Alluminio: In Sardegna è proibito riciclare

1 Dicembre 2017
[Paola Correddu]

Mentre l’Italia continua ad attestarsi al 1° posto in Europa e al 3° nel mondo, dopo Giappone e Stati Uniti, per il riciclo dell’alluminio, in un’ottica di economia circolare in cui “il metal to metal loop – ciclo da metallo a metallo” garantisce il passaggio della materia da un manufatto ad un altro. Secondo il concetto di materiale permanente, alcuni Parlamentari Sardi si adoperano con grande impegno a far risorgere, come un’araba fenice, il polo industriale del Sulcis Iglesiente, specializzato nella produzione di alluminio, non da riciclo ma da materia prima, la bauxite, e andato incontro a chiusura a causa degli alti costi di produzione e la scarsa competitività sul mercato.

Al Senatore Silvio Lai, redattore di un emendamento al Decreto Legge n.91/2017, convertito nella Legge n.123/2017, che, sottraendo all’ uso civico quelle aree destinate, in violazione di legge, ad interventi industriali, potrebbe consentire il completamento dell’iter procedurale per il raddoppio del bacino dei fanghi rossi di Eurallumina, si è ora aggiunto il Deputato Francesco Sanna che mostra grande soddisfazione per l’approvazione, avvenuta l’8 novembre 2017, della Legge Europea 2017, che contiene una manovra sulla politica energetica dell’Italia, con regole a favore delle produzioni energivore, elaborate proprio a partire dalla crisi del settore alluminio per favorire il rilancio di Alcoa.

Da un lato abbiamo un’imprenditoria virtuosa ed attenta alla sostenibilità ambientale, con 12 fonderie ed un ciclo produttivo globale di 808 mila t.di alluminio secondario (2015) a basso consumo energetico e a bassa emissione di CO2, un fatturato nel 2015 di 1,87 miliardi e l’impiego di 1.600 lavoratori, con produzioni di qualità utilizzate nell’edilizia, nei trasporti, nell’arredamento, con un ampio mercato di esportazione per l’impiego nel comparto automobilistico. Dall’altro abbiamo la politica che, in maniera del tutto anacronistica, si adopera per favorire il riavvio del complesso industriale di Portovesme, ad alto consumo energetico, inquinante ed impattante sulla salute delle comunità. Un ritorno al passato per la Sardegna che continua ad essere volutamente esclusa da processi produttivi innovativi e più vantaggiosi sotto il profilo economico e sociale.

Si continua ad inserire la Sardegna all’interno di schemi di sviluppo ampiamente superati, che non garantiscono la forza lavoro, sempre a rischio di licenziamento, anzi il ricatto occupazionale è sempre dietro l’angolo, non garantiscono il benessere in termini di ricchezza, né tantomeno il benessere psicofisico della popolazione, condannata a vivere in un territorio di veleni , dove la contaminazione delle sue matrici è cosi estesa, suolo, sottosuolo, acque superficiali e profonde, da essere stato classificato tra le aree più pericolose d’Italia ed essere stato inserito in un SIN, quello del Sulcis-Iglesiente-Guspinese.

L’unica soluzione per la zona del Basso Sulcis, tra le più depresse d’Italia sotto il profilo economico-sociale –ambientale e con una industria attraversata da anni da una profonda crisi non può che essere la riconversione del polo dell’alluminio primario di Portovesme in polo dell’alluminio riciclato. Appare incomprensibile che i Parlamentari Sardi ed il Governo Regionale non abbiano mai preso in considerazione questa ipotesi più vantaggiosa e meno dispendiosa per le casse pubbliche. L’alluminio, infatti, è un materiale riciclabile all’infinito, al 100%, e il suo riciclo fa risparmiare il 95% dell’energia rispetto alla produzione da materiale estrattivo visto che per produrre 1 kg di alluminio primario servono 15 KWh mentre per l’alluminio secondario ne bastano 0,75. Il riciclo comporta inoltre una importante riduzione di emissioni di inquinanti ( evitate 402 mila t. di emissioni di CO2 e risparmiata energia per 173 mila t. di petrolio equivalente, dati CiAL – consorzio imballaggio alluminio 2015).

La riconversione, se seriamente pianificata, consentirebbe di raggiungere una serie di importanti obiettivi quali la conservazione dei posti di lavoro (a cui si aggiungerebbero quelli nell’ambito della bonifica ambientale), la riduzione dei costi di produzione, nonché un maggiore rispetto per l’ambiente e una maggiore tutela della salute dei lavoratori e dei residenti. Si promuoverebbe così una vera economia circolare, quella che passa attraverso il recupero -il riciclo -il riutilizzo, senza produzione di materiale di scarto inquinante e con il minimo dispendio di energia, e non un’economia circolare finta ed ingannevole come quella proposta dal Governo Regionale con la D.G.R. N.48/29 del 17.10.2017 concernente le buone pratiche industriali ed ambientali per il trattamento e la valorizzazione dei “fanghi rossi” residuati dalla raffinazione della bauxite, nella quale uno scarto altamente inquinante, esito di una produzione energivora da materia prima e non da un processo di riciclo, viene spacciato come risorsa, per indorare la pillola alle comunità del Sulcis- Iglesiente, che continueranno ad essere vittime di scelte inette di una classe politica che non ha alcuna intenzione di tutelarle.

[Paola Correddu, medico, è la vice Presidente di Isde – Medici per l’Ambiente Sardegna]

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