A Foras Fest. Perché è necessario partecipare al corteo contro l’occupazione militare
16 Maggio 2019[Davide Pinna]
Il 2 giugno torna di nuovo in piazza A Foras – Contra a s’ocupatzione militare de sa Sardigna e ce n’era davvero bisogno. L’appuntamento è quello dell’A Foras Fest, diventato ormai un classico essendo giunto al terzo anno di organizzazione, ma non c’è nessun rischio di riproporre per abitudine modelli di partecipazione e obiettivi ormai stanchi e ossidati. Tutt’altro: al centro della manifestazione organizzata dai militanti e dalle militanti dell’assemblea generale sarda contro l’occupazione militare ci sono questioni che sono più vive che mai e che pongono a tutti i sardi delle domande fondamentali. In primo luogo la data, che si contrappone dichiaratamente alla festa della Repubblica, la stessa repubblica che, come si legge in una nota di A Foras, «da ormai 70 anni occupa abusivamente ampie porzioni di territorio dell’isola, per devastarlo con il proprio esercito, prestarlo ed affittarlo agli eserciti di mezzo mondo e imprese multinazionali che testano le proprie armi per venderle ai migliori offerenti».
Una cosa è certa: negli ultimi anni la situazione relativa all’occupazione militare della Sardegna non è migliorata, ma anzi peggiorata fortemente. Il Ministero della Difesa fa in Sardegna quello che vuole, senza che la Regione e gli altri enti locali possano dire o fare alcunché. Nonostante le promesse sull’attuazione di piani – comunque insufficienti – di controllo indipendente su quanto accade all’interno dei poligoni, nei fatti ormai non esiste più nemmeno il passaggio – puramente formale – della verifica in seno al Comitato Misto Paritetico composto da Regione e Difesa: i militari decidono il programma delle esercitazioni, se lo approvano da soli e non hanno alcun obbligo di informare i cittadini. Sappiamo che ci sono le esercitazioni perché vediamo gli aerei sfrecciare e sentiamo gli ordigni esplodere, oppure perché riceviamo le ordinanze di sgombero: i militari ci scacciano come ospiti indesiderati da terre che dovremmo essere liberi di attraversare e vivere ogni giorno.
Di pochi giorni fa la notizia che, nonostante dal processo su Quirra emergano inquietanti verità sul ruolo della nanoparticelle nell’inquinamento della zona limitrofa al poligono, si è tenuto nel PISQ un nuovo test missilistico che ha portato al rilascio di una densa nube di fumo visibile a chilometri e chilometri di distanza. Inoltre, per tutto il mese di maggio, l’isola sarà il principale teatro operativo dell’esercitazione Joint Stars 2019 che vedrà coinvolti più di 2000 militari, impegnati in manovre aeree, terrestri e marittime, lanci con paracadute e, ovviamente, esercitazioni di tiro a fuoco: spari con munizionamento vero, per intendersi.
Non solo, sembra ormai che ormai i poligoni non bastino più alle esigenze addestrative della Difesa e della Nato: anche le nostre città stanno diventando zone in cui i militari possono fare quello che vogliono. Proprio questo è il tema scelto da A Foras, che ha portato a intitolare la giornata di mobilitazione del 2 giugno “La guerra nel golfo”. Il golfo in questione è quello di Cagliari, che ormai vede tutto l’anno la presenza di navi militari impegnate in esercitazioni o in altre attività, ma il riferimento è anche ai porti di Sant’Antioco e Olbia, anche questi ormai punto di riferimento logistico per le marine militari della NATO. Pensiamo anche al fatto che negli ultimi mesi la Difesa ha inaugurato un nuovo corso che prevede lo svolgimento di esercitazioni all’interno di aree urbane: è successo a Bosa, dove si sono visti più volte i soldati impegnati in esercitazioni sul Temo, nel bel mezzo della città, e a Cagliari dove un esercitazione con tanto di spari, fumogeni ed elicotteri è stata svolta all’interno della caserma Monfenera, in viale Poetto.
A Foras ovviamente pone al centro del suo percorso – fatto di mobilitazioni ma anche di aggregazione, informazione e studio – il problema dell’occupazione militare della Sardegna, ma è chiaro che questo è solo un aspetto di una questione ben più ampia: l’indisponibilità della terra per le comunità che la abitano. Ecco perché in questi anni l’assemblea generale sarda contro l’occupazione militare si è occupata di aspetti che sembrano slegati, ma sono invece fortemente connessi: la distruzione della sanità pubblica in collaborazione con il Qatar, l’inquinamento da fonti industriali, i progetti di metanizzazione dell’isola o le battaglie in difesa di un ambiente minacciato. Tutte queste battaglie, e ancora tante altre, sono strettamente connesse tra loro e, in ciascuna di queste, bisogna essere presenti con unità e determinazione con la piena coscienza del fatto che non si può perdere.
Chi, in Sardegna, lotta perché le comunità abbiano il diritto a disporre liberamente e con equilibrio della terra in cui abitano, non dovrebbe mancare all’appuntamento di domenica 2 giugno. L’isola, pur non avendo dichiarato guerra a nessuno, è teatro di battaglia quasi ogni giorno dell’anno tra ottobre e maggio. Tutto questo accade senza che la popolazione possa negare il suo consenso e senza che ci sia la minima informazione ufficiale su quello che accade. Questa lotta riguarda tutti, perché la terra in cui abitiamo non può essere un bersaglio né tantomeno il luogo dove le forze armate di mezzo mondo si esercitano per portare la guerra altrove, ed è ancora più importante esserci visto che quest’anno cade il cinquantesimo anniversario della lotta di Pratobello, una lezione di resistenza popolare che i sardi non dovrebbero dimenticare.