Annino Mele svela la follia del carcere violento e punitivo
1 Settembre 2018[Graziano Pintori]
Mai, tempo, 99.99.9999: qual è il nesso tra le parole e il numero? E’ una domanda che in Italia saprebbero rispondere, senza esitazione alcuna, almeno mille persone su sessanta milioni. Sono i cittadini senza tempo, sono quelli del fine pena mai, del 99.99.9999 i condannati alla detenzione pura, senza benefici o scorciatoie verso la libertà. Sono i non pentiti condannati all’ergastolo ostativo. Il pentito, o collaboratore di giustizia, non è chi si pente del reato commesso, ma colui che svela alla giustizia i nomi di eventuali complici del reato per cui è stato condannato. Annino Mele scelse di non collaborare, di conseguenza ha trascorso quasi metà della sua vita in carcere: trentuno anni, di cui ventotto senza alcun beneficio. Ha vissuto la pena inflitta nella durezza più profonda subendo altri “processi” o giudizi o programmi trattamentali legalizzati o dal 41 bis o Elevato Indice di Sorveglianza o Ergastolo Ostativo, che cumulano una serie di sofferenze: limitazioni, castighi, punizioni, istigazioni e annientamento psicofisico, mentre il tempo viene scandito dall’eterno conflitto tra sistema carcerario e i suoi prigionieri. La lunga e tragica esperienza l’ergastolano di Mamoiada la riporta pulita – pulita, senza peli sulla lingua, sui libri Mai e Strabismi, due libri editi da “Sensibili alle Foglie”. La lettura ti porta nell’incubo carcerario in cui la condanna non si limita alla negazione della libertà in se, ma si estende anche alla libertà di poter pensare e decidere della propria esistenza, essendo sottoposto al dominio assoluto dell’Istituzione. La distopia penitenziaria è ben resa dal detto: “Con la pena di morte lo Stato toglie la vita, con l’ergastolo se ne impossessa”, infatti dopo 25 o 30 o 35 anni di detenzione l’ergastolano continua a essere incatenato ai ceppi imposti dalla giustizia: legalmente è privato dei suoi beni, decade dalla patria potestà, non ha diritto di voto, le giornate sono circoscritte agli orari e ai permessi concessi da un giudice. In Francia l’ergastolo è chiamato “Ghigliottina Secca” perché trancia, senza spargimento di sangue, la speranza e il futuro. Non a caso Mele nei suoi libri definisce l’ergastolo un mostro che perseguita il condannato fino all’ultimo giorno di vita.
Egli è stato un ergastolano che non ha mai accettato di annullarsi davanti all’ordine gerarchico che governa il sistema carcerario, si è sempre difeso dagli abusi con la legge e i regolamenti, rompendo schemi e sistemi arbitrari evidentemente consolidati nei penitenziari. Diciamo, rispetto al branco in cui vige il culto della personalità, l’autoritarismo e il potere assoluto del capobranco, l’ergastolano Mele fu un “lupo solitario” con la sua dignità, con una posizione tutta sua e un modo di pensare tutto suo. Nella restrizione degli spazi disponibili riuscì a creare altri spazi coltivando un’idea del Tempo per vivere (o sopravvivere) con un certo equilibrio. Si creò una corazza dotandosi di nuove protesi mentali come la scrittura, un mezzo sano quanto speciale per intraprendere la strada dell’emancipazione per recidere la persona che lo portò nell’inferno dell’ergastolo ostativo.
In tempi come questi meritano di essere letti i libri di Annino Mele, perchè la riforma del nuovo d.l. sull’ordinamento carcerario ha subito una sospensione di tipo ideologico, come da contratto di governo Lega / 5 Stelle: paladini della certezza della galera e non della pena. Certezza della galera nonostante i detenuti al 31 luglio siano 58.560.740, 1740 in più rispetto all’anno passato, grazie anche alla recidiva sempre in costante aumento; 31 sono i suicidi con una percentuale diciassette volte superiore a quella riscontrata nella società libera. Detenzione certa come unica ricetta rieducativa del governo, il quale fa strame dell’impegno e del lavoro di tante persone impegnatesi a fornire nuove proposte di reinserimento estese a tutti i carcerati, promuovendo attività di istruzione, formazione, inserimento lavorativo con il coinvolgimento delle amministrazioni locali, per dare più forza e unanimità a forme alternative alla centralità del carcere, riproposto come unico luogo dove si esplica la certezza della pena.
Ha detto Papa Bergoglio: “La persona non è il suo reato”, una frase che si sposa benissimo con la laicità dell’art. 27 c.3° della Carta Costituzionale; purtroppo un riferimento, anche questo, non valutato dal contratto di governo sottoscritto da Salvini e Di Maio.
16 Settembre 2018 alle 07:33
Ringrazio Graziano Pintori per questo articolo così illuminante. Leggerò i libri di Annino Mele. Ritengo importantissimo l’aver sottolineato “… perchè la riforma del nuovo d.l. sull’ordinamento carcerario ha subito una sospensione di tipo ideologico, come da contratto di governo Lega / 5 Stelle: paladini della certezza della galera e non della pena”. Un passaggio di inizio legislatura, del cosiddetto “Governo del cambiamento”, che merita profonde riflessioni e su cui cui il “mondo civile” ha barbaramente taciuto. “La persona non è il suo reato” dice Papa Bergoglio rievocando “…la laicità dell’art. 27 c.3 della Carta Costituzionale”; che come dice Graziano Pintori “purtroppo un riferimento, anche questo, non valutato dal contratto di governo sottoscritto da Salvini e Di Maio”. E’ proprio vero che la Politica, nella sua essenza nobile oggi è nelle mani del Papa e talvolta di qualche cabarettista. Ringrazio anche Il Manifesto Sardo per lo spazio libero. Claudia Zuncheddu