regionale (ne esistono!), memore delle giovanili letture di Stevenson, mi parlò un giorno di “personalità sdoppiata”, una specie di Dottor Jekyll e Mister Hyde, che prima riesce a portare dalla propria parte capaci collaboratori e che, poi, se ne disfa non appena questi comincino a dargli ombra.
Il valore di un leader politico, per chi ha una visione positiva dell’arte di governo, è inversamente proporzionale alla sua propensione all’autoisolamento e al decisionismo. La storia dei partiti, dei sindacati, dei movimenti è anche fatta di figure di leader prestigiosi che hanno fatto crescere, oltre al prestigio del capo, i soggetti, individuali e collettivi, che l’hanno vissuta. E’ ciò di cui abbiamo nuovamente bisogno.

b) Il governo come metafora del consiglio di amministrazione.

Renato Soru rappresenta la versione locale dell’imprenditore prestato alla politica. (Proporrei di abolire, per legge, la formula “scendere in campo”). Trattasi di figura oggi molto di moda e, purtroppo, anche di indiscusso successo. Il più noto della categoria, come tutti sanno, è un ex cantante su navi da crociera, con una madre molto brava nel fare la spesa al mercato, che ha frequentato strani stallieri siciliani e altri poco raccomandabili personaggi e che si circonda di giovani badanti nella sua villa sulla Costa Smeralda.
Capacità personali e coincidenza di tempi favorevoli (leggi “bolla speculativa”) hanno consentito la nascita della Tiscali e la sua enorme crescita di valore. C’è stato un momento in cui la società di Soru valeva più della FIAT. Poi la bolla si è sgonfiata e le cose sono state ridimensionate. L’aspetto che è rimasto misterioso è l’entità della ricchezza, giacché non mi risulta che in tutta l’operazione siano stati distribuiti dividendi all’azionariato popolare, rimasta nelle mani del maggiore azionista, né, ovviamente, le tentazioni che tale ricchezza solletica.
Il legame con le vicende politiche consiste nel fatto che il beneficiario dell’impresa finanziaria ne ha tratto una sorta di “filosofia” (o, se preferite, di ideologia) che oltre ad esaltare le magnifiche sorti e progressive della new economy, più volte illustrate in varie occasioni, ha pure stabilito un rapporto sinonimico tra capacità imprenditoriale e capacità di direzione politica della cosa pubblica. Il modello, insomma è quello del leader come amministratore delegato dell’azienda regione (per il momento). Da ciò il fastidio dell’azionista di maggioranza per le obiezioni, le discussioni, le perdite di tempo che l’esercizio della democrazia comporta; da ciò la propensione al decisionismo ed al licenziamento degli assessori considerati poco meno che dipendenti.
Fortunatamente, cominciano ad emergere i primi dubbi su una simile concezione dell’agire politico e sui risultati che esso sta dando. Tanto maggiori, questi dubbi, quanto più si riscopre il carattere collettivo, progettuale, solidale di questo modo di operare. Che prevede il conflitto e la mediazione; che attenua l’ingiustizia attraverso la redistribuzione (intesa in senso materiale ed in senso civile), che dà la parola anche agli “azionisti di minoranza”.

c) Quello che non abbiamo visto (e che, forse, non vedremo).

Nel breve riassunto di questi tre anni di vita regionale molte cose restano in sospeso e, probabilmente , lo rimarranno a causa dell’attenuarsi della spinta propulsiva della presidenza Soru.
Considerando gli aspetti più caratterizzanti dell’attività di governo c’è da chiedersi: una volta realizzato il massimo di accentramento di poteri sul ruolo istituzionale del presidente (nuovo Statuto, legislazione centralizzata sul territorio, capacità fiscale impositiva, riordino degli enti, ecc.) quali sarebbero state le proposte programmatiche attuative, ad esempio, sulle servitù militari dismesse?; sull’uso dei bacini minerari?; sulla gestione delle coste e del paesaggio?; e così via.
Le scarse notizie sulla parte propositiva concreta del programma ci hanno finora parlato di una particolare attenzione per le iniziative imprenditoriali e di ricerca collegate alla new economy, difrequenti contatti con il padrone americano di Porto Cervo e con il principe Karim, di progetti sollecitati alle multinazionali del turismo per l’utilizzazione dei beni derivati dalla chiusura dei bacini minerari, di accordi con il sindaco di Cagliari sulle opere pubbliche, di una strana conflittualità (l’affaire Tuvixeddu è ancora tutto da chiarire) con i padroni dell’industria edilizia.
Ognuno è libero di farsi l’idea che crede intorno a simili prospettive. Modestamente, mi sembra di intravedere, in esse, più la figura dell’imprenditore, che si ritrova, per altro, ingenti capitali da investire, che l’opera di un pubblico amministratore sensibile anche ai “piccoli problemi” della società.
Quale che sia il futuro destino politico di Renato Soru, sono convinto che una fase della vicenda si sia già chiusa e che la stagione degli amori sia proprio finita.

La stagione degli amori. Atto I

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