Articolo disciolto
5 Marzo 2010
Sara Farolfi
Il sociologo del lavoro Luciano Gallino stigmatizza i ritardi della politica (il Pd) e del sindacato (la Cgil) nel reagire al duro attacco del governo ai diritti del lavoro e all’articolo 18. Lo sciopero del 12? «Un parlare d’altro» «C’è stata una sottovalutazione, non c’è il minimo dubbio, e un grande ritardo nel prendere posizione». Sottovalutazione e ritardi che il sociologo torinese, Luciano Gallino, non esita a addebitare a politica e sindacati: «Stupisce che in tanti scoprano solo ora che quella approvata dal senato è una legge molto grave, lesiva dei diritti dei lavoratori e dello stesso diritto del lavoro. Si sarebbe dovuto iniziare a protestare, se non due anni fa, almeno quattro mesi fa quando ormai le insidie della legge erano perfettamente visibili».
Che tipo di risposta richiederebbe oggi un tale livello di offensiva?
Quando una legge c’è, poi sono dolori. Modificarla, impugnarla davanti alla Corte costituzionale e altre belle cose del genere arrivano post factum, quando ormai il dado è tratto. E anche se, come è possibile, la Corte si pronunciasse in senso contrario, per mesi e mesi se non per anni decine di migliaia di persone si troveranno di fronte a un ricatto bello e buono, seppure scritto in bella forma giuridica. Ci si sarebbe dovuti muovere molto prima, erigere una barriera a difesa come si fece nel 2002. Giuristi del lavoro che hanno a cuore il destino dei lavoratori ne esistono ancora molti per fortuna, e già un anno fa si erano accorti dove si andava a parare. Chi invece mi pare essere rimasto completamente assente è il sindacato, per non parlare della politica, del Pd, perchè le proteste in aula o le dichiarazioni di Treu in commissione – che sono arrivate quando il treno era già partito – lasciano il tempo che trovano. La Cgil ha convocato uno sciopero uno sciopero generale per il 12 marzo, sul fisco però. Che è come parlare d’altro: uno prende una legnata e poi fa uno sciopero per qualcosa di completamente diverso. Sono anche temi importanti certo ma gli scioperi, le grandi manifestazioni, come fu quella del 2002, sono importanti quando esprimono una protesta contro una proposta politica, una legge, qualcosa insomma di molto concreto. Scioperare per fare una proposta temo che pesi molto meno.
La Uil, e cioè la terza organizzazione sindacale confederale, seguita a ripetere che l’articolo 18 è salvo…
Formalmente è vero: non è ancora stato affondato, solo che gli è stato tolto il salvagente e quindi potrà nuotare un po’ poi andrà a fondo. L’articolo 18 viene gravemente compromesso perchè per avvalersene bisogna andare davanti a un giudice e se un lavoratore vi rinuncia al momento di firmare un contratto, buonanotte… Nel 2002 il governo scelse lo scontro frontale, oggi invece ha messo in moto i siluri sottomarini. Perchè questa legge è una sorta di minaccioso sommergibile, contiene dozzine di provvedimenti di ogni genere e in mezzo ci sono tre articoli che fanno saltare un bel pezzo di giustizia sul lavoro.
Nel 2002, l’offensiva fu fermata da una grande mobilitazione del mondo del lavoro. Cosa è cambiato da allora?
Il sindacato si è sostanzialmente indebolito e oso dire che l’asse del sindacato, Cgil compresa – e so che a qualcuno dispiacerà sentirmelo dire – si è spostato verso il centro destra. Perchè il sindacato ha un asse politico, o si occupa di disuguaglianze o non se ne occupa, o si occupa di contratti collettivi o lascia che slittino verso lidi sconosciuti. L’archiviazione dell’articolo 18 non è che la punta d’iceberg di una legge che prevede anche che l’ultimo anno di scuola dell’obbligo possa essere fatto in fabbrica. In arrivo c’è poi lo «statuto dei lavori» che sostituirà quello dei lavoratori… La norma sull’apprendistato è un ritorno indietro di quarant’anni, significa tornare a una specie di avviamento al lavoro e cioè sottrarre un anno alla formazione. Quanto allo Statuto dei lavori, Sacconi ne parla da anni e visto che ha davanti a sè non dico un’autostrada ma quasi, procede con la massima speditezza possibile.
Come immagina il futuro, dal questo punto di vista?
C’è una parte, che è la destra – con le sue ottuse idee neoliberali, con il suo intento di smontare il sindacato – che è la parte vincente, e dall’altra ci sono i remissivi, che stanno diventando i perdenti. Avrei sperato di vedere una Cgil molto più battagliera, come un tempo è stata, e invece mi pare che anche da quelle parti si tenda sempre più a usare un approccio possibilista anche su leggi di questo tipo. Il futuro non promette nulla di buono. Per il diritto del lavoro, intendo.