Alle falde del petrolchimico
15 Luglio 2007Roberta Pietrasanta
Davanti a centinaia di ettari di terra bruciata, resa mostruosa dall’industria in parte dismessa del nord Sardegna, in comune di Porto Torres, l’unica risposta rischia di essere ancora l’incuria. Laddove gli esiti di un dramma non si consumano davanti agli occhi, come nelle aree in cui i vecchi insediamenti industriali hanno assunto la forma di fantasmi spaventosi e diroccati, ma si liberano sottili nell’aria o scorrono nel sottosuolo a profondità incerte, dimenticare è un attimo. Meno del tempo che occorre agli scarti del processo industriale per sciogliersi nel mare e rientrare a far parte della vita quotidiana in forma tossica.
Il paziente in questione è un territorio ancora scarsamente sotto osservazione. I geologi mai chiamati da Regione o da altre amministrazioni per un’indagine prolungata in loco, affermano di non sapere: il bacino idrogeologico del comparto turritano è largamente sconosciuto, per questo definire una soluzione al danno ambientale esistente è per il momento pura supposizione. I biologi marini riferiscono della presenza massiccia di sostanze inquinanti, ma solo con nuovi controlli potranno stabilire se l’inquinamento è diffuso in tutto il golfo dell’Asinara. I dati sull’inquinamento terrestre sono soprattutto quelli prodotti dalle grandi aziende come la Syndial (attuale Polimeri Europa) e restano per questo materiale privato.
COSTI E TEMPI DI BONIFICA. Si ipotizza che per risanare l’intera area (1830 ettari a terra e 2700 a mare) occorra oltre un miliardo di euro, mentre il governo ha previsto nell’ultima finanziaria poco più di 6 milioni 700 mila euro sulla cui amministrazione gli enti locali devono ancora definire un accordo. Denari che non serviranno comunque a bonificare tutte le aree compromesse. Porto Torres infatti, esclusa dall’elenco dei siti di interesse nazionale nel 1998 (perimetrazione decretata invece il 7 febbraio 2003), vive una fase precedente alla bonifica vera e propria. Sul territorio industriale 173 aziende obbligate dal ministero alla caratterizzazione dei suoli occupati per un primo intervento di ripristino dovranno sostenere ciascuna una spesa che si aggira attorno ai 30 mila euro: un impegno al quale difficilmente senza un sostegno le piccole e medie imprese potranno far fronte.
Nell’articolo 5 dell’accordo di programma sulla chimica siglato fra ministero ed enti locali il 14 luglio 2003, si contemplava la tutela del territorio. Al potenziamento del piano industriale doveva corrispondere la crescita della sicurezza sanitaria e ambientale. Era previsto così fra l’altro, lo smantellamento degli impianti dismessi, la messa in sicurezza dei siti, la creazione di un sistema integrato per il monitoraggio ambientale e la gestione del rischio industriale e delle emergenze. Ad oggi si tratta di un documento disatteso e nemmeno il felice incontro fra Renato Soru e Enrico Letta avvenuto lo scorso 10 luglio che rinnova, a distanza di 4 anni, l’intesa fra le parti e inserisce la Sardegna nel tavolo nazionale sulla chimica, lascia ipotizzare un repentino ed efficace intervento in materia di bonifiche. Il rilancio dell’industria sarda, che prioritariamente richiede l’abbattimento dei costi energetici e l’ottimizzazione delle risorse, non dovrebbe prescindere da una massiccia operazione di ripristino e salvaguardia ambientale.
Intanto nel territorio di Porto Torres – dove, con la presenza del petrolchimico, della centrale elettrica a carbone dell’Endesa, degli impianti di pvc e vcm della Ineos e di una miriade di altre imprese più piccole, si continua a produrre inquinamento – sussiste una situazione di emergenza su terra, cielo, mare. Un male di cui non sempre la popolazione è informata.
L’EMERGENZA. Nella primavera del 2006 l’Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (Icram) eseguiva una prima indagine sullo specchio d’acqua antistante il porto turritano. Risultava, come registrato nel report del ministero dell’ambiente reso noto il 30 agosto 2006, “una contaminazione diffusa da idrocarburi pesanti e puntuale da mercurio e cadmio”. Altri accertamenti effettuati su pesci e molluschi nell’area marina antistante lo stabilimento petrolchimico individuavano “la presenza di un elevato livello di contaminazione da composti organici persistenti” fra cui diossine, furani, pcb con livelli che “raggiungono talvolta il 200 per cento del limite massimo previsto”.
