Socialisti europei a prova di crisi?

1 Luglio 2011

Mauro Piredda

Ci siamo già occupati della Spagna nel numero 99 (Iberia indignada), terra governata dai socialisti di Zapatero, una volta faro europeo della nuova sinistra ma oggi in caduta libera. Spostando in questo numero l’attenzione al Portogallo e alla Grecia, vediamo che candidarsi a fare il lavoro sporco per conto del capitale continua a non premiare i nostri dovunque essi operino. Detto di passaggio: negli Usa i miracoli dell’amministrazione Obama – che pur non essendo socialista ha illuso larga parte dei lavoratori americani – stanno producendo la rottura tra i democrats e il sindacato Afl-Cio (http://www.commondreams.org/headline/2011/06/09-1) presupponendone l’indipendenza dal bipartitismo capitalista (e in particolare dai democratici).
Partiamo perciò da un dato di fatto: se non si governa per trasformare la società ma per agire all’interno delle compatibilità di un sistema ormai marcio il risultato non può essere che questo. E nulla ci fa credere che la musica sarà diversa per il futuro, Italia compresa, con un Enrico Letta (testa d’ariete necessaria per lasciare a Bersani un profilo un pò più “Labour”) totalmente in linea con il pensiero di Mario Draghi (http://www.enricoletta.it/?p=4635). Su tutto ciò è auspicabile che la sinistra faccia le proprie riflessioni, anche analizzando ciò che succede nel resto d’Europa dove nei paesi con alto debito pubblico la narrazione, complici le agenzie di rating, è la stessa: tassi di interesse sempre più elevati (per compensare il rischio degli acquirenti) sui titoli di stato emessi con aumento ancor maggiore del debito; intervento dell’Unione europea (violando lo stesso statuto della Bce) con prestiti dati in cambio a programmi nazionali fatti di privatizzazioni, tagli ai salari e allo stato sociale.
In Portogallo i socialisti di Socrates hanno così massacrato i lavoratori attraverso il congelamento del salario minimo e una generale svalutazione degli stipendi, la riduzione delle pensioni di anzianità per tre anni (comprese le minime), l’aumento dei prezzi dell’energia elettrica e del gas attraverso la liberalizzazione e l’aumento dell’Iva, l’aumento del valore dei canoni di affitto (con conseguente ondata di sfratti), la chiusura di ospedali, centri sanitari e scuole, la privatizzazione della compagnia elettrica Edp, della compagnia del gas Ren e di quella area Tap. Così in queste elezioni anticipate (Socrates si era dimesso a fine marzo dopo la bocciatura dell’ennesimo piano di risanamento presentato dal suo governo) il Partido socialista è passato da 2.077.238 a 1.557.864 voti consegnando il governo del paese al Partido social democrata e al Partito popular. Prima di passare alla Grecia, è però opportuno sottolineare come il “piano di salvataggio” del paese ellenico ha punito chi all’estremo occidente europeo l’ha votato (si parla del maggio dell’anno scorso).
Il Bloco de Esquerda (membro come Rifondazione – seppur con lo stesso logo di Sinistra critica – del partito della Sinistra europea) ha dimezzato così i propri voti pur mantenendosi oltre il 5%. I comunisti invece, in alleanza con i verdi (Coligação Democrática Unitária), si sono mantenuti al 7,9% (440.850 voti).
In Grecia il Pasok ha svolto lo stesso ruolo: taglio degli stipendi pubblici e aumento veritiginoso dei licenziamenti nel settore, liberalizzazione di quelli nel settore privato, taglio delle pensioni e aumento dell’età pensionabile, aumento della pressione fiscale e drastica riduzione di sussidi e prestazioni.
E per far ottenere alla Grecia un’ulteriore tranche di aiuti, il parlamento ellenico dovrà approvare (al momento in cui si scrivono queste righe) una pesantissima manovra da 28 miliardi di euro con conseguente svendita di servizi primari come energia, trasporti e telecomunicazioni, tentando anche la fortuna con la privatizzazione delle lotterie nazionali (anche il governo socialista spagnolo ha messo sul mercato il 30% della Sociedad Estatal Loterias y Apuestas del Estado).
Papandreu vive questa crisi all’interno del suo entourage (con defezioni nella sua maggioranza), nell’intero parlamento in seguito al rifiuto di Néa Dimokratía di formare un congiunto governo di “solidarietà nazionale” con i socialisti (della serie: “sbucciatevela da soli”) e nell’intera società (con i continui scioperi compreso l’ultimo di 48 ore). Cosa succederà nel parlamento al momento in cui scriviamo non è dato sapere (Papandreu è sostenuto da una risicatissima – 155 su 300 – maggioranza).
E quanto accadrà nelle piazze e nei luoghi di lavoro nei prossimi giorni descriverà meglio di qualsiasi articolo la risposta organizzata di chi sta pagando una crisi provocata da altri. Perciò con queste righe si vuole semplicemente affrontare la questione dal punto di vista elettorale (che poi è quello principale per buona parte della nostra sinistra) sperando che siano maturi i tempi della riflessione su quanto siano opportune le tattiche, o meglio, i tatticismi elettoralistici a discapito dello studio delle prospettive.

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