Arzachena: il viale del tramonto
1 Ottobre 2013Gianfranca Fois
La macelleria del Corso è chiusa, la rivendita di pane ha chiuso uno dei due punti vendita, quello rimasto ha dimezzato lo spazio, così come sono dimezzati i prodotti in vendita nel bancone. Da alcuni anni non andavamo d’estate ad Arzachena, siamo tornati quest’anno e l’impatto fa veramente male. Nelle vie principali pochi sono i negozi rimasti aperti, è sparita la drogheria con i prodotti tipici, è sparito il negozio dagli infissi azzurri che vendeva, in grande disordine, complementi d’arredo e bric brac per case al mare. Il centro si anima solo mercoledì mattina grazie al mercatino settimanale.
Di sera scendiamo a Cannigione e, memori degli anni precedenti, parcheggiamo presso le prime case. Dopo aver camminato un po’ in piena solitudine cominciamo ad avvistare qualche sparuto gruppetto di turisti, parcheggi vuoti in abbondanza e finalmente, arrivati al centro verso il mare, un po’ di movimento.
“Niente, ci dice la signora S. proprietaria di un negozio di prodotti artigianali, quest’anno il traffico di agosto è come quello di giugno di anni fa. Prima si formavano lunghe file che intasavano la via per il mare e rendevano necessaria la presenza di alcuni vigili urbani. Quest’anno il traffico scorre tranquillo. I prezzi degli affitti sono crollati e si vedono appesi cartelli con la scritta Affittasi o Vendesi.”
Al market o per le strade si sentono spesso voci che parlano in russo e nelle spiagge più alla moda della Costa Smeralda non girano più i volti noti di un tempo ma soprattutto calciatori, veline e magnati dell’Est europeo.
La Costa Smeralda…., negli anni sessanta, quando iniziò la costruzione di Porto Cervo e dei grandi alberghi ad opera dell’Aga Kahn Karim, il liceo classico di Sassari organizzava viaggi d’istruzione per visitare i cantieri dove per i turisti si costruivano case “secondo i canoni architettonici sardi”. Nei primi minuti, tra sabbia, cantieri e strade bianche, osservavamo perplessi e, benché in maggioranza conoscessimo bene i paesi sardi, non avevamo mai visto abitazioni simili. Contemporaneamente ci inorgogliva il fatto che un principe orientale e grandi industriali e aristocratici provassero interesse per quei nostri territori, quei terreni lungo il mare, sino a quel momento improduttivi, che i possidenti galluresi destinavano alla dote delle figlie perché di scarsissimo valore. Nessun insegnante che spiegasse la situazione, che ci fornisse le chiavi per capire, forse anche loro perplessi e senza parole, completamente inadeguati.
Durava poco, poi ci disperdevamo in gruppi o in coppia felici di poter passare una giornata insieme maschi e femmine che frequentavano un liceo che prevedeva all’entrata e all’uscita due campane, una per le ragazze e una per i ragazzi, in modo che non ci si incontrasse, e l’unica sezione mista era di dubbia fama.
In questo mondo così chiuso e soffocante, fatta eccezione per alcuni, troppo pochi, assistevamo impotenti e attoniti a scelte importanti che riguardavano il nostro paesaggio, il nostro ambiente, la nostra identità insomma.
Quasi sicuramente si sono levate voci contrarie e critiche ma alla gran massa di noi non sono arrivate, mentre arrivavano quelle di chi si rallegrava per le “grandi e importanti possibilità” che la Costa Smeralda avrebbe offerto ai Sardi e i parenti amici che arrivavano dal “continente” o da Cagliari ci chiedevano subito di poter fare un giro per la Costa Smeralda.
Sono passati quasi cinquanta anni da allora e la Costa da paradiso del jet set internazionale è diventata più popolare, ai villaggi e alberghi esclusivi si sono affiancati villaggi, case e alberghi numerosi che hanno devastato il paesaggio, divorando zone collinari, boscose o ricoperte da macchia mediterranea, edifici spesso orribili, villette a schiere che deturpano panorami splendidi.
Mentre in un primo momento le costruzioni, anche se sfacciatamente false, almeno in parte cercavano di rispettare l’ambiente e di armonizzarsi col paesaggio, le successive, sia quelle costruite in campagna o nei pressi del mare, sia quelle “cresciute” attorno al centro storico dei paesi, sono state speculazione edilizia con pochissimi vincoli e regole. Sono stati così snaturati centri divenuti disordinati, caotici e senz’anima.
In questa situazione quella parte dei turisti che aveva scelto come meta delle proprie vacanze la Costa Smeralda per la sua aspra bellezza, per la sua esclusività e per la sua tranquillità ha scelto altre mete, sono rimasti tanti che avevano acquistato case, spesso non di valore, ma carissime o che prendevano in affitto a prezzi altissimi.
Ora, complice sicuramente la crisi, il caro traghetti e i prezzi esagerati anche questi si stanno allontanando lasciando sul territorio numerose case invendute o vuote, un paesaggio irrecuperabile sommerso da colate di cemento. La richiesta maggiore è invece per alberghi o per b&b di lusso, verso l’interno, distanti dal mare che però permettono di raggiungere spiagge bellissime e molto meno affollate come Berchida vicino a Siniscola.
Ma quello che lascia perplessi è il fatto che questa esperienza di svendita del nostro territorio, che ha determinato affari per pochi, lavoro per molti ma a tempo determinato, non ci abbia insegnato niente e si parli nuovamente di colate di cemento con la Qatar Holding dello sceicco del Qatar (altro principe orientale), ultimo in ordine di tempo ad assumere il controllo del Consorzio Costa Smeralda.
E questo nonostante le sempre più numerose e approfondite analisi del fallimento di quel tipo di turismo, nonostante la maggior sensibilità dei cittadini su questi argomenti e i richiami agli articoli della Costituzione, alla funzione civile del territorio, un bene di tutti che l’iniziativa privata, pur libera, non può violentare e distruggere a suo piacimento o trasformare in un luna park, vedi il tentativo, forse fallito, di costruire un’acqua park a Liscia Ruja o il progetto di riconversione in ville extra lusso degli stazzi galluresi.
Proprio quegli stazzi sarebbero stati definiti dal miliardario texano Tom Barrack, da cui ha acquistato l’emiro, “un cumulo di pietre” e, bisogna sottolinearlo, non vengono menzionati nell’elenco dei beni identitari da proteggere allegato al Ppr della Sardegna, non so se per ignoranza o per altri interessi della Giunta regionale.
Costituiscono invece la memoria storica dei Galluresi ancora viva e sentita, la loro identità sociale, economica, paesaggistica e ambientale tanto che, scrive l’architetto Lino Carta nelle sua lettera a Manlio Brigaglia su La Nuova Sardegna, gli stazzi stanno alla Gallura come il Campanile di Giotto sta alla città di Firenze, come le “Cento torri” stanno a S. Gimignano, come piazza del Campo sta a Siena. E probabilmente non esagera.