Attuare o riscrivere lo Statuto sardo?
19 Febbraio 2024[Francesco Casula]
Il problema dello Statuto sardo, sostanzialmente assente nella campagna elettorale in corso per le elezioni regionali del 25 febbraio prossimo, quando viene evocato lo si fa in modo strumentale e superficiale: segno che poco lo si conosce.
Ho letto che qualcuno/a ritiene che il problema sarebbe principalmente quello di “attuarlo”. Sia ben chiaro: esso oltre che dall’esterno, da parte dello Stato centrale (e delle sue articolazioni, pensiamo alla Corte costituzionale) anche dall’interno è stato via via nel tempo compresso e svuotato.
La prima cartina di tornasole che riflette quello che sarà l’atteggiamento e la politica dello Stato centrale nei confronti delle Regioni è rappresentata dalla questione delle “norme di attuazione”, ovvero i decreti legislativi che avrebbero dovuto trasferire alle Regioni non solo le funzioni amministrative ma anche gli uffici e il personale necessari per il concreto esercizio delle loro attribuzioni. I decreti infatti vengono continuamente procrastinati e rimandati alle calende greche.
Così una parte notevole delle funzioni attribuite alla Regione Sarda continuano ad essere svolte dallo Stato centrale attraverso i suoi uffici. È questo lo strumento fondamentale con cui, dall’esterno, la già debole e anemica autonomia della Sardegna viene compressa e depotenziata. E contro la mancata emanazione delle norme di attuazione la Regione è disarmata: “non sono ipotizzabili rimedi giurisdizionali – scrive Giuseppe Guarino, giurista e già Ministro delle Partecipazioni statali – né sono previsti poteri sostitutivi. C’è di più: lo Stato centrale nel suo ruolo centralistico ovvero nella sua continua e pesante azione di interferenza nei confronti della Regione è puntualmente assecondato e sostenuto dalla Corte costituzionale, forse l’organismo che gelosamente – e maggiormente – tende sempre alla conservazione delle vecchie strutture e dei vecchi ordinamenti: altrimenti avrebbe dovuto opporsi alle mire centralistiche dello Stato e alle sue indebite interferenze nei confronti della Regione”.
Da una parte, dunque, lo Stato centrale nel suo ruolo centralistico dall’altra le forze politiche dirigenti sarde, che in questi 75 anni e più, non hanno saputo usare e, spesso, non hanno voluto utilizzare, gli stessi strumenti, possibilità e spazi che l’autonomia regionale offriva, svilendo di fatto la stessa limitata autonomia, statutariamente riconosciuta.
Ciò premesso, il vero problema oggi all’ordine del giorno, è il rifacimento, la riscrittura di uno Statuto che oramai si rivela uno attrezzo desueto e inservibile. Nato come Statuto speciale, oggi risulta dotato di meno poteri delle regioni a Statuto ordinario costituite nel ’70 e, ancor meno poteri avrebbe a fronte delle Regioni che si avviano a ottenere un’autonomia “differenziata”. Infatti, le Regioni a Statuto speciale, originariamente dotate dalla Costituzione e dai rispettivi Statuti di maggiori garanzie e più larghi poteri, si sono infatti venute a trovare in una posizione di netto svantaggio nei confronti delle Regioni a Statuto ordinario.
A sostenerlo fra gli altri è Umberto Allegretti, già docente di Diritto costituzionale all’Università di Cagliari e poi di Diritto amministrativo all’Università di Firenze. Scrive Allegretti: “Il quadro delle regioni a statuto ordinario diviene più avanzato rispetto a quelle delle regioni a statuto speciale perché contiene e recepisce alcune spinte a un ordinamento ispirato a un maggior grado di autonomia”.
Di fatto oggi lo Statuto sardo rappresenta oramai persino un ostacolo alla realizzazione di una vera Autonomia, o peggio: serve solo come copertura alla gestione centralistica della Regione da parte dello stato, di cui non ha scalfito per niente il centralismo. Paradossalmente lo ha perfino favorito, consentendo ai Sardi solo il succursalismo e l’amministrazione della propria dipendenza.
La Regione sarda in buona sostanza, in questi 76 anni di storia, ha operato come mera struttura di decentramento e di articolazione burocratica dello Stato e come centro di raccordo e di mediazione fra gli interessi dei gruppi di potere locali e la rapina neocolonialista, soprattutto del Nord: esemplare in questo è la vicenda della industrializzazione petrolchimica ieri e della speculazione energetica oggi con le Pale eoliche e non solo.
Da tempo, perciò, possiamo ormai considerare consumato il suo fallimento storico, contestuale a quello della cosiddetta Rinascita: come da tempo si è consumata la scissione fra movimento popolare, opinione pubblica e Istituto autonomistico. Che dal senso comune della gente è considerato una controparte, una realtà ostile ed estranea ai Sardi.
Ite faghere a fronte di tale fallimento?
Riscrivere lo Statuto come nuova Carta de Logu: Un nuovo Statuto come vera e propria Carta Costituzionale di Sovranità per la Sardegna, che ricontratti su basi federaliste il rapporto Sardegna Stato Italiano Europa e che partendo dall’identità etno-nazionale dei Sardi ne sancisca il diritto a realizzare l’autogoverno, l’autodecisione, l’autogestione economica e sociale delle proprie risorse e del territorio, il diritto a usare e valorizzare la propria lingua e cultura, a gestire la scuola, i trasporti, il credito, le finanze e l’ordine pubblico, Il potere infine, in settori fondamentali quali la difesa e i rapporti internazionali, di esprimere parere vincolante in merito a tutte le iniziative che tocchino gli interessi vitali della Sardegna: come nel caso delle basi e servitù militari.
Non però nel chiuso dei Palazzi regionali – questo è il punto – ma attraverso una grande Assemblea costituente, sostenuta da un vasto e diffuso movimento popolare e un coinvolgimento ubiquitario delle Comunità locali, delle migliori intelligenze e professionalità, del movimento delle donne, dei lavoratori e dei giovani.
So di abbaiare alla luna: perché nella asfittica campagna elettorale – meglio chiamarla semplicemente propagandistica – di tutto si parla, fuorché di questo. Pur sapendo che senza un nuovo Statuto, le magnifiche e progressive sorti che promettono Coalizioni e Partiti in campo, sono chiacchiericcio insulso e inutile.