Carlo Felice e i tiranni Sabaudi: un libro da scoprire per scoprire se stessi
3 Gennaio 2017Giuseppe Melis
I Sardi hanno idea di chi sia stato Carlo Felice? E hanno idea di cosa abbiano fatto i Savoia nel corso delle loro dominazioni? A giudicare dai comportamenti dei più si evince che la maggior parte delle persone che abitano l’Isola non ha una idea precisa su questa parte della storia di Sardegna e, quando ce l’ha, forse è persino sbagliata.
A fare chiarezza su questo personaggio e sulle opere della sua famiglia ci ha pensato lo storico Francesco Casula che mette a disposizione di tutti noi la sua ultima opera intitolata “Carlo Felice e i tiranni sabaudi”, dando già nel titolo una chiave di lettura dell’opera.
Si tratta di un lavoro di ricerca meticoloso e puntuale svolto su documenti storici di vario tipo che messi insieme con uno stile semplice, divulgativo e rigoroso insieme, offre al lettore la possibilità di conoscere, attraverso le citazioni di storici, studiosi, prelati e scrittori di quella e di epoca più recente, fatti e misfatti compiuti da una famiglia che mai amò la Sardegna, fondamentalmente perché ricevuta in luogo di quella Sicilia che avrebbe preferito per dimensioni e, soprattutto, per ricchezza di risorse.
Attraverso la lettura del libro si scopre così che, per esempio, i regnanti sabaudi ebbero un costante atteggiamento di arroganza e disprezzo verso i Sardi (forse per la ragione indicata in precedenza legata al desiderio di avere la Sicilia col Trattato di Londra), come viene ben documentato nella prima “pimpirìa de istoria” (pillola di storia), in cui Casula citando Mazzini racconta come “La Sardegna fu sempre trattata con modi indegni dal Governo sardo (leggi dai Savoia): sistematicamente negletta, poi calunniata, bisogna dirlo altamente” (p. 20). Con parole non molto diverse il padre scolopio Tommaso Napoli afferma come “l’arroganza e lo sprezzo con cui i Piemontesi trattavano i Sardi chiamandoli pezzenti, lordi, vigliacchi e altri simili irritanti epiteti … inaspriva giornalmente gli animi e a poco a poco li alienava da questa nazione” (pp. 44-45). E che dire di quando Casula nella scheda dedicata a Carlo Emanuele III evidenzia come i Savoia assumono decisioni volte ad “accentrare e centralizzare il potere” e nel 1776 l’imposizione della lingua italiana “per la dessardizzazione e snazionalizzazione delle popolazioni, per poterle dominare meglio e di più” (p. 23).
Lo stesso significato assumono le decisioni di questi regnanti e dei loro seguaci di modificare la toponomastica delle città e dei paesi, per segnare ulteriormente la loro opera di sradicamento dei Sardi dalla propria terra e inculcare loro l’idea di essere altro e non ciò che alla terra li lega. La lettura di questi fatti del passato offre però l’occasione per una valutazione critica di vicende più vicine ai nostri tempi.
Il lettore è così indotto a continui confronti con quanto accaduto in epoca più recente: dal periodo costituente – nel corso della quale venne trovato l’escamotage delle regioni a statuto speciale per non riconoscere pienamente il diritto delle Nazioni senza stato a vedere tutelato il proprio diritto a salvaguardare il principale elemento distintivo (la lingua) –al comportamento vessatorio dello stato italiano e del suo governo in materia di servitù militari, fino ad arrivare ai mancati trasferimenti (per anni) di quote di risorse finanziarie che pure erano dovute per legge costituzionale.
Nondimeno, l’atteggiamento centralizzatore perpetrato dai Savoia non può non far pensare al fallito tentativo di modifica della Costituzione che il referendum svoltosi lo scorso 4 dicembre ha spazzato via grazie ad un collettivo e generalizzato risveglio delle coscienze di tanti che da anni non andavano a votare. Questo per dire che – mutatis mutandis – anche chi in questi anni ha governato l’Italia non sembra discostarsi molto dalle logiche centralistiche sabaude, seppure non certo con i linguaggi e i metodi praticati in quel tempo e dietro il maldestro “paravento” della necessità (giusta) di “razionalizzare” e “risparmiare” evitando gli sprechi. Anche in questo si può notare come il libro di Casula pur parlando di fatti del passato sia estremamente utile per leggere il presente.
Ritengo sia un libro da adottare nelle scuole superiori di tutta la Sardegna o comunque utilissimo per l’aggiornamento professionale dei docenti di questa materia, perché non deve più accadere che nella formazione delle nuove generazioni non vi sia spazio per la conoscenza della storia di questa terra e di questo popolo, da studiare insieme alla storia di altre terre e di altri popoli, compreso quello dei nostri cugini italiani con cui condividiamo la cittadinanza proprio in virtù di questo pezzo di storia dai più ignorato.