A chi servirebbe l’arrivo del metano in Sardegna, così in ritardo?

16 Novembre 2019
[Stefano Deliperi]

Si parte con la realizzazione della dorsale per il trasporto del gas naturale in Sardegna? Forse. Ma a chi conviene?

Il partecipato dibattito promosso dai Comitati sardi per la democrazia costituzionale in collaborazione con Il Manifesto Sardo presso la sala conferenze dell’Hostel Marina (Scalette di San Sepolcro, Cagliari, 11 novembre 2019) ha cercato di dare qualche informazione in più.

Ecco qualche riflessione.

La Sardegna è l’unica regione italiana priva di rete di distribuzione del gas naturale e, senza dubbio, nel corso dei decenni è stato un forte elemento negativo sotto il profilo economico-sociale.

Da nessun gasdotto, tramontata fortunatamente l’ipotesi di derivazione dal progetto di gasdotto Galsi, ora in campo vi erano ben quattro progetti di gasdotto per l’Isola, poi ridotti a due.

Che cosa è accaduto?

A livello europeo è noto come salami slicing, cioè la furbesca divisione di un unico progetto per attenuarne il previsto impatto ambientale.    E’ una prassi vietata, anche secondo la costante giurisprudenza comunitaria e nazionale.

Ed è quello che sta accadendo in Sardegna in relazione ai progetti della Società Gasdotti Italia s.p.a. e Snam Rete Gas s.p.a. per la realizzazione della dorsale di trasporto del gas naturale (metano) e delle relative derivazioni.

Le due società hanno furbescamente presentato istanza[1] per avviare i rispettivi procedimenti di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.)prima per il tronco centro-meridionale dell’Isola (Città metropolitana di Cagliari e Province del Sud Sardegna e di Oristano), poi per il tronco centro-settentrionale (Province di Sassari e di Nuoro).

Prima i procedimenti di V.I.A. erano di competenza regionale, poi, in seguito al decreto legislativo n. 104/2017, sono divenuti di competenza nazionale, quindi sono stati riassunti presso il Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare.

Sarebbe, inoltre, necessario valutare gli impatti cumulativi dei due diversi progetti, di fatto inizialmente alternativi, poi oggetto di un accordo fra le due società energetiche per un progetto comune (2018).

L’investimento complessivo sarebbe di circa 500 milioni di euro, mentre il Gruppo Snam stima un risparmio per l’Isola di circa “300 milioni di euro sulla bolletta energetica regionale”, visto che “il prezzo medio dell’elettricità è di 53 euro per megawattora, con vette di 62 euro. Il prezzo medio del gas, invece, è di 19 euro per megawattora”.

Ma chi paga?

Il parere dell’Autorità di Regolazione per l’Energia Reti e Ambiente (ARERA) n. 410/2019/R/gas del 15 ottobre 2019 relativo ai “criteri di regolazione tariffaria per i servizi di distribuzione e misura del gas che troveranno applicazione a partire dall’anno 2020” è piuttosto chiaro: la Sardegna è e resta un ambito a sé, conseguentemente con un ambito tariffario separato.  In pratica, allo stato gli utenti sardi pagheranno completamente la realizzazione del loro gasdotto, con risultati decisamente negativi sul piano del risparmio.

E la Regione autonoma della Sardegna, al di là dei trionfalismi fuori luogo, lo sa benissimo.

Nella zona baricentrica di Oristano – S. Giusta sono stati autorizzati tre depositi costieri (IVI Petrolifera, Higas, Edison) per uno stoccaggio complessivo pari a 28 mila metri cubi: anch’essi avrebbero dovuto esser sottoposti a una valutazione degli impatti ambientali cumulativi, non svolta.

Un altro terminal con deposito costiero gnl e impianto di rigassificazione è quello progettato dalla Isgas Energit Multiutiliess.p.a. (22.068 metri cubi di stoccaggio, 720.000 metri cubi di stoccaggio nel corso di un anno) nel porto canale di Cagliari, attualmente assoggettato a procedimento di V.I.A., un altro ancora è quello proposto dal Consorzio Industriale Provinciale (C.I.P.) di Sassari nella zona industriale di Porto Torres.

La stima del consumo annuo di gas naturale in Sardegnaeffettuata dalla Snam è pari a 772 milioni di metri cubi.

Emerge, quindi, come palesemente sovradimensionata la realizzazione dei cinque depositi costieri progettati o già autorizzati (il solo deposito costiero del porto canale di Cagliari ne movimenterebbe 720 milioni di metri cubi all’anno).

Il disegno è quello di far diventare la Sardegna una piattaforma di stoccaggio energetico?

Sembrerebbe di sì.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus aveva inviato sistematicamente (2017-2018) puntuali atti di intervento nei quattro procedimenti di V.I.A. relativi ai rispettivi progetti di gasdotto e per i depositi costieri oristanesi al Servizio valutazioni ambientali del Ministero dell’Ambiente, chiedendone la dichiarazione di improcedibilità per la mancata valutazione integrale e cumulativa degli impatti ambientali.

Il gas naturale è una fonte di energia di origine fossile, come il carbone e il petrolio, il cui utilizzo comporta l’emissione di gas serra e di altri inquinanti atmosferici, però in misura sensibilmente inferiore rispetto agli altri combustibili fossili.        Infatti, a parità di energia prodotta, la combustione del gas naturale emette circa il 75% dell’anidride carbonica (CO2) prodotta dall’olio combustibile e circa il 50% di quella prodotta dal carbone.

Nell’attuale fase di transizione dal presente sistema energetico mondiale imperniato sulle fonti fossili al futuro sistema basato sulle fonti rinnovabili, il gas naturale rappresenta certo un’utile soluzione temporanea. In tal senso, in linea teorica l’impiego del gas naturale, in sostituzione di altre fonti fossili come derivati petroliferi e carbone, appare senza dubbio auspicabile.

Attualmente (dati piano energetico ambientale regionale) in Sardegna abbiamo i seguenti dati relativi alle fonti di produzione energetica: 78% termoelettrica, 11% eolica, 5% bioenergie, 5% fotovoltaico, 1% idroelettrico.  Fonte termoelettrica: 42% carbone; 49% derivati dal petrolio; 9% biomasse.    L’utilizzo del gas naturale sarebbe conveniente sul piano ambientale ed economico, qualora integralmente sostitutivo del carbone e dei derivati dal petrolio.

Tuttavia, oltre il 46% dell’energia prodotta “non serve” all’Isola e viene esportato, quando possibile, vista la limitata capacità dei due sistemi di trasporto dell’energia (cavidotti SAPEI e SACOI) , complessivamente 1.400 MW.

Il terzo collegamento – fra la Sicilia e la Sardegna – recentemente annunciato dal Governo nazionale e oggetto di un accordo fra Regione Siciliana, Terna s.p.a. e Cassa Depositi e Prestiti (settembre 2019) – non ha finora incontrato il favore della Regione autonoma della Sardegna, che punta sul metano.

Quindi, allo stato, o il metano sostituisce altre fonti fossili più inquinanti (petrolio e derivati, carbone) oppure è semplicemente dannoso.

Soprattutto, il metano arriverebbe fin troppo tardi in Sardegna, non prima del 2025, quando ormai le fonti rinnovabili saranno avviate a esser oggettivamente il pane quotidiano della produzione energetica.

In proposito sarebbe opportuno puntare sullo sviluppo della ricerca e la realizzazione di sistemi di accumulo energetico.

In qualche misura l’ha capito anche la Regione autonoma della Sardegna, che, con la deliberazione Giunta regionale n. 5/25 del 29 gennaio 2019 (linee guida per l’autorizzazione unica per gli impianti produttori di energia da fonte rinnovabile. Art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003 e s.m.i.), ha aumentato fino al 35% la superficie delle zone industriali destinabile a impianti eolici e solari fotovoltaici/termodinamici.

Ma è l’intera politica industriale regionale a esser coinvolta, visto che sono le grandi industrie energivore il primo (di gran lunga) consumatore di energia della Sardegna: la follìa ambientale, sanitaria, energetica è rappresentata dalla volontà ottusa di far ripartire il ciclo di produzione primaria dell’alluminio a Portoscuso, rientrante nel sito di interesse nazionale (S.I.N.) per le bonifiche ambientali del Sulcis-Iglesiente-Guspinese (D.M. n. 468/2001).

Da alcuni anni è in corso il procedimento di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) relativo al “Progetto di ammodernamento della raffineria di produzione di allumina ubicata nel Comune di Portoscuso, ZI Portovesme (CI)” da parte della Eurallumina s.p.a. Si tratta della terza variante del progetto, dopo le prime due del 2015: l’attuale versione del progetto non prevede più una nuova centrale a carbone, ma un vaporodotto in collegamento con l’esistente centrale elettrica ENEL.

Anche in questo caso l’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inviato sistematicamente atti di intervento nel procedimento di V.I.A., formalizzando, fra l’altro, una proposta alternativa fin dal maggio 2016 presentata pubblicamente, ma colpevolmente snobbata da anni da amministrazioni pubbliche, aziende, sindacati: sarebbe quantomeno da verificare concretamente la possibilità della trasformazione del polo dell’alluminio primario di Portoscuso in polo dell’alluminio riciclato, che permetterebbe la salvaguardia dei posti di lavoro, infinitamente minori consumi energetici e, soprattutto, infinitamente minori impatti ambientali e sanitari.

L’alluminio, infatti, è materiale completamente riciclabile e riutilizzabile all’infinito per la produzione di oggetti anche sempre differenti. L’Italia (insieme alla Germania) è oggi il terzo Paese al mondo per la produzione di alluminio riciclato, dopo gli Stati Uniti e il Giappone.

Attualmente ben il 90% dell’alluminio utilizzato in Italia (il 50% nel resto dell’Europa occidentale) è alluminio riciclato e ha le stesse proprietà e qualità dell’alluminio originario: viene impiegato nell’industria automobilistica, nell’edilizia, nei casalinghi e per nuovi imballaggi.

La raccolta differenziata, il riciclo e recupero dell’alluminio apportano numerosi benefici alla Collettività in termini economici perché il riciclo dell’alluminio è un’attività particolarmente importante per l’economia del nostro Paese, storicamente carente di materie prime, in termini energetici, perché permette di risparmiare il 95% dell’energia necessaria a produrlo dalla materia prima[2], nonchè sotto il profilo ambientale in quanto abbatte drasticamente le emissioni inquinanti e necessità di molte meno risorse naturali.

Nel 2016 in Italia sono state recuperate ben 48.700 tonnellate di alluminio, il 73,2% delle 66.500 tonnellate immesse nel mercato nello stesso anno: così sono state evitate emissioni inquinanti pari a 369 mila tonnellate di CO2 ed è stata risparmiata energia per oltre 159 mila tonnellate equivalenti petrolio (dati Consorzio Italiano Imballaggi Alluminio – CIAL, 2017).

La totalità dell’alluminio attualmente prodotto in Italia proviene dal riciclo. I trend confermano l’Italia al primo posto in Europa con oltre 927 mila tonnellate di rottami riciclati (considerando non soltanto gli imballaggi).

Oggi nel nostro Paese operano dodici fonderie che trattano rottami di alluminio riciclato, con una capacità produttiva globale di circa 808 mila tonnellate di alluminio secondario (2015), un fatturato complessivo di oltre 1,87 miliardi di euro e circa 1.600 lavoratori occupati nel settore.

Se la Sardegna abbandonasse una volta per tutte gli incubi industriali da obsoleto kombinat sovietico, ne avremmo vantaggi ambientali, sanitari ed energetici per tutti, compresi quei 200 operai che da nove anni battono i caschetti per terra, i quali potrebbero tornare finalmente a lavorare senza avvelenare i propri figli.

Di altri scempi ambientali non se ne sente proprio il bisogno.

 

Stefano Deliperi è il portavoce del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

[1] Nel corso del tempo sul sito web istituzionale delle “Valutazioni Ambientali” del Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare (http://www.va.minambiente.it/it-IT) sono stati pubblicizzati i seguenti procedimenti di valutazione di impatto ambientale:

* progetto “Sistemi di trasporto gas naturale Centro Sud Sardegna” presentato da Gasdotti Italia s.p.a., attualmente in sede di verifica amministrativa (http://www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Info/1695), concluso con determinazione direttoriale negativa per rinuncia prot. n. 13951 del 18 giugno 2018;

* progetto “Sistemi di trasporto gas naturale Centro Nord Sardegna” presentato da Gasdotti Italia s.p.a., attualmente in sede di verifica amministrativa (http://www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Info/1696), concluso con determinazione direttoriale negativa per rinuncia prot. n. 13953 del 18 giugno 2018;

* progetto “Metanizzazione Sardegna – tratto Nord” presentato dalla Snam Rete Gas s.p.a., attualmente in sede di istruttoria tecnica da parte della Commissione tecnica VIA/VAS (http://www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Info/1677);

* progetto “Metanizzazione Sardegna – tratto Sud” presentato dalla Snam Rete Gas s.p.a., attualmente in sede di istruttoria tecnica da parte della Commissione tecnica VIA/VAS (http://www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Info/1694), con parere positivo condizionato della Commissione VIA/VAS prot. n. 3127 del 27 settembre 2019, in attesa del previsto “concerto” con il Ministero per i Beni e Attività Culturali e il Turismo.

[2] la produzione di un kg. di alluminio di riciclo ha un fabbisogno energetico (0,7 kwh) che equivale solo al 5% di quello di un kg. di metallo prodotto a partire dal minerale (14 kwh).

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