Scudi umani
1 Agosto 2011Alfonso Stiglitz
Sant’Efis gloriosu è uscito di persona dalla sua chiesa, il primo maggio scorso, sulle spalle dei soldati della Brigata Sassari. Di persona perché nella nuova statua d’argento sono contenute le sue reliquie donate dalla Chiesa di Pisa tramite il vescovo guerriero di Cagliari, il generale mons. Giuseppe Mani. Il ritorno del santo in Sardegna è avvenuto per via militare e in una caserma alloggerà: una nuova servitù militare, un autentico scudo umano, ancorché santificato. A proteggere i soldati di una brigata nata per mandare i sardi al macello, creata per utilizzare al meglio le virtù selvagge e feroci dei sardi, in perfetto spirito lombrosiano, “cittadini” sacrificabili di uno Stato un po’ traballante.
Nello stesso mese, un altro viaggio, ma in senso inverso, portava dalla Sardegna al Continente un ingente carico d’armi, razzi, fucili, munizioni; il viaggio è avvenuto su navi passeggeri della Saremar e della Tirrenia. Un fatto gravissimo che ha messo in pericolo i viaggiatori, con la mente che ci riporta, ovviamente, al dramma della Moby Prince nel porto di Livorno: sempre maggiori sono, infatti, i dati e i sospetti, su movimenti di armi militari in quel porto, come origine del disastro.
In altre parole i passeggeri vengono usati come scudi umani, per coprire movimenti militari, che si suppone non siano del tutto legittimi e che è meglio far svolgere al sicuro riparo di normali attività vacanziere. Il governo ha immediatamente posto il segreto militare, non sia mai che i cittadini possano sapere chi e che cosa viaggia con loro. Ritenevo, ma non sono un giurista, che l’uso dei civili come scudi umani fosse proibito dalle convenzioni internazionali, se così è il segreto di Stato è illegittimo.
E se parliamo di scudi umani il caso più clamoroso, anche per i risvolti politici, sociali ed economici è quello di Quirra. Da anni è in corso una campagna per cercare di far emergere il grave disastro sanitario e ambientale di quella base usata per sperimentazioni non molto chiare, anche a opera di ditte private e i cui proventi vanno allo Stato e non alla Regione. Sperimentazioni ed esercitazioni che hanno lasciato una grave scia di morti e malattie. Finalmente la magistratura interviene a tutela della nostra incolumità, sequestra il poligono e ordina l’allontanamento di persone e animali.
E qui, sorprendentemente la popolazione, quella che che ha subìto e subisce i danni maggiori, si scaglia contro la magistratura invece che contro i militari. Invece di chiedere conto allo Stato della grave situazione e imporre l’intervento immediato sia economico per aiutare le vittime, allevatori e popolazione, sia ambientale con la chiusura immediata della base e la sua bonifica, a terra e in mare, gli amministratori locali e i rappresentanti di categoria portano in piazza la gente contro chi cerca di tutelarli.
Ci saremmo aspettati manifestazioni a Roma o a Cagliari, non a Lanusei.
Qui abbiamo il caso di scudi umani consenzienti, per i quali la propria incolumità e quella degli altri è un prezzo insignificante, a fronte delle superiori esigenze di entità altre, sfuggenti, autorevoli e lontane.
Ma questo 2011 ci riserva altre sorprese militari; è di pochi mesi fa l’annuncio della realizzazione di nuovi quattro radar a Sant’Antioco, Fluminimaggiore, Tresnuraghes e l’Asinara, da parte della Guardia di Finanza, con la scusa di salvaguardarci dall’invasione di migranti. In realtà, come la stampa ha puntualmente informato, si tratta di un nuovo sistema militare, il C4I, un sistema complesso e articolato di sorveglianza e controllo elettronico militare, coperto come di consueto da segreto per le popolazioni locali; l’ha dichiarato in parlamento il ministro Elio Vito in maniera talmente palese da far pensare che le opinioni dei sardi, dalla Giunta regionale in giù, non sono parte prevista nelle decisioni del governo centrale. E guarda caso con il sostegno di un autorevole dirigente del Pd, Antonello Cabras.
La nuova installazione va ad aggiungersi all’impressionante sequenza di servitù che ci dà il primato in Italia, l’unico che abbiamo; e a dirlo non sono straccioni pacifisti ma la Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana che il 4 marzo 2005 pubblica il D.P.C.M. 18 ottobre 2004 di “Individuazione delle regioni maggiormente oberate dai vincoli e dalle attivita’ militari per il quinquennio 2000-2004, ai fini della corresponsione di un contributo annuo dello Stato – Articolo 4, comma 2, della legge 2 maggio 1990, n. 104”. Leggere per credere, al 2004 lo Stato dichiara che la Sardegna, tra le Regioni a Statuto speciale, è gravata del 59,97% delle servitù, seguita dal Friuli-Venezia Giulia con il 31,65%, per finire con la Sicilia che ha lo 0,76%.
Curiosa la percentuale della Sicilia, che pure ha una posizione strategica uguale o superiore a quella della Sardegna e i cui problemi di immigrazione sono esponenzialmente superiori ai nostri. Infine, ultima notizia del 2011, per ora, a Teulada le esercitazioni riprenderanno d’estate.
Nonostante la Sardegna sia tutt’ora la Regione (?) italiana più gravata dalla servitù militari, in buona parte derivanti da accordi e da atti segreti, lo Stato italiano continua a ritenerla una terra di nessuno, dotata di cittadinanza politica a differenza, ad esempio, della Sicilia. E questo ci riporta, in chiusura, al problema politico, quello da cui deriva tutto. L’entità, la qualità, le modalità e la realtà delle servitù militari sono uno degli elementi principali che ci permettono, tuttora, di definire la Sardegna con un termine, per qualcuno obsoleto, di colonia. Gli avvenimenti del 2011 ci danno il senso dell’attualità di questo termine.
È in corso da tempo, anche su queste pagine, un dibattito su quale forma dare alla nostra capacità di decidere, e il tema dell’indipendentismo, un tempo relegato in una cantuccio un po’ folcloristico, ha ripreso vigore in forme nuove.
In questi giorni un altro autorevole dirigente del Pd, Massimo Dadea ha sdoganato questo termine proponendolo al dibattito, sul nuovo quotidiano Sardegna 24. Il problema di questi dibattiti, come mostrano le risposte, banali, sullo stesso quotidiano, è che restano relegati alle affermazioni di principio tra chi è a favore e chi contro. Se non leghiamo la discussione ai problemi concreti dei sardi, l’indipendentismo o il federalismo o il neoautonomismo o l’unitarismo restano meri giochi terminologici, buoni per la retorica (sardista o italianista), relegandoci al ruolo di utili idioti per altri, come nel caso di Quirra.
Qualunque siano le modalità di governo che vorremmo è sulle cose concrete che dobbiamo misurarle. Le servitù militari sono uno dei primi banchi di prova: quale sistema politico può garantirci meglio rispetto a questa nostra condizione coloniale? Risposte concrete cercasi.
E già che ci siamo ne propongo una al nostro protettore: Sant’Efis torr’a domu.
1 Agosto 2011 alle 09:50
Caro Alfonso, tutto ben detto e calibrato. Ma una piccola osservazione a proposito del comportamento dei più diretti interessati ai guai del poligono di Quirra. Anche in questo caso i buoni e i cattivi, le autorità militari e i magistrati, governanti centrali e regionali, insomma tutti quelli che devono o possono intervenire, paiono non avere considerato abbastanza che la gente del luogo come pastori e contadini hanno anche loro a che vedere e temere a modo loro in questa vicenda. E’ andato mai nessuno a capire quali sono le loro priorità, i loro bisogni sentiti e le loro paure, anche sbagliate o miopi? Prima lo sospettavo. Ma sono stato qualche giorno fa a Perdas. E ne ho avuto conferma. Anche per dire che sono sbagliate, miopi e ingannevolei, i modi di vedere e di sentire locali devono essere prima di tutto conosciuti, la gente del posto ascoltata, capita, tenuta in conto. Non ci ha insegnato nulla, non dico ai governanti, ma almeno agli ambientalisti, la vicenda del Parco del Gennargentu o come altro si chiami oggi? I diretti interessati non mai voce per nessuno. E in questo gli ambientalisti sono spesso più giacobini degli altri. Non pare difficile capire che è una necessità vitale quotidiana quella di far pascolare e abbeverare le greggi. La magistratura ogliastrina ci ha mai pensato, prima di emanare pur giusti provvedimenti? Temo di no. Dei locali si fa sempre tabula rasa, che si tratti di missili, parchi o TAV. E poi li si accusa di connivenze con i cattivi.
1 Agosto 2011 alle 11:10
Caro Giulio, hai ragione quando dici che i diretti interessati, quando subiscono i disastri ambientali, sono sempre tenuti fuori dalle decisioni che riguardano la loro vita e il loro futuro. L’esempio delle popolazioni che vivono vicino alla base di Quirra è emblematico. In realtà, il giacobinismo è un fenomeno diffuso, molto più di quanto pensiamo. Anche quando siamo animati dalle intenzioni più generose ci dimentichiamo che il primo sostegno di cui hanno bisogno coloro che vivono situazioni di emergenza è quello di essere ascoltati. E non sempre ne siamo capaci.
Io penso però che in questa situazione le responsabilità maggiori del disagio delle popolazioni dell’Ogliastra siano di chi governa, nel paese e nella Regione. E non perché il governo sia ladro anche quando piove. Forse sarebbe stata opportuna una dichiarazione di calamità naturale, comunque erano/sono necessari finanziamenti per affrontare le conseguenze del blocco delle attività produttive e per il risanamento delle aree inquinate. Le persone che vengono private del lavoro o che sono costrette ad abbandonare le loro case devono trovare delle alternative. E chi deve provvedere a queste cose se non la politica? Mi preoccupa che i magistrati di Lanusei possano diventare i colpevoli di questo dramma. Non a caso l’inettitudine delle nostre istituzioni sembra finalizzata ad alimentare questo convincimento.