Appello per la liberazione delle persone migranti e la chiusura del CPR di Macomer
4 Maggio 2020[red]
Un appello firmato dall’ASCE e dalla campagna LasciateCIEntrare per la liberazione delle persone migranti e la chiusura del CPR di Macomer, redatto a seguito degli ultimi gravi eventi, che hanno rotto la cappa di silenzio scesa sulla struttura negli ultimi due mesi.
Mentre l’attenzione dei media ed il dibattito sociale e politico si concentravano sulla pandemia del Covid-19, spariva dal discorso pubblico il CPR di Macomer, quello che pudicamente lo Stato chiama Centro di Permanenza per il Rimpatrio, ma che di fatto è un centro di detenzione amministrativa, sulla base del mancato possesso di un permesso di soggiorno che lo Stato stesso sceglie di non concedere. Uno spazio completamente fuori dal diritto, un buco nero dove spariscono persone, democrazia e diritti umani, nel cuore della Sardegna.
Proviamo a immaginare cosa possa voler dire essere rinchiusi senza alcun motivo, senza sapere per quanto, isolati dall’esterno, ammassati in spazi dall’igiene precaria, dimenticati, in balia dell’arbitrio di burocrati e guardiani, nel mezzo di una pandemia che può solo alimentare l’isolamento e la paura, rendendo ancora più difficile la comunicazione con l’esterno. Data l’opacità estrema del CPR, solo con gesti estremi sembra sia possibile tentare di forare la cappa di silenzio, la feroce indifferenza di noi tutti a questa orribile, inutile sofferenza inflitta a degli esseri umani, per l’unica colpa di essere entrati in Italia senza essere europei, o ricchi.
L’ultimo ad avere compiuto un gesto del genere è I., 28 anni, proveniente dal Benin, una vita difficile, di duro lavoro, funestata dalla povertà e da tragedie familiari in Benin, dalla guerra in Libia, dal razzismo di Stato in Italia. I. ha rischiato di morire giovedì scorso, dopo essere caduto dal muro di cinta del CPR di Macomer, su cui si era arrampicato come gesto eclatante di protesta dopo la terza conferma in udienza del suo trattenimento nel centro. All’udienza, la famiglia di volontari che lo ha sostenuto in questi anni, tramite l’avvocato di I., aveva presentato: un contratto di locazione di uso gratuito per l’alloggio, una proposta di assunzione come operaio generico e una petizione di cittadini che conoscono I., a testimoniare la sua buona condotta negli anni e la realistica opportunita’ di riscatto e riabilitazione. Fra trenta giorni I. avra’ passato 117 giorni di carcere duro senza aver commesso nessun reato. E le condizioni saranno le stesse, non puo’ essere rimpatriato in Benin perche’ non esistono accordi bilaterali con l’Italia e per l’ emergenza COVID. I. non ha mai fatto del male a nessuno. Ha una comunità di affetti in Sardegna, una casa, un lavoro, un futuro davanti.
I., nella sfortuna, ha la fortuna di avere dalla sua parte una comunità solidale, grazie a loro siamo venuti a conoscenza della sua storia. Ma di quanti altri, nella stessa condizione, non abbiamo saputo niente? Ognuno dei migranti internati ha una sua storia, dignità e diritti inalienabili in quanto essere umano. Non c’è nessuna giustificazione per la loro carcerazione.
Le traballanti ragioni che (non) ne giustificavano la detenzione sono comunque cadute con la pandemia: i rimpatri sono impossibili, i giorni di trattenimento consentiti nel centro, inesorabilmente, scadono per tutti. L’unica ragione accampata dallo Stato per istituire questi campi di prigionia è il rimpatrio, ma se questo è impossibile, qual è lo scopo nel trattenere queste persone?
La presenza dei CPR è una vergogna e una minaccia per l’ordinamento democratico dello Stato italiano, finché esisteranno spazi del genere, dove la regola è l’arbitrio del più forte, il silenzio delle vittime, il lucro di privati sulla violenza di Stato, nessuno potrà realmente considerarsi al sicuro.
Per aderire all’appello: [email protected]