Alcool, droghe e stupidaggini

16 Novembre 2011

Piero Careddu

Le piantagioni dell’Utopia. Tra i tanti capolavori del governo che ci ha appena lasciati non possiamo dimenticare la legge che il presidente della camera Fini, oggi promosso da molti media a liberale illuminato, e l’altro genio della politica che risponde al nome di Carlo Giovanardi, regalarono al Paese in materia di regolamentazione del consumo di sostanze stupefacenti. Ricordate vero? Da allora i derivati della canapa indiana non appartengono più alla categoria delle cosiddette droghe leggere ma se la corrono, in materia di punibilità, alla pari con eroina, cocaina, ecstasi, crack . Chi a tutt’oggi viene trovato in possesso di una quantità modica di marijuana, può passare dei brutti momenti perché l’ambiguità della legge fa si che chi giudica abbia un’altissima discrezionalità riguardo al peso e, di conseguenza, alle pene da infliggere sotto forma di sanzioni amministrative, sospensione del passaporto, sospensione della patente di guida, lunghezza del periodo relativo al programma terapeutico e socio-riabilitativo che può arrivare fino a un anno.
La stessa coltivazione casalinga di poche piante pretende di essere regolamentata da un ragionamento schizofrenico che verte sulla differenza tra l’essere sorpresi dalle forze dell’ordine con la pianta recisa di fresco o ancora interrata. Qualche lettore potrà obbiettare che il momento drammatico che stiamo attraversando, e che ci vede ogni giorno col fiato sospeso di fronte ad un futuro a dir poco buio, avrebbe diritto ad argomenti di discussione e priorità ben diversi.
Il problema è che il collante che regge tutti i governi a stampo liberista (e di ogni angolo del pianeta) è un impasto di ipocrisia e cinismo. Infatti i due impeccabili legislatori si sono ben guardati dall’ inserire nel loro “innovativo” testo di legge il problema della droga di stato: l’alcool. Non un rigo, non una parola, non un pensiero su un dramma che attraversa la nostra quotidianità oltre ogni più azzardata immaginazione. Il costo sociale dell’abuso di alcool è altissimo come il numero di vittime che si contano ogni anno. Io non sono un medico ne tantomeno un sociologo ma, occupandomi di diffondere la sana e goduriosa pratica del bere poco e sano, mi metto il problema che, proprio in questo momento di crisi economica che tocca la quotidiana sopravvivenza di chi diventa povero, non esiste rifugio più facile, economico e legale dell’annegare la propria disperazione nell’alcolismo.
Solo alcuni dati per aiutare la riflessione: le statistiche ufficiali ci dicono che vanno collegati, direttamente e indirettamente, al consumo eccessivo di alcool il 10% di tutte le malattie, il 10% dei tumori, il 65% delle cirrosi epatiche, il 41% degli omicidi, il 45% degli incidenti stradali, l’11% delle malattie croniche e delle invalidità. In Italia il 10% dei ricoveri è legato al problema e sono 40.000 all’anno i decessi collegati direttamente all’abuso di bevande alcooliche. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha determinato che i costi correlati al consumo di alcol sono pari al 2,5 % del P.I.L.; all’interno di questi costi sono collocati quelli sostenuti dalle famiglie a causa di licenziamenti e declassamenti all’interno del posto di lavoro. Il 7% dei giovani sotto i 18 anni dichiara di ubriacarsi almeno 3 volte alla settimana e il + 103% degli adolescenti , rispetto al 2007, dichiara di consumare alcolici fuori dai pasti. La cosa sorprendente è che, quelli che ho appena elencato, sono dati Istat che rendono ancora più raccapricciante l’indifferenza dello Stato verso una piaga sociale che promette di allargarsi in modo allarmante nel futuro recessivo che ci attende dietro l’angolo.
Ma l’importante è essere riusciti a bloccare il pericoloso esercito di consumatori di spinelli!

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