Amministrare Cagliari
16 Dicembre 2010Marco Ligas
Non credo che la decisione del Pd di candidare Antonello Cabras a sindaco di Cagliari sia funzionale alla riconciliazione del partito col suo elettorato. Forse anche l’area più ampia del centro sinistra non si sentirà sollecitata a sostenere questa candidatura. Non tanto per un’ostilità pregiudiziale nei confronti di Antonello Cabras ma per le modalità con cui la sua designazione è maturata: nessun dibattito sui problemi della città e dei suoi abitanti, nessun confronto con le associazioni culturali, neppure un coinvolgimento delle altre forze politiche, solo una decisione degli organismi dirigenti del partito.
Le elezioni provinciali dello scorso anno sono state eloquenti: circa i due terzi degli elettori non hanno partecipato al voto, il presidente della provincia di Cagliari è stato eletto con meno del 15% degli iscritti alle liste elettorali. Insomma, non è stato un successo sebbene abbia prevalso il candidato del centro sinistra; i principi della partecipazione e della democrazia sono stati mortificati. Anche in quell’occasione la designazione del candidato alla presidenza della provincia non è avvenuta in seguito ad una consultazione preliminare dell’elettorato del centro sinistra (oggi ci siamo abituati a chiamarla col termine primarie). Anzi, ci fu persino una divisione in quello schieramento. E tutto ciò non favorì un esito positivo del voto.
Ciò nonostante la storia si ripete; c’è da chiedersi quale sia la ragione per cui i gruppi dirigenti delle formazioni del centro sinistra commettano con ostinazione gli stessi errori. Non credo che si tratti di autolesionismo o di dabbenaggine. È più attendibile un’altra spiegazione: nel tentativo di fronteggiare un avversario agguerrito com’è il sistema di potere capitalistico si è ritenuto opportuno affidare le decisioni delle scelte politiche a gruppi dirigenti snelli e capaci di interventi tempestivi perché i processi economici nell’era della globalizzazione scorrono con rapidità. I risultati di questa mutazione sono stati rovinosi. La scelta praticata non solo ha favorito il ridimensionamento del ruolo del Parlamento e delle assemblee elettive, anch’essi ritenuti bisognosi di iniziative agili (infatti non funzionano quasi più), ma ha progressivamente accentuato la separazione tra i gruppi dirigenti dei partiti, nel frattempo completamente trasformati rispetto alla loro struttura originaria, e la stessa base sociale che rappresentavano. Non a caso negli ultimi due/tre decenni si sono consolidate le barriere che separano coloro che dirigono le formazioni politiche dai movimenti reali che operano nella società ed esprimono molteplici esigenze di cambiamento.
Succede però che questi movimenti, il più delle volte, si esauriscano perché non trovano o non riescono, se non parzialmente, a creare essi stessi i riferimenti o gli sbocchi indispensabili per dare continuità alle loro rivendicazioni. È significativo l’interrogativo che molti si sono posti proprio in questi giorni: che fine ha fatto il movimento viola? Sembra volatilizzato, eppure lo scorso anno è stato capace di coinvolgere centinaia di migliaia di persone nella lotta per la democrazia e la tutela dei diritti.
Tuttavia la frammentarietà di queste esperienze non preoccupa le classi dirigenti dei partiti che pure, se fossero più sensibili al confronto, dovrebbero trarre alimento dall’impegno dei movimenti di base. Ma non è così e non è casuale che quei partiti siano diretti sempre dalle stesse persone, mai un ricambio: tutti diventano abilitati a far tutto e il contrario di tutto. Lo scambio dei ruoli appunto: usando una regola aritmetica si potrebbe dire che scambiando l’ordine degli addendi la somma non cambia.
Talvolta, soprattutto nelle aree periferiche dove più debole è il tessuto sociale, questa prassi accentua le distanze della politica dalla società civile e favorisce persino l’autoreferenzialità dei gruppi dirigenti i quali non intendono approfondire le cause delle sconfitte per il timore di vedere compromesse le posizioni di privilegio che hanno conquistato.
La prima mossa del Pd in vista delle prossime elezioni comunali nasce in questo clima, si presenta come una scelta unitaria (almeno in apparenza) di un gruppo dirigente fortemente arroccato e preoccupato di subire una nuova sconfitta. La preferenza per un candidato forte, forte per i molteplici incarichi avuti in passato e ancora in corso, è considerata la carta di un possibile successo. Non credo che sia sufficiente.
E allora come affrontare la campagna elettorale della prossima primavera? Ritengo che si debba ripartire (rapidamente) da capo: sarà necessario che il Pd e il centro sinistra si convincano che le sfide della globalizzazione non si possano contrastare con criteri tecnocratici, che le scelte dei candidati, anche di quelli capaci, debbano essere fatte coinvolgendo i cittadini, parlando di programmi, confrontandosi sui problemi del lavoro, della viabilità, dei servizi, delle abitazioni, della tutela dei beni culturali, insomma dell’organizzazione della città. Se si salterà questo passaggio sarà difficile che si possa cambiare anche perché Cagliari, che per tradizione è una città conservatrice, ha bisogno di un forte sussulto.
18 Dicembre 2010 alle 16:47
Proprio così!
Solo non comprendo l’ottimismo finale : “che si debba ripartire rapidamente da capo” “sarà necessario che il Pd e il Centro sinistra si convincano….” “che le scelte de candidati debbano essere fatte coinvolgendo di cittadini…”.
C’è forse qualche indizio che ci consenta di credere che tali opzioni siano all’ordine del giorno?
Oggi, all’ordine del giorno, c’è solo il fatto che il martellante lavoro ai fianchi degli alleati sembra produrre i suoi effetti e che possibili (e validi) candidati alternativi a Cabras si ritirino, misteriosamente, ad uno ad uno. Del resto, chi ha inventato un regolamento per le primarie a Cagliari con 1600 firme di dote (contro le 1000 di Milano! come se a Milano ne avessero richiesto 14.000!!) qualche riserva mentale doveva pur averla.
La prossima campagna elettorale e lontana, caro Marco. Ma dopodomani si chiudono i giochi. Ahinoi!
Spero almeno che qualche possibile candidato, fors’anche quel giovane che sta tentando di sfidare l’apparto raccogliendo le firme, riesca a far tenere le primarie. Anche se sul vero e franco dibattito che dovrebbe svilupparsi tra i pretendenti ho qualche dubbio. Del resto, sembra proprio che il metodo delle primarie, qualche anno fa assurto persino a simbolo del rinnovamento, sia in crisi anche a livello nazionale. Mala tempora currunt.
19 Dicembre 2010 alle 20:33
Caro Gianni, sai che sei una delle poche persone che colgono, in quel che scrivo, dell’ottimismo? Ciò naturalmente mi incoraggia perché spesso vedo con preoccupazione il futuro del nostro paese.
Comunque, relativamente alla scelta del candidato sindaco di Cagliari, anch’io ritengo che non ci siano segnali di apertura da parte del Pd e delle altre formazioni del centro sinistra. Tuttavia rimango del parere che qualsiasi candidato, per essere eletto, dovrà, per forza di cose, essere designato da uno schieramento ampio di forze politiche e sociali, dovrà parlare di programmi, confrontarsi sui problemi del lavoro, della viabilità, dei servizi, delle abitazioni, della tutela dei beni culturali, insomma, come ho detto nell’articolo, dell’organizzazione della città. Tu mi fai notare che il tempo per arrivare alle primarie è ormai scaduto. È vero, però pur saltando le primarie, ritengo ancora possibile, sempre che lo si voglia, aprire un dibattito senza che ci sia già alcunché di definito, anche per quanto riguarda la scelta del candidato sindaco.
Sostengo queste cose, pur con la consapevolezza di essere contro corrente, perché penso che le stesse primarie, se non si svolgono in condizioni di pari opportunità tra i candidati, rischiano di diventare una formalità usata per legittimare scelte non partecipate.
Comunque adesso non intendo divagare; in seguito (e non molto lontano) dovremo affrontare con più attenzione il discorso sulle primarie.
27 Dicembre 2010 alle 21:10
Cari Gianni e Marco, dico un paradosso? Siete entrambi ottimisti! Credete davvero che per vincere a Cagliari, tenacemente e ininterrotamente dominata nelle elezioni comunali da un elettorato super moderato, sia nella cosiddetta prima repubblica, e ancor più dall’avvento dell’elezione diretta del sindaco, credete davvero che basti la designazione del candidato attraverso le”primarie” o almeno da uno schieramento quanto più vasto possibile come auspica Marco, o un giovane (ne conosco qualcuno ma , ahime!) che se anche Gianni non nomina non avra’ neanche la notorieta’ che è indispensabile nel tipo di elezioni che ci ritroviamo?
Avrei anche io grande desiderio di vedere in lizza nomi nuovi e validi, o partiti vagamente di centro sinistra aperti all’ascolto della parte di società che riesce ancora a esprimere valori di “sinistra”…Conosco A. Cabras. Sulle sue caratteristiche di uomo e di politico si possono esprimere pareri diversi ma almeno si basano su una sua lunga e nota pratica politica. Non essendo in grado di condizionare le scelte del PD,né vedendo chi è in grado di farlo credibilmente, farei una battaglia sui contenuti programmatici non perchè attraggano elettori (sono altre le cose che attirano voti!) ma per vincolare il candidato (e lo schieramento che lo esprime) impegni di qualche serietà programmatica.