Tra arroganza e presunzione

1 Marzo 2014
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Michela Angius

Periodicamente in Italia un personaggio pubblico emette un giudizio tranchant sui giovani. L’ultimo in ordine di tempo è stato pronunciato dal presidente Fiat-Fca John Elkann che a Sondrio durante un incontro con gli studenti ha descritto i giovani come incapaci di cogliere le tante possibilità di lavoro che ci sono in Italia perché starebbero bene a casa o perché privi di ambizione.
In primo luogo sorprende che il presidente Elkann non conosca la situazione industriale dell’Italia. Eppure l’azienda che dirige è l’esempio tangibile di una politica imprenditoriale fallimentare. In tutti questi anni la Fiat ha utilizzato a piacimento la cassa integrazione, ha chiuso diversi stabilimenti e lasciato in bilico migliaia di famiglie. E’ sufficiente pensare alle ultime vicende di Termini Imerese per rendersi conto di quello che la Fiat sta facendo. Niente.
Si potrebbero avere possibilità lavorative se aprissero più imprese di quelle che chiudono, o se quelle aperte investissero adeguatamente nelle proprie risorse umane. Invece non solo aumentano le aziende che cessano la loro attività, ma sono sempre di più quelle che fruiscono degli ammortizzatori sociali. Nel 2013 le ore di cassa integrazione autorizzate hanno superato il miliardo. Il leggero calo rispetto al 2012 è dovuto alla diminuzione della cassa in deroga, mentre è aumentata quella straordinaria.
Forse l’Istat pensava al presidente Elkann quando ha presentato le stime preliminari riguardanti il tasso di posti vacanti nelle imprese dell’industria e dei servizi. E’ un peccato però che i dati descrivano una situazione esattamente contraria a quanto sostenuto dal presidente Fiat. Nel quarto trimestre 2013, il tasso di posti vacanti ha segnato una diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto al quarto trimestre del 2012. Il tasso è rimasto invariato rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente sia nell’industria che nei servizi.
Sarà questo il motivo per cui la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 41,6%? Evidentemente si.
La verità è che i giovani non preferiscono vivere con mamma e papà, ma vi sono costretti dalle condizioni del mercato del lavoro. Dunque la realtà italiana è ben diversa da come è stata descritta dal presidente Elkann.
La realtà è che le conoscenze e le raccomandazioni sono lo strumento principale per la ricerca del lavoro in Italia. Due italiani su tre trovano un’occupazione sfruttando questi elementi. Oltre a ridurre notevolmente le possibilità lavorative, tale sistema non è equo e spesso “premia” le persone non capaci.
La realtà è che in Italia le origini sociali ed economiche delle persone svolgono ancora un ruolo importante nel determinare le opportunità educative e occupazionali.
La realtà è che una buona parte dei giovani laureati svolge contemporaneamente due o tre lavori (ovviamente tutti precari) per riuscire a raggiungere gli ambiti mille euro mensili (quando va bene). Se poi non possiedono smodate pretese di vita, tale soglia consente di conquistare una parvenza di indipendenza economica dalla propria famiglia d’origine e allo stesso tempo aumenta le possibilità di formarsene una propria.
La realtà è che oltre alla mancanza di una stabilità lavorativa, vi è un aumento dei lavori non regolamentati da alcun contratto di lavoro. Il lavoro nero riguarda il 7% dei laureati di primo livello, l’8% degli specialistici e il 12,5% di quelli a ciclo unico (fonte Almalaurea, 2011).
La realtà è che la difficoltà delle famiglie a sostenere i costi diretti e indiretti dell’istruzione universitaria spesso comporta l’abbandono dello studio da parte dei giovani, diminuendo in tal modo le loro probabilità di inserimento lavorativo.
La realtà è che ogni anno cresce costantemente il numero di italiani che si trasferisce all’estero per cercare migliori condizioni di vita e di lavoro. Generalmente chi espatria ha meno di 35 anni e decide di restare a vivere nel Paese estero, anche se questo spesso comporta il ricominciare da zero.
La realtà è che il senso di frustrazione sperimentato dai giovani che ricercano infruttuosamente un impiego si traduce in bassa autostima, perdita di motivazione e depressione. Queste situazioni, facilmente gestibili con un adeguato supporto psicologico, sono ignorate da chi dovrebbe prendersi cura dei giovani che sono letteralmente abbandonati a loro stessi.
La realtà è che la tragicità della situazione italiana deve per forza condurre a un cambiamento nel modo di concepire le relazioni sociali, il lavoro e la politica. Non si può più aspettare.

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