Auguri e … austerità
31 Dicembre 2011Marco Ligas
Il numero odierno è il primo del 2012. È di buongusto perciò fare gli auguri a tutti: di serenità, di certezze e perché no? di felicità; ma, ahimè, sappiamo che questi auguri convivono con sentimenti di preoccupazione, siamo consapevoli che il futuro non si presenta promettente.
Le decisioni prese negli ultimi mesi da chi governa il paese non sono incoraggianti; già si avvertono i nuovi segnali: la riduzione dei consumi e dell’occupazione mentre si programmano nuove tasse. Tutto lascia prevedere che la precarietà condizionerà un numero crescente di famiglie.
I sacrifici imposti, ancora una volta non sono ripartiti in modo equo e non basta la commozione di qualche ministro a renderli tollerabili. Anzi proprio l’insensibilità del governo, la sua incapacità e l’adesione malsana ai principi dell’ideologia neoliberista per cui tutto deve essere programmato secondo i bisogni del mercato, accentuano la sfiducia dei cittadini.
Le istituzioni preposte alla raccolta e all’elaborazione dei dati statistici informano che siamo già in una fase di recessione e che l’inflazione sta riducendo i redditi delle famiglie; ma ciò che preoccupa è soprattutto il venir meno del lavoro.
Se limitiamo l’analisi alla Sardegna registriamo un numero di disoccupati incredibilmente alto: circa 110.000 lavoratori sono fuori dai processi produttivi. La scadenza ormai prossima degli ammortizzatori sociali avrebbe reso insopportabili le loro condizioni di vita se non si fossero recuperate le risorse residue disponibili nel bilancio della Regione. Con queste risorse sarà possibile un prolungamento degli ammortizzatori, ma questa opportunità mette in evidenza l’incapacità delle nostre classi dirigenti, politiche e imprenditoriali, che non riescono a programmare attività produttive alternative ed ecosostenibili. Si rimanda la soluzione del problema ma non c’è alcun impegno per risolverlo.
Nei processi di emarginazione dei lavoratori dalla fabbrica/ufficio spesso sottovalutiamo gli effetti provocati dalla perdita del lavoro. Non analizziamo se non superficialmente le conseguenze del venir meno delle relazioni che ciascuno subisce nei confronti dei suoi compagni/colleghi, né quanto venga offesa la dignità e la professionalità di un lavoratore che si sente costretto ad interrogarsi sul suo saper fare con la preoccupazione di essere considerato un buono a nulla o un fallito. Vengono messi in discussione anche gli aspetti più intimi delle relazioni familiari; non a caso il lavoratore escluso dal processo produttivo si chiede come venga vissuta la sua condizione di precario o di disoccupato, che cosa si aspetti la famiglia da lui e come vivano i figli le privazioni causate dalla precarietà.
Queste preoccupazioni influiscono, e certo non positivamente, sugli atteggiamenti che i lavoratori assumono nei confronti delle formazioni politiche e dei sindacati. Verso i partiti sembra riemersa una profonda sfiducia: sia che governi il centro destra o il centro sinistra i risultati non cambiano. Si impongono i sacrifici ai soliti cittadini ma si difendono strenuamente i privilegi delle caste. Anzi, se cambia qualcosa è perché cresce il divario tra chi possiede la ricchezza e chi non ce l’ha.
Questi giudizi fanno capire che siamo di nuovo lontani dall’ondata di ottimismo registrata nella scorsa primavera: l’esito delle elezioni amministrative e dei referendum rappresenta solo un ricordo. Le prospettive che sembravano delinearsi allora si sono facilmente dileguate, anche perché nessuno nel centro sinistra le ha fatte proprie.
Diverso, più articolato, è l’atteggiamento nei confronti delle organizzazioni sindacali. Da parte dei lavoratori più consapevoli c’è rabbia perché non si raggiungono gli obiettivi attesi e per i quali si lotta con determinazione; al tempo stesso è presente un sentimento di delusione attribuibile alla divisione che esiste tra le confederazioni.
I lavoratori meno coinvolti nelle attività sindacali vivono con maggiore preoccupazione la crisi, si sentono più isolati e si mostrano perciò più disponibili ad un rapporto col sindacato. In questo atteggiamento non è arbitrario cogliere il bisogno di una tutela contro il possibile autoritarismo padronale. Più in generale non bisogna sottovalutare il rischio di un indebolimento dell’unità dei lavoratori. Le fasi di crisi alimentano sempre questi pericoli.
Per questo oggi serve difendere e ricostruire, dove si è smarrita, la democrazia dal basso, nei posti di lavoro e nella società anche forzando le resistenze di alcuni gruppi dirigenti dei partiti del centro sinistra rimasti legati ai privilegi che offre la politica. È la condizione perché gli auguri per il nuovo anno possano almeno parzialmente concretizzarsi.
Mariano Carboni è il responsabile regionale della Fiom. Ho scambiato con lui alcune considerazioni sulla crisi e su come viene vissuta in Sardegna dai lavoratori. Ecco le sue valutazioni.
Ti confesso che non mi sarei mai aspettato di interagire con situazioni di profondo disagio personale. Mi capita sempre più spesso di parlare con lavoratori che, in preda alla disperazione, scoppiano in lacrime, ti chiedono una mano d’aiuto, perché è in pericolo la stessa coesione familiare. Si tratta di persone, talvolta ultracinquantenni, che dall’oggi al domani, hanno perso il posto di lavoro, non sono facilmente ricollocabili, percepiscono il sostegno al reddito, messo a disposizione dagli ammortizzatori sociali, e non sono in grado di pagarsi il mutuo, l’affitto della casa ed acquistarsi i generi alimentari di prima necessità. Abbiamo tanti lavoratori e lavoratrici che non fanno mistero della loro condizione di povertà ed hanno deciso di rivolgersi alla Caritas. Evidenziano che senza quell’aiuto rischierebbero di patire la fame. Altri ancora ti dicono che hanno dovuto modificare radicalmente le loro abitudini di vita. Sono costretti a fare la spesa nei discount, senza badare alla qualità dei generi di prima necessità che si acquistano, e per quanto riguarda il vestiario, quando avanzano pochi euro, fanno riferimento ai tanti negozi cinesi ubicati nella nostra isola. Non si possono più permettere la classica pizza settimanale e tanto meno l’adunata del fine settimana con gli amici più cari. Io credo che anche queste testimonianze siano il sintomo più evidente del processo di impoverimento che stiamo conoscendo. Si è poveri quando si lavora, si precipita nella miseria quando questo lavoro viene meno. Inoltre, tutte queste persone ti riflettono una profonda sfiducia per il futuro e non credono che la classe politica regionale e nazionale sia in grado di migliorare la loro condizione di disagio. Ogni volta che provi a discutere il problema della credibilità della classe politica ti rispondono stizziti con il classico “ sono tutti uguali e non vado a votare”.