Buona scuola. L’alternanza aula-lavoro è diventata un incubo

1 Giugno 2016
scuola
Michele Sasso

È uno dei pezzi forti della Buona scuola per portare la cultura d’impresa dentro gli istituti. Si chiama Alternanza scuola lavoro ed è il primo “punto alla lavagna” del video diffuso dal governo con voce narrante il premier Matteo Renzi che spiega la rivoluzione copernicana tra i banchi italiani.

L’idea è quella di trasformare le superiori non in soli pensatoi, ma in trampolini verso una professione, con la speranza che gli stage (gratuiti e obbligatori) possano permettere di abbassare quel 46 per cento di disoccupazione giovanile che attanaglia il sistema Paese, aiutando gli adolescenti ad avvicinarsi il prima possibile alla concretezza di un mestiere.

Da quest’anno ogni studente di un Itis dovrà fare 400 ore di stage, e ogni liceale dovrà applicarsi in 200 ore di impieghi fuori dalle mura scolastiche nell’arco del triennio (dal terzo al quinto anno quindi).

Sul piatto ci sono 45 milioni di euro per 60 progetti di laboratori territoriali: attività da svolgere in orario extrascolastico, con il sogno di istituti aperti al territorio, luoghi di innovazione e sperimentazione per inserire 60 mila giovani nel biennio 2015-17.

Un progetto che apre però ai dubbi su una “stagistizzazione” forzata delle classi. Con casi paradossali come i liceali in raffineria a Cagliari. Una storia raccontata dal dossier dell’Unione degli studenti “Formati, non sfruttati” che mette in cima alla priorità «un’alternanza scuola lavoro decisa dagli studenti con una programmazione che non coinvolga solamente il Dirigente e che sia fatta in aziende che non abbiano lavoratori precari, che non devastino l’ambiente e che non abbiano legami con la criminalità organizzata».

I liceali in raffineria

A. ha diciassette anni e frequenta la quarta «I» del Liceo classico Giovanni Siotto Pintor di Cagliari. Per lei il progetto di alternanza scuola lavoro saranno tre giorni nella raffineria Saras di Sarroch, alle porte del capoluogo sardo.

«Non lo chiamerei neppure progetto, perché un vero progetto non c’è. Siamo stati semplicemente avvisati che dal 22 al 24 marzo andremo alla Saras, comportandoci come dei piccoli operai. In queste settimane la nostra insegnante di scienze ha tenuto una lezione sugli idrocarburi, i cicli produttivi e la messa in sicurezza dell’azienda» spiega A. a “l’Espresso”.

Tre giorni dalle 7 del mattino alle 4 del pomeriggio, sedici minorenni con tanto di divisa e pranzo in mensa per calarsi meglio nella realtà di quel dedalo di tubi e oleodotti, dove ogni anno vengono raffinati oltre 15 milioni di tonnellate di petrolio grezzo .

«Io non so cosa farò da grande – continua la studentessa – ma quale appeal può avere per me un polo petrolchimico? È tutto così insensato, lo sanno anche i bambini che quella è un’area poco salubre. È un’occupazione che non c’entra nulla con quello che facciano al liceo e non serve alla nostra formazione. La professoressa di scienze ogni anno accompagna alla Saras gli studenti in gita ed è sta lei a scegliere. Se penso che i miei compagni delle altre classi sono andati al teatro lirico di Cagliari».

Lo stage in albergo

I problemi della burocrazia e della mancanza di linee guida stanno creando disguidi e controsensi come raccontano insegnati e alunni. Per i primi la domanda è unica: chi si occuperà di coordinare quest’immensa macchina di tirocinanti? «Ora è un fuggi-fuggi generale, nessuno vuole farlo: io che mi sono offerto volontario nel solo mese di ottobre ho fatto 40 ore extra che non mi verranno mai pagate» spiega Filippo Novello dell’Itis Galilei di Milano.

C’è poi la questione del “quando”: dentro o fuori l’orario curricolare? Al Liceo Scientifico Oberdan di Trieste per raggiungere le 200 ore stanno inserendo nel monte ore dell’alternanza ogni attività, intervento o gita possibile, anche se assolutamente non correlati con il mondo del lavoro.

Ecco il racconto di come si sono organizzati al Liceo Salvemini di Sorrento: «Ci stanno facendo seguire degli incontri pomeridiani di psicologia e diritto» spiega F.: «Il bello è che questi corsi li organizzano in orario extra scolastico i docenti di supplenza e alla fine veniamo pure valutati. Ci vogliono sottoporre ad una prova scritta che fa punteggio. In programma abbiamo anche una lezione sulla sicurezza con un test subito dopo. Il controsenso è che se non lo passi non ti danno la possibilità di lavorare, e se non lavori non accumuli le 200 ore previste indispensabili per accedere all’esame di maturità. Tra le proposte di stage oltre a comuni, musei e biblioteche ci hanno proposto degli hotel, degli alberghi per un liceo classico. Oppure in uno studio legale, a fare il segretario di un avvocato o di un notaio».

Nella motor valley

Non ci sono però solo esperienze tragicomiche. L’alternanza ha anche creato un modello virtuoso nella cosiddetta “Motor valley” dell’Emilia Romagna, la terra dei motori nota in tutto il mondo grazie ai brand di Ferrari, Ducati, Maserati, Lamborghini e Dallara.

Qui il modello è sei mesi a scuola e sei mesi in fabbrica, poi altri sei mesi a scuola e altri sei in fabbrica. Tornando a studiare per inseguire la possibilità di un lavoro. Con la benedizione del ministro all’Istruzione Stefania Giannini è partito un anno fa il progetto “Desi” sull’alternanza scuola-lavoro di Ducati e Lamborghini (entrambi marchi del gruppo tedesco Volkswagen), che porta 48 ragazzi che avevano abbandonato gli studi dentro questo esperimento che unisce il “modello tedesco” all’eccellenza italiana.

«È il simbolo di una svolta culturale, che ha il valore aggiunto di riportare a scuola ragazzi che l’avevano lasciata», ha sottolineato Giannini tagliando il nastro dei laboratori che le due aziende hanno preparato all’interno dei propri capannoni, dove gli studenti, aiutati da tutor della scuola e delle aziende, mettono in pratica quello che studiano negli Istituti Fioravanti Belluzzi e Aldini-Valeriani.

Articolo pubblicato su L’espresso e ripreso da Il manifesto di Bologna

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