Cara Comunità Araba
1 Febbraio 2016Fatima Bouhtouch
Pubblichiamo la lettera aperta alla comunità araba di Fatima Bouhtouch, giovane donna musulmana che denuncia l’atteggiamento maschilista e il comportamento arrogante e sessista di certi uomini nei confronti delle donne musulmane (Red).
Cara Comunità Araba,
ieri mi sono addormentata con la rabbia addosso e ho deciso di parlarti a proposito di tutto il subbuglio emotivo che mi semini dentro. Io, che sono una giovane femmina musulmana inserita nella comunità araba, sono stanca. Sono stanca di vedere uomini che si autoeleggono portatori della verità assoluta e del sapere, mentre con arroganza giudicano il grado di religiosità degli altri.
Sono stanca di ascoltare i loro discorsi sessisti, privi di fondamenta logiche ed inzuppati di subdolo maschilismo ereditato da generazioni di iniquità. Sono stanca delle rudi e saccenti maniere con cui giudicano il mio velo ed i miei modi di vivere. Sono stanca di vedere le loro dita puntate contro ogni donna che non si comporti come Dio comanda, ipocritamente consapevoli di essere i primi a non considerare più della metà di ciò che Dio comanda.
Li ho sentiti discutere riguardo a ciò che una ragazza “per bene” debba fare o non debba fare, cosa possa permettersi o non permettersi di dire. Poi, li ho guardati e dentro me, disgustata, mi sono chiesta “ma da che pulpito?”.
Ho taciuto, non per paura o rispetto, ma perché ho avuto l’estremo bisogno di cercare termini capaci di raccontare ciò che mi brucia tra petto e lingua. Mi vergogno che, nella comunità araba di oggi, si debba ancora discutere di ciò che sia giusto o sbagliato solo per una fazione del genere umano.
Ho taciuto, non per paura o rispetto, ma perché ho avuto l’estremo bisogno di cercare termini capaci di raccontare ciò che mi brucia tra petto e lingua. Mi vergogno che, nella comunità araba di oggi, si debba ancora discutere di ciò che sia giusto o sbagliato solo per una fazione del genere umano.
Mi vergogno che qualcuno ritenga i dogmi religiosi validi unicamente per il gentil sesso e mi vergogno anche che nessuno si opponga, soffocato dalla puzza di marcio. Ció che però mi turba ancora di più è che il nostro più grande problema non sono i maschi seduti su un trono di critiche gratuite pronte per l’uso. No. Il vero problema sono tutte quelle donne che acconsentono in silenzio, non più sottostanti ai precetti di una religione divina e spirituale, ma ad una meschina rete di ideologie culturali, ritenute troppo spesso indiscutibili.
Il nostro guaio sono tutte quelle madri che alla figlia femmina insegnano di vivere in funzione del matrimonio, di preservarsi per un marito e mantenersi casta per un solo uomo di cui dovrà essere la prima donna e poco importa se lei, per lui, sarà la millesima dopo una serie di corpi femminili considerati mera fonte di piacere mondano. Sono quelle madri che al figlio maschio, invece, trasmettono solo l’obbligo di godersi la giovinezza, di mettere la testa sulle spalle quando ne avrà voglia e di cercarsi una signorina bella e brava, “pulita”, che a sua volta dovrà tramandare gli stessi concetti ai bambini che verranno.
Allora, io non voglio. Non voglio far parte di un entourage con uomini che mi dicono come devo vestirmi, in una sera qualsiasi mentre se ne stanno seduti al bar con una lattina di birra a guardare la bella cameriera bionda. Non voglio che nessuno mi ripeta che devo mostrarmi come una per bene (non conta che io lo sia davvero, basta dare l’impressione), perché un giorno dovrò superare l’esame a cui mi sottoporrà un uomo qualunque, che sarà ritenuto idoneo a prescindere semplicemente perché maschio.
Non voglio ritrovarmi nella posizione di dover spiegare a mia figlia secondo quale assurdo principio suo fratello possa peccare senza conseguenze, mentre lei dovrà sorbirsi sentenze da giudici improvvisati per un rossetto troppo marcato o un paio di pantaloni attillati. No.
Cara comunità araba, io non voglio vivere per piacere a te e per farfugliarti giustificazioni impostate. Sappi che ogni volta che mi astengo dal peccato, che decido di compiere una buona azione o di essere semplicemente me stessa, nel bene e nel male, lo faccio per il misericordioso Dio in cui credo.
Alle mie scelte, con le dovute conseguenze, ai miei pensieri ed ai mi scatti d’ira o di bontà non interessa il tuo criterio di valutazione, perché non è quello che conta. Insegnate ai vostri figli che si nasce e si muore per coltivare la fede e non per ostentarla in ogni dove. Dite loro che quando sbaglieranno, non dovranno preoccuparsi di cosa ne penserà la gente, ma di come combatterranno i demoni della coscienza.
Guardate il mondo con una chiave di lettura spirituale e quando vi pruderà la lingua alla vista del difetto di qualcuno, mordetevela, e ricordatevi delle mille volte in cui avete sbagliato anche voi. Siate clementi, severi al punto giusto, ma con voi stessi in primis, e smettetela di accanirvi uno contro l’altro, incapaci di sostenere un dialogo costruttivo perché tutti convinti di essere i detentori della verità.
Jumu3a mubaraka,
Fatima
Fatima