Cgil. Le ragioni di una mobilitazione
16 Aprile 2017Michele Carrus *
Le ragioni della mobilitazione della Cgil, partita un anno fa con l’elaborazione della Carta Universale dei Diritti sul Lavoro e dei tre quesiti referendari su voucher, appalti e articolo 18, sono legate all’urgenza di mettere fine alla continua destrutturazione delle regole e delle tutele sul lavoro che ha caratterizzato gli interventi degli ultimi anni e in particolare dell’ultimo Governo.
I diritti dei lavoratori, le regole e la disciplina del lavoro sono stati pesantemente manomessi, minando la stessa accessibilità alle tutele e vanificando ogni certezza di prospettive. E’ stata sconvolta la gerarchia dei valori in campo insieme a quella delle fonti del diritto: si è scelto di calpestare la parte più debole, il lavoratore, lasciando ampia libertà di azione al soggetto forte, l’impresa.
Tutto ciò si è realizzato attraverso una sequenza di provvedimenti privi di un carattere organico complessivo, che hanno però realizzato un disegno unitario, all’insegna della precarizzazione, o meglio dell’asservimento, del lavoratore. Ora, se guardiamo il risultato di questi interventi, delle politiche del lavoro e di quelle economiche, fiscali e industriali di cui sono figlie, vediamo un Paese più povero, che ha maggiori difficoltà competitive e che, insieme alle quote di mercato, perde ruolo politico internazionale. Un Paese nel quale crescono i divari sociali e territoriali, gli indici di disoccupazione e quelli di emigrazione, col sacrificio soprattutto delle energie più fresche. Un Paese dove la condizione degli occupati, giovani e meno giovani, è sempre più caratterizzata dalla precarietà e dall’insicurezza, dove in virtù di una riforma assurda, la “Fornero”, non è più garantito nemmeno il diritto alla pensione e risulta bloccato il naturale turn-over nel mercato del lavoro.
Sotto questo profilo il Jobs Act e i suoi decreti attuativi non sono che l’ultimo anello di una catena di misure che hanno creato ferite profonde e nuove contrapposizioni nel mondo del lavoro: tra generazioni, tra occupati e disoccupati, tra lavoratori diretti e in appalto, pubblici e privati, tra tutelati e non tutelati. Il risultato è un lavoro sempre più disperso, frammentato, indebolito, che spinge all’isolamento soggettivo, in cui si cerca una salvezza individuale impossibile da raggiungere.
Per questo occorre cambiare verso alle cose. Ed è ciò che la Cgil si è proposta di fare quando ci siamo impegnati nella riscrittura delle regole, in quel nuovo Statuto dei diritti dei lavoratori che abbiamo voluto accompagnare con tre quesiti referendari, sottoponendolo prima al vaglio degli iscritti in decine di migliaia di assemblee e, poi, di tutti i cittadini che hanno sostenuto, con oltre tre milioni e mezzo di firme (cifre mai registrate prima nella storia repubblicana), la sua presentazione al Parlamento, a settembre scorso, come proposta di legge di iniziativa popolare, che adesso la Cgil chiede sia discussa e approvata al più presto. Si tratta di una proposta organica che restituisce al lavoro il suo valore fondativo della società e della democrazia, sancendo secondo la nostra Costituzione norme e principi universali, esigibili da tutte le persone che lavorano in condizioni di dipendenza economica a prescindere dalle forme civilistiche con cui lo fanno, disboscando quella fitta selva di norme e forme contrattuali che si sono rivelate utili essenzialmente a declinare sempre nuove modalità di sfruttamento dei lavoratori, e riducendole soltanto a cinque tipologie – lavoro autonomo e parasubordinato veri a parte – che possono soddisfare, a ben vedere, qualsiasi esigenza imprenditoriale o d’ufficio: contratti a tempo indeterminato, a termine con tetti e causali, somministrazione temporanea, apprendistato e lavoro occasionale o accessorio contrattualizzato. La nostra Carta introduce, finalmente, strumenti di attuazione agli articoli 39 e 46 della Costituzione, in tema di democrazia, rappresentanza e partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese o degli enti presso cui operano, e riscrive criteri e modalità di accesso alla tutela giurisdizionale, che erano stati limitati o resi contorti e differenziati o troppo onerosi fino a renderla quasi impraticabile, ledendo così un altro principio fondativo dello stato moderno: il diritto alla giustizia in condizioni di uguaglianza per tutti i cittadini.
E’, dunque, per favorire l’avvio di un percorso riformatore innovativo e correttamente ispirato ai valori di libertà e dignità delle persone che lavorano che abbiamo scelto anche di condurre una campagna referendaria su quesiti tesi a colpire alcuni istituti particolarmente odiosi: il primo, per l’abolizione dei voucher, il secondo, per il ripristino della responsabilità solidale negli appalti e il terzo, che la Corte Costituzionale non ha ammesso con motivazioni per noi non convincenti, per la riaffermazione della tutela reale contro i licenziamenti ingiusti (ex articolo 18). Noi in ogni caso non rinunciamo alla battaglia per via contrattuale oltre che legislativa per cambiare una normativa intollerabile che crea lavoratori di serie A e di varie serie cadette, che noi riteniamo in palese contrasto con i principi costituzionali nazionali e della stessa Unione Europea, presso la cui Corte di Giustizia stiamo predisponendo un apposito ricorso: non ci rassegniamo, infatti, all’evidenza che la culla del diritto romano abbia oggi la peggiore legislazione d’Europa in materia di lavoro!
Su voucher e appalti, invece, il Governo ha accolto le nostre istanze con un decreto in corso di conversione in legge. Troviamo stupefacenti le dichiarazioni bugiarde che si sentono da talune parti politiche e datoriali sull’indispensabilità dei voucher, che non hanno affatto contrastato il lavoro nero, cresciuto di oltre due punti negli ultimi tre anni, e hanno invece legalizzato forme ottocentesche di brutale sfruttamento, privando i lavoratori di adeguate coperture professionali, economiche e previdenziali: la disciplina seria che ne diamo invece nella nostra Carta dei Diritti risponde alle vere esigenze di occupazione occasionale che non può prescindere dal fatto che dietro la prestazione lavorativa c’è una persona dotata di competenze, saperi e dignità, che ha diritto di contrattare le regole d’ingaggio e svolgimento del lavoro che fa e di ottenerne il riconoscimento sociale ed economico che merita. Quanto agli appalti, che contribuiscono in misura enorme alla formazione della ricchezza nazionale, vanno semplicemente ristabilite regole di leale competizione tra le imprese che non possono fondarsi sull’abbrutimento del lavoro, ma sulla capacità di offrire servizi e prestazioni di qualità per i cittadini e per il sistema economico e sociale.
Sono molteplici le iniziative che abbiamo in corso in Sardegna per la nostra grande campagna di mobilitazione, cui ha contribuito il 4 aprile scorso anche la nostra Segretaria generale Susanna Camusso: una giornata straordinaria che si è articolata nelle assemblee a Sarroch, al mercatino di Pula e all’Auditorium comunale di Cagliari, fino all’incontro pomeridiano al Teatro Lirico dove abbiamo accolto 1638 persone, lavoratori, cittadini, esponenti dei diversi gruppi di sostegno costituitisi nei diversi territori dell’Isola, compagni.
Ciò che colpisce di più, in tutto questo, non è certo la nostra capacità di mobilitazione, ben consolidata, ma è il grado di condivisione che abbiamo riscontrato e continuiamo a trovare tra la gente, tra quanti quotidianamente ci manifestano il loro sostegno in questa che ormai, a pieno titolo, possiamo affermare sia una battaglia di popolo. Un popolo che ha già riscoperto a dicembre scorso la voglia di partecipare e incidere nelle scelte fondamentali e che oggi si stringe intorno alla Cgil per i diritti personali di chi lavora, intorno a un’idea nuova di modernità, di coesione sociale e di sviluppo del nostro Paese. Per questo siamo decisi a non smobilitare e, anzi, vogliamo andare avanti fino a che non saremo riusciti a ottenere risultati soddisfacenti. Intanto, un grande successo l’abbiamo ottenuto nell’aver riportato al centro dell’agenda politica il tema del lavoro, della sua dignità, della solidarietà sociale, dell’uguaglianza dei cittadini e delle loro aspirazioni a migliorare le proprie condizioni di vita, per sé e per le future generazioni: è questa la vera sfida politica e culturale che lanciamo al Paese intero e che crediamo debba essere condivisa e sentita come una responsabilità da quelle forze politiche, anzitutto della sinistra, che ambiscono al governo della nazione.
* Segretario generale Cgil Sarda