Una costituente
1 Giugno 2007Riproponiamo un articolo di Luigi Pintor apparso nel maggio del 2000 nella rivista del manifesto; tema: una costituente per una nuova formazione politica. Non andò avanti per le difficoltà che le diverse componenti della sinistra trovano quando discutono di unità. Oggi rispetto a sette anni fa c’è una situazione diversa, qualche soggetto in più ma anche un ulteriore logoramento che le elezioni amministrative hanno messo in luce. Come cogliere, se non la lettera, l’ispirazione di Pintor nell’attuale situazione?
Luigi Pintor
Riprendo un tema che ho già trattato altre volte senza successo (per es. dopo la sconfitta elettorale di un anno fa, Bologna etc). È il tema di una nuova formazione politica che dovremmo mettere in campo, che unifichi o raccordi tutta la sinistra non governativa, che abbia radici nella società e operi anche nelle istituzioni. Lo tratto in modo schematico, con pochi argomenti e vaghezza di contenuti, sia perché non so fare diversamente, sia con intento provocatorio. È una mia idea fissa, che va incontro a innumerevoli obbiezioni di principio e pratiche (per la sua astrattezza, o immaturità, o volontarismo o altro). Ma esplicitarla non fa male a nessuno. Tra un anno e poco più (o forse meno) ci saranno le elezioni politiche. Possiamo anche non sopravvalutarne l’importanza, data l’affinità degli schieramenti in lizza, ma dobbiamo pur farci i conti. È difficile farli prima dei referendum e senza conoscere la legge elettorale. Ma non c’è il tempo di aspettare. Se vincerà la destra, forse si formerà un’opposizione seria ma è un’ipotesi azzardata e non sarà allegro. Se vincerà il centro-sinistra (improbabile) non avremo un male minore ma un altro male, la politica di D’Alema (Blair) al quadrato e non sarà più allegro (non solo per noi ma perfino per Cofferati, né per qualche egiziano dimezzato). Bertinotti e il suo partito si troveranno in una tenaglia, o integrarsi nella coalizione governativa (annullandosi) o ridursi a un ruolo di testimonianza (annullandosi con diritto di tribuna). Col sistema proporzionale il dilemma non sarebbe così cornuto, ma noi stessi abbiamo lasciato questa bandiera democratica (sebbene tedesca) a Berlusconi. Dobbiamo rompere questa gabbia, destabilizzare questo quadro politico costrittivo, mortifero, introdurre una innovazione qualitativa. E non vedo altro modo, altro tentativo, che mettere in campo una formazione politica che possa rivolgersi ai milioni di persone che oggi non votano o si turano il naso, che non hanno rappresentanza e hanno chiuso con la politica per ottime ragioni. Elenco brutalmente le forze e le esperienze disponibili (teoricamente, in quanto hanno per lo meno un comune denominatore anticapitalista). Le comprendo nella formula “sinistra antigovernativa”: sono Rifondazione comunista, la sola forza già costituita, gli ambientalisti, la sinistra sindacale, i centri sociali, molte esperienze di base che non hanno riferimento, quel che resiste della cultura democratica non omologata al sistema, le minoranze e l’area popolare diessina in sofferenza, donne e uomini che operano nei grandi comparti nell’ex stato sociale, il mondo della precarietà e della diversità. Perché non indiciamo o proponiamo una costituente entro il prossimo autunno, da cui far nascere una formazione politica capace di raccordare questa potenzialità e le domande che sottintende, offrendo qualche possibile risposta? Non dico una federazione o un partito ma una “formazione politica” che potrebbe chiamarsi sinistra unita, con forme organizzative elastiche di nuovo conio, su cui misurare la nostra fantasia. Quando dico “indiciamo”, non so a chi mi riferisco. Una iniziativa di questo genere, in realtà, può essere assunta e promossa solo o principalmente da Rifondazione e dalla sua leadership, per ragioni evidenti (compreso l’accesso ai mezzi di informazione) di rappresentatività, e perché è già nel gorgo più di quanto lo siano i nostri giornali o riviste o le nostre idee individuali. Ma c’è tutta una lunga storia da recuperare, l’eredità buona del movimento operaio e del comunismo italiano. Se scrivo queste cose su questa rivista è forse perché essa ha una direzione composita che allude a una sinistra unita e a tutto ciò per cui il manifesto ha sempre lavorato. Un programma con obbiettivi a breve-medio termine non è impossibile da redigere, come collante minimo di un’operazione come questa. Neppure è impossibile, sebbene più difficile, iscrivere questo programma in una cornice o prospettiva più generale, che riaffermi principi o idealità inalienabili anche se inattuali. Ciò che noi combattiamo non è il liberismo o il capitalismo selvaggio, che sono i bersagli più facili, ma il capitalismo senza aggettivi: questo è il nostro nemico, sviluppo e crescita senza senso e senza finalità comunitarie, un modo di produrre consumare e vivere che significa un modo di non produrre non consumare e non vivere per gran parte del mondo e che genera infelicità anche nel mondo avanzato. Dò ancora importanza alle battaglie ideali, al di là di quelle politico-elettorali a cui pure si riferisce questo scritto. Ho premesso che avrei detto cose schematiche, povere di argomenti o provocatorie e ho rigorosamente rispettato questa premessa. Sento il bisogno di una novità, anche di immagine o di stile. So che la gatta frettolosa fa i gattini ciechi, ma questo è già accaduto e il rischio che corriamo è solo di riacquistare la vista.
2 Giugno 2007 alle 09:46
Pintor, come si suole dire e pensare, è “morto” (anche se, ovviamente, è più vivo di molti che, anche fra i suoi sedicenti seguaci, si illudono di essere vivi).
Proprio per questo non si adonterà se uso lo spazio in calce senza chiedergli il permesso.
Il Direttore di questo periodico on line mi ha, con molto garbo e anche con una punta di dolcezza, privatamente comunicato che qualche redattore si è detto infastidito dalla pletora dei commenti del soprascritto ai numeri precedenti. E dato che siamo amici di vecchia data avrebbe anche potuto dirmi, senza ferirmi affatto: “suvvia, smettila, e togliti dai coglioni”. Promesso e fatto. Con tanto di scuse agli infastiditi. Per i quali, togliersi di mezzo un “provocatore” è sempre una cosa che dà un brivido di piacere: soprattutto quando il provocatore sa benissimo chi si è infastidito e perché.
Auguri e lunga vita al manifestosardo !!!
4 Giugno 2007 alle 23:19
sul messaggio di “mimmo bua”:
Se si dà la possibilità di commentare non bisogna risentirsi se i commenti non piacciono, altrimenti tanto vale non dare la possibilità a nessuno di dire la propria sull’argomento.
Non me l’aspettavo una cosa così sul Manifesto Sardo.
5 Giugno 2007 alle 07:05
Caro Andrea e cari tutti, temo che ora l’equivoco sia completo: in redazione nessuno si è risentito degli interventi di nessuno, anzi, Michele – bonariamente santificato – ha indicato nei commenti un segno di salute del sito. Mimmo e noi abbiamo a lungo scherzato.
Cerchiamo tutti di essere più razionali e meno pronti al risentimento.
Si pone piuttosto per tutti, e indicheremo al più presto delle norme come ogni redazione, un problema di ‘regolamento’ nella quantità dello scritto e nel numero degli interventi, utile per valorizzare al meglio l’intervento di ognuno e per aiutare i lettori a seguire un dibattito incisivo ed agile.
5 Giugno 2007 alle 19:45
Per quanto mi riguarda nessun risentimento e nessun rammarico.
Se non per quel pizzico di euforia che può portare a “salutare” la nascita di un nuovo strumento di informazione e dibattito nella sinistra da reinventare, con un eccesso di partecipazionismo che può anche sconfinare nell’invadenza. Che si fa presto a correggere.
Ben vengano le regole, purché non siano museruole, come non è certo il caso di questo periodico: ogni invito a moderarsi nelle estroflessioni è sempre opportuno e salutare. Farà ridere o dubitare che sia davvero così., ma i commenti silenti sono sempre i più efficaci e perspicaci.