A proposito di monsieur Chauvin
1 Luglio 2010Mario Cubeddu
Dopo l’uscita ingloriosa della Francia dai mondiali di calcio il quotidiano “Le Monde” ha pubblicato un bell’articolo sulle reazioni dello “chauvin” francese ai successi e alle sconfitte calcistiche. Sappiamo che all’uscita dalla scena dei francesi ha fatto seguito immediatamente quella degli italiani. Nessuna rivalsa di alcun genere: i giornali francesi hanno riconosciuto ai giocatori italiani una sconfitta a testa alta, all’interno di regole del gioco pienamente rispettate. Ma cosa è questo “chauvin” chiamato in causa a proposito del tifo sportivo per le nazionali di calcio, cosa sarà mai lo “chauvinismo” sportivo? Faceva impressione Madame Roselyne Bachelot-Narquin, Ministro della Salute e degli Sports, quando riferiva davanti ai microfoni e alle telecamere di essersi presentata ai giocatori francesi a chiedere conto del loro comportamento. Già sospetti per essere in gran parte musulmani e di colore, rei di aver rifiutato l’allenamento per solidarietà con un tale Nicolas Anelka, espulso dalla squadra e rimandato in patria per aver invitato negli spogliatoi l’allenatore Raymond Domenech a “se faire inculer”, di fronte al suo richiamo al dovere dei giocatori di dare il buon esempio di fair play sportivo e di attaccamento alla bandiera a tutti “les enfants e les garçons” di Francia, i “bleus” erano tutti scoppiati in lacrime. Questo accadeva prima della partita conclusiva col Sud-Africa, persa dalla nazionale francese di calcio per 2 reti a 1; figuriamoci quanto avranno pianto i ragazzi della nazionale francese dopo la sconfitta. Il giorno dopo c’era in Francia lo sciopero contro l’elevamento dell’età pensionabile e le misure di austerity, come sempre rivolte ad intaccare la condizione di vita dei ceti che lavorano. Sindacati e sinistra hanno accusato Sarkosy di dare al giocatore restio all’allenamento, e poi sconfitto, Thierry Henry l’udienza che negava ai lavoratori in sciopero. Che strani i francesi, veniva da pensare. Nessuno contrapporrebbe il tifo per la nazionale italiana, obbligatorio e meritorio per tutti i cittadini dello stivale, destra e sinistra senza esclusioni, ai problemi seri della nazione. E il ministro Brancher deve essere proprio uno strano, come indica il cognome, oltre che uno che deve presentarsi all’udienza del Tribunale, quando dice di sorprendersi perché la nazione si occupa di lui invece che della sconfitta della nazionale. Perché da noi non esiste un equivalente di “chauvin”, o chauvinista. Il prototipo è, come spesso accade, una favola inventata: un soldato napoleonico capace di sacrificare “la vita per la patria” in maniera stupida, tanto fanatico quanto incosciente . Il fanatismo nei confronti della “nazione italiana” non trova in Italia nessun termine denigratorio capace di definirlo. La parola esatta sarebbe quella di “fascista”. Questo significato della parola non ha trovato però spazio e credito nella cultura italiana. Puoi chiamare “fascista” un padre che ti impone un orario di rientro decente, diciamo entro l’una di mattina. Non puoi chiamare fascista uno che impone di cantare l’inno di Mameli ogni mattina ai suoi alunni dopo averli schierati per l’alzabandiera. Potrebbe benissimo essere uno del PD, addirittura uno di Rifondazione. La nazione italiana è infatti sinonimo di “progresso”, opposto alla “disgregazione” e al “separatismo”. Da questo deriva anche che il termine “fascista” non è fungibile per gli orrori e i crimini del Novecento. L’italiano di sinistra, che si trova al colmo dell’indignazione, quando gli esce il fumo dalle orecchie, quando si trova davanti a un regime orrendo, che massacra per le strade i suoi cittadini invocanti giustizia e rispetto dei diritti, cosa fa ? Fateci conto , state attenti. Non chiama quei politici, quei regimi, quegli eserciti, quei comportamenti, per esprimere il massimo dell’indignazione, “fascisti”. No, quel termine non è abbastanza negativo. Non è forse vero che ha dato il via a tutto, che ha tolto la libertà agli italiani, dando allo stesso tempo un pessimo esempio a tutto il mondo? Non è forse vero che ha fatto morire e condannato alla galera una generazione di italiani? Non è abbastanza? Fateci caso: l’italiano usa solo ed esclusivamente il termine “nazista”. Vuoi mettere? Intanto non ti riguarda. Soprattutto, non riguarda la storia della nazione italiana e la storia del nazionalismo italiano. Non riguarda le vicende di tuo nonno, o di un padre, o di uno zio, che hanno dato una bella mano a far uscire la famiglia da una condizione di povertà o insignificanza. Quindi, tutti pronti ad esporre le bandiere della nazionale; lo “chauvin” italiano è in buona parte anche di sinistra. Fortunatamente quest’anno cortei nelle strade e spettacoli nelle piazze ci sono stati risparmiati. L’appuntamento per lo chauvinismo italiano di ogni colore è rinviato ai prossimi campionati, europei, mondiali, olimpici. Che vinca il migliore!