Ad agosto era il direttore generale del ministero dell’ambiente Gianfranco Mascazzini, davanti agli enti locali in riunione romana, a sollevare il coperchio sulla pentola di veleni dell’area turritana. A distanza di tre anni dalla perimetrazione del sito di bonifica di interesse nazionale dell’area di Porto Torres il ministero tornava a chiedere conto alle aziende e alle amministrazioni del territorio sullo stato di inquinamento. Alla Syndial la strigliata più pesante. Dal 2004 la società dell’Eni è impegnata nell’attività di caratterizzazione – una sorta di pre bonifica – attraverso i pozzi piezometrici che, sparsi in tutta l’area industriale, intercettano e aspirano l’acqua di falda inquinata per inviarla a depuratori speciali e successivamente al depuratore consortile. L’emungimento, questo è il nome tecnico dell’operazione, dovrebbe impedire il rilascio delle sostanze contaminate nelle acque costiere. Sull’efficacia del sistema idraulico costato all’azienda circa 80 milioni di euro non v’è ancora certezza. Secondo il ministero i dati trasmessi dalla Syndial, dopo due anni di caratterizzazione, erano insufficienti. Così il dottor Mascazzini, nell’agosto famoso, ordinava l’innalzamento di un muro in cemento, una barriera fisica affondata dentro il terreno fino a una profondità di 50 metri, a contenimento del forte inquinamento accertato nelle acque della falda. Una soluzione che aveva fatto venire i brividi a molti, dai dirigenti Syndial costretti dal direttore del ministero con un provvedimento a nuove ingenti spese, agli amministratori e ambientalisti locali preoccupati della reale efficacia di una simile opera. A placare gli animi lo stop a marzo scorso del Tar del Lazio cui avevano fatto ricorso le aziende interessate dal dispositivo ministeriale (oltre alla Syndial, anche Endesa e Sasol Italy). Oggi non è certa l’efficacia della barriera idraulica messa in opera da Syndial, e si attende nuova informazione dai report dell’azienda e dell’Arpas- Pmp.
IL BLITZ CHE TI SALVA. Davanti alla rappresentazione della rovina si tende a glissare. È un volto che può scatenare costernazione, nostalgia, desiderio di fuga, rabbia, senso di impotenza. Se la rovina è quella di un territorio il problema diventa economico, sociale e della cultura.
Capita che la popolazione preferisca dimenticare ciò che crede di non poter sanare. Così, quando lo scorso 28 maggio due artisti-attivisti di Az.namusn.art – Idee al pascolo, Riccardo Fadda e Leonardo Solinas, hanno portato al centro della piazza turritana che festeggiava i suoi tre martiri patroni, il simbolo dell’inquinamento, lo sgomento era diffuso. Barattoli e bottigliette dall’aspetto inquietante, prelevati da un capannone abbandonato ma facilmente raggiungibile dell’area industriale. Un’irruzione fra gli abiti buoni della festa: un gesto che è arte e denuncia sociale e che viene a scuotere le coscienze proprio nel momento in cui lo svago le distrae dal quotidiano. Successe che quella performance ebbe un effetto immediato: il giorno dopo scattò un’inchiesta della magistratura. I contenitori provenivano dall’ex cementificio – un ecomostro che nel ’98 fu messo sotto sequestro e poi liberato nel 2002 senza però alcuna bonifica. Il terreno è stato così nuovamente messo sotto sequestro e denunciato il proprietario per violazione delle norme ambientali. Lo stesso Az.namusn.art ha fatto ancora irruzione nelle sale della ex manifattura tabacchi a Cagliari nei giorni del Festarch. L’architettura di qualità, quella pensata dai grandi premi nobel, e attraverso la quale riqualificare le strutture urbane o extra urbane dell’Isola, dimentica, secondo gli artisti turritani, di conoscere davvero le terre nelle quali chiede di insediarsi. Dedicare attenzione ai territori invisibili, come quelli abbandonati delle aree industriali in attesa di bonifica, è quindi un dovere della politica e della società tutta. E dimenticare è un reato esso stesso.
Il 18 agosto del 2003 gli escavatori degli indipendentisti di Irs portavano allo scoperto 70 ettari di rifiuti tossici interrati nei terreni di Minciaredda, in area turritana Syndial. Il blitz scatenava un’inchiesta giudiziaria ancora in corso. Alla fine si disse che tutti sapevano. Così, come tutti sanno che l’area industriale è inquinata e causa di tumori.
La sensibilità rispetto al tema ambientale ha come obiettivo primario il fatto di non sprecare, ignorare, abbandonare, contaminare la terra in cui si abita. Né di perdere le conoscenze acquisite ma, al contrario, approfondirle. Un compito che solo la politica può istituzionalizzare e che solo la politica può trasformare in missione. Il risultato sarà una vita migliore per tutti.
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19 Luglio 2007 alle 11:06
Grazie a Roberta Pietrasanta e ad Az.namusn.art per quanto e come raccontano di Porto Torres. Sappiamo che i dati sanitario-ambientali del territorio comunale pre e oltremare, anzi dell’intera area nord-occidentale della Sardegna, sono specchio e metafora di uno sfacelo sociale ed economico che l’opinione pubblica, i media e le forze politiche ignorano in buona o pessima fede, o danno fatalmente per ineluttabile. Eppure il Turritano e la Nurra avrebbero nel discorso pubblico infiniti motivi di interesse, nel senso che a Porto Torres si intrecciano temi – tumori, modello di sviluppo, inquinamento, energia, tutela e fruizione dell’ambiente – che dovrebbero essere percepiti in tutta Italia come capita per Tav, Dal Molin, Marghera o i rifiuti campani. Sentiamoci impegnati perché ciò avvenga.
20 Luglio 2007 alle 15:53
Quello dell’inquinamento a Porto Torres e delle malattie conseguenti ad esso è sempre stato un pò il segreto di pulcinella,la gente ne parla a mezza voce da anni,na ha la certezza senza il bisogno di analisi scientifiche che dicono si,no,forse ed intanto si continua a morire di tumore,abbiamo le falde acquifere ed i terreni forse irrimediabilmente compromessi e tutto questo per cosa?respiriamo veleno per un tozzo di pane,sacrifichiamo le nostre potenzialità(un mare ed una costa stupendi,un patrimonio archeologico di valore inestimabile,un porto di grande importanza)per mantenere attaccato al respiratore quello che 40anni fa fu visto come una benedizione,ma che neanche troppo tempo dopo si è rivelato un laccio che ha strozzato ogni tentativo di crescita della nostra amata(meno del dovuto)città,che ci ha trasformati nella PATTUMIERA del territorio perchè,non illudiamoci,è così che siamo visti:un posto inquinato!40anni fa si ignoravano i temi ambientalistici,oggi che scusante abbiamo?
31 Marzo 2008 alle 14:39
Quello che davvero è accadututo nel territorio Turritano è davvero mostruoso. Non mi fa paura tanto per i limiti che esso comporta per la bellezza del territorio e del turismo ma quanto per salute di chi vivi nei centri limitrofi a questi siti industriali. Pare che non ci sia alcun “Report” sulla incidenza neoplastica da inquinamento nel Turritano ma si calcola che in genere ci siano almeno il 30% di casi Tumorali nelle città vicine a impiani Enichem. Penso che il cittadino debba fare la sua in qualche modo, forse sarebbe poco ma pur un inizo una raccolta firme di tutti i cittadini per richiedere il controllo e la bonifica degli impianti e dei terreni limitrofi ,da consegnare alle autorità competenti come procura della Repubblica e Magistratura.
Mi fa paura pensare che si continui a non fare nulla mentre noi stessi e i nostri figli muoiono di gravi Neoplasie respiratorie.
16 Maggio 2008 alle 12:08
Il freno delle bonifiche a Porto Torres è solo la politica. Manca la volontà di porre rimedio in maniera netta a questa catastrofe. I politici sanno molto in materia, ma la strategia è quella di non allarmare la comunità. L’agroalimentare è seriamente compromesso, nessuno ne parla, tutti mangiamo gli ortaggi contaminati prodotti nei terreni adiacenti l’agglomerato industriale. E’ meglio evitare allarmismi altrimenti il comparto agroalimentare sparisce letteralmente.
Il comparto ittico è seriamente compromesso, i pesci del golfo dell’Asinara sono contaminati, ma la strategia della politica è quella di tacere e non creare allarmismi altrimenti il comparto pesca di Porto Torres sparisce. Tutto questo porta ad un’impennata della disoccupazione. Saremmo vicini ad una rivolta civile. Per la Regione Sardegna il nord-ovest non esiste, i consigli regionali di questi ultimi 15 anni sono stati miopi davanti a questo fatto, si riempiono la bocca di bonifiche solo su tavoli rotondi e articoli da pagina intera sui quotidiani sardi. Ora basta, che si prenda in mano la situazione e gli organi preposti facciano la propria parte.