Il girasole che ride
1 Luglio 2011Nicola Culeddu
Chimica verde ovvero promesse senza impegni certi. La firma del protocollo d’intesa sulla Chimica Verde a Porto Torres sancisce la fine di un’epoca: quella della Chimica Pesante in Sardegna. Gli ultimi rimasugli saranno gli impianti di produzione delle gomme a Porto Torres e la solita raffineria della Saras.
E’ una scelta politica, prima che economica, che avrà come primo impatto la riduzione degli operai impiegati e, forse nel tempo, una nuova fase dove la Chimica non sarà più scambiata con il lavoro e con l’ambiente. 50 anni di Industria chimica di base hanno minