Orientarsi a sinistra

16 Luglio 2011

Mauro Piredda

I tradizionali quotidiani sardi non hanno bisogno di ospitare endorsement per far capire la loro linea editoriale. Ma è opportuno chiedersi che rapporti avranno con la politica i due nuovi arrivati Sardegna quotidiano e Sardegna 24. Del primo si dice che sia “il giornale di Maninchedda”, ma non è scopo di questo articolo argomentare questa diceria (e chi scrive non ha elementi per confermarla). Del secondo, invece, non si può non notare la longa manu di Renato Soru. Bannerone quadrato a destra sul sito della sua “Sardegna democratica” e direzione affidata a Giovanni Maria Bellu (già vice della De Gregorio alla sua “Unità”). Rimane da capire se sarà l’organo ufficioso del Pd sardo che nascerà a gennaio (una vittoria di Soru che ha determinato la composizione di una segreteria quasi unitaria e la pace con Silvio Lai) e se giocherà un ruolo nella possibile ricandidatura di Soru per le più o meno prossime elezioni regionali. Il tempo dirà.
E a sinistra-sinistra cosa abbiamo? Il manifesto e Liberazione, seppur diversi sono accomunati dal fatto che non arrivano in edicola in Sardegna. Altri? Nùdda! Né italiani, né sardi. Non abbiamo quindi un giornale a disposizione che possa dare un contributo, né riceverne da questa parte del Tirreno (e se si, chi li legge?). è un problema, ma dobbiamo fare di necessità virtù, anche con una forte dose di orgoglio di chi è consapevole di avere pochi mezzi ma al tempo stesso vuole cambiare il mondo.
Perciò è opportuno ricordare, ai fini della creazione di un orientamento (anche plurale), i punti già individuati da Marco Ligas in vista delle elezioni regionali scorse (in assenza di una coalizione fortemente orientata a sinistra si chiedeva di sostenere quei singoli candidati consiglieri che li portassero avanti). Questi punti infatti potrebbero essere un punto di partenza per costruire quello che ancora non c’è. Ricordiamoli:
a) riscrivere la legge statutaria perché le istituzioni regionali possano funzionare nel rispetto dei principi della democrazia;
b) destinare le risorse finanziarie della Regione alla crescita dell’occupazione secondo criteri che assicurino l’innovazione e la valorizzazione delle risorse locali, compresi il paesaggio e i beni culturali;
c) investire sulla conoscenza difendendo e valorizzando l’aspetto pubblico;
d) puntare ad una riconversione ecologica dell’economia. La tutela ambientale deve essere un obiettivo teso a modificare modi di produrre e a riorganizzare la vita sociale delle persone. La crisi economica che ha coinvolto il nostro pianeta non si supera senza un radicale cambiamento delle nostre abitudini;
e) eliminare, anche progressivamente e in tempi definiti, l’arsenale di guerra che è stato imposto alla nostra isola. Le sue basi militari devono trasformarsi in aree produttive.

Sono punti minimi, ma che possono stimolare ulteriori elementi nel dibattito, anch’esso assente o quasi, come ad esempio: il parassitismo generato dall’“aut simul stabunt, aut simul cadent” che “impedisce” ai consiglieri di votare contro un provvedimento della loro maggioranza se ricattati dal governatore (“se cado io tutti a casa!”); i troppi soldi intascati dagli eletti (triste primato); la questione del credito e il suo controllo sociale all’interno della questione delle risorse finanziarie da destinare allo sviluppo e ai diritti universali; la difesa del paesaggio e del comparto agricolo come elemento centrale nelle scelte industriali ed energetiche chiedendoci anche se all’incentivo pubblico e alla programmazione di queste ultime non sia meglio la proprietà pubblica e il controllo sociale come sintesi delle esigenze di lavoro, ambiente e sovranità (cosa che non dovrebbe dispiacere agli indipendentisti capaci di andare andare oltre l’accusa di “italianismo”).
Insomma, stimolare la volontà di arrivare a un programma, perché quando non se ne dispone di uno proprio i tavoli di trattativa sono tutti incentrati sul leader, sulle modalità per sceglierlo, sulle coalizioni da realizzare anche se innaturali, sul solo immediato obiettivo, quello di vincere le elezioni rimandando ad un secondo momento gli inevitabili problemi. è chiaro a chiunque che avere a disposizione mezzi di comunicazione ampiamente diffusi può facilitare la costruzione del consenso in modo diverso e multi-level rinviando il programma alla campagna elettorale, ma deve essere chiaro a tutti noi di sinistra che le nostre rivendicazioni sono e devono essere il nostro medium. Diversamente “non b’at mediu!”.
Al di là delle posizioni politiche di chi scrive (contrarie a un’alleanza con forze ambigue sulle servitù militari e sui radar, che non osteggiano l’intervento dei privati nei beni comuni, che fanno del bipolarismo e del presidenzialismo la loro bussola etc…), sarebbe quindi opportuno che si tornasse a discutere, de bidda in bidda (ma anche meno) con tutte le forze politiche e sociali che dicono di voler trasformare la società, per capire chi siamo e cosa vogliamo e, soprattutto, farlo capire alla nostra gente che vuole sì l’unità, ma anche pesare le diverse opzioni in campo. Può il manifesto sardo dare il suo contributo?

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