Asor Rosa ha sollevato una questione difficile

1 Novembre 2012
Piero Bevilaqua
Qualunque sia il grado di condivisione delle sue tesi, l’articolo di Alberto Asor Rosa, sul manifesto del 14 ottobre, ha il merito di centrare il cuore dei problemi politici di questa fase. E difatti una importante discussione si è aperta su questo giornale, a riprova ancora una volta, della insostituibilità del manifesto come luogo di confronto politico-teorico dell’intera sinistra. Il mio intervento, che succede agli articoli di Livio Pepino e di Paolo Favilli (16 e 18 ottobre) ha l’ambizione di ampliare lo spettro dei ragionamenti che si son fatti sin qui. Se non sono troppo sbrigativo nella mia sintesi, credo che le obiezioni di fondo mosse dai due autori alle tesi di Asor Rosa, consistano essenzialmente nel non aver egli posto nel dovuto rilievo la natura moderata e sostanzialmente neoliberista del Pd, e nell’aver sottovalutato, di fronte all’alleanza Pd-Sel, l’alternativa possibile rappresentata dai movimenti e da altre forze politiche della sinistra. Per quanto riguarda l’analisi impietosa che i due intervenuti fanno delle politiche del Pd credo che ci sia poco da obiettare. Tuttavia essa è parte, certo importante, ma di un ragionamento incompleto. Credo di possedere un eccellente pedigree di critico radicale di quel partito da non poter essere sospettato di nascoste simpatie. E tuttavia, se dobbiamo ragionare intorno ai caratteri arduamente problematici dell’alleanza Bersani-Vendola, dobbiamo compiere uno sforzo di ragionamento più freddo, come quello che , a mio avviso, ha compiuto Asor Rosa. Ma anche più largo. Occorre una sorta di simulazione di scenario, per avere un quadro più complesso della situazione in cui viene a cadere la scelta di Nichi Vendola.
Poniamo, ad esempio, che Sel avesse scelto di non allearsi con il Pd, cecando al contrario di rappresentare il vasto e variegato mondo della protesta sociale, i gruppi dei movimenti referendari, ecc. Prospettiva che anch’io auspicavo come una svolta necessaria per la sinistra. E tuttavia l’ipotesi deve farsi carico di immaginare effetti e variabili che non compaiono né nel ragionamento di Pepino né in quello di Favilli. E’ evidente che se Vendola fosse «andato per la sua strada», il Pd sarebbe stato completamente fagocitato nella logica centrista di Casini. L’«agenda Monti» sarebbe rimasta la linea maggioritaria e dominante delle forze di governo per i prossimi anni. Con le pressioni potenti che vengono dall’ Ue, l’Italia sarebbe rimasta a galleggiare con le sue iniquità intollerabili, con la mortificazione a livelli inauditi del lavoro umano, con la progressiva emarginazione della scuola pubblica e dell’Università, con la restrizione ulteriore degli spazi della nostra malandata democrazia. Chi ci assicura che Vendola, insieme a Di Pietro, e a Ferrero avrebbero potuto rappresentare una opposizione forte e unitaria, in grado fronteggiare la definitiva plasmazione neoliberista del nostro Paese? Accolgo subito l’obiezione secondo cui l’occasione era propizia e ci si poteva provare. In effetti, nelle scelte della politica occorre affrontare le incognite che nessun Dio può decifrarci in anticipo. Ma ci sono un paio di perplessità che vorrei esplicitare. La prima riguarda il Pd. Dobbiamo considerare questo partito, nel suo insieme, definitivamente perduto alla causa del welfare, della democrazia, della lotta per i diritti e l’eguaglianza sociale? Visto il seguito di cui ancora gode, credo che si tratterebbe di una grande perdita per tutta la sinistra.
La seconda perplessità riguarda l’alternativa al Pd. Una vittoria ( improbabile) del nostro schieramento avrebbe esposto il governo e l’intero Paese ai continui e logoranti ricatti della finanza internazionale. E’ difficile avere dubbi su questo punto. L’Italia, con il suo enorme debito, ha perso una parte rilevante della sua sovranità. E noi avremmo bisogno di sostegni internazionali, soprattutto europei, per alimentare la lotta contro l’austerità: sostegni che siamo lontanissimi dall’avere. La scena della sinistra europea è drammaticamente frantumata. Ci si para di fronte e contro un capitale-mondo di enorme pervasività e noi siamo minoranza dentro un paese sotto tutela. Infine una considerazione più specifica sulla sinistra radicale, la nostra parte. E’ indubbio che esista un vasto e variegato fronte di gruppi e movimenti disseminati nel nostro Paese, culturalmente più attrezzati – come ha ricordato Norma Rangeri – di quanto non fossero le formazioni degli scorsi decenni. E’ questa la condizione di partenza delle nostre speranze. Ma oltre a essere frantumato ed eterogeneo, quel fronte stenta ad assumere una configurazione politica stabile. L’estremo pluralismo che lo caratterizza rende arduo il suo approdo nella sfera della rappresentanza. Si, la rappresentanza! Considero lo svuotamento dei risultati del referendum sull’acqua da parte di governi e amministrazioni locali, la verifica drammatica dell’impotenza a cui sono condannati i movimenti quando il loro potere è affidato unicamente agli sforzi della società civile. Dobbiamo insediarci stabilmente nei luoghi in cui si decide, si fanno e si applicano le leggi. E senza il governo politico del pluralismo sociale e culturale non si va lontano. Tutti oggi possiamo osservare quanto sia difficile mantenere la coesione all’interno di un mondo in cui è penetrato un individualismo dissolvitore che ha cambiato i connotati storici della militanza. Potrebbe vivere un sol giorno Sel senza il carisma di Nichi Vendola? E sarebbe stato possibile il Movimento 5 stelle senza l’affabulazione di uno strano leader-attore come Beppe Grillo? Stessa considerazione vale per l’Idv di Di Pietro.
Certo, Alba – evocata da Pepino – rappresenta una novità, ma una novità allo stato ancora nascente. E’ un’alba, appunto. Essa è per il momento un ricco e plurale laboratorio di idee. Nulla di più. Ma è priva di mezzi e di influenza soprattutto nel mondo dei media. L’importante assemblea di Torino del 6-7 ottobre, dedicata al lavoro, è avvenuta nel silenzio mediatico più completo. Non fosse stato per il manifesto e per una nota del Fatto, il vasto pubblico nazionale non se sarebbe accorto.
Tale debolezza dell’Alleanza – che contrasta con la ricchezza di analisi e proposte al suo interno e con le tante figure intellettuali che la animano – la mette oggi in una condizione di paralisi. Essa non può prendere parte all’appuntamento elettorale del 2013: presentare una propria lista sarebbe, infatti, un evidente suicidio. Dov’è oggi, a sinistra, lo spazio per una ennesima formazione? Paul Ginsborg, a Torino, ha invitato a non considerare un dramma l’eventualità di una mancata partecipazione di Alba alla competizione elettorale. Considerazione saggia, ma che contiene anche una visione un po’ irenica della lotta politica. E’ come se pensassimo che il mondo stia nel frattempo ad attendere la nostra crescita. Non partecipare alla competizione elettorale del prossimo anno è invece, a mio avviso, per le tante figure intellettuali e politiche che i movimenti hanno espresso negli ultimi anni, una perdita secca. Nella fase storica in cui si verificherà un prevedibile sommovimento della composizione del Parlamento italiano, non avere al suo interno i rappresentanti delle donne e degli uomini che hanno lottato contro il Tav in Val di Susa, il Sottopasso di Firenze, che hanno animato le lotte nelle scuole e nelle Università, che hanno guidato le popolazioni locali contro la distruzione del loro territorio, è, con ogni evidenza, una sconfitta.
www.amigi.org

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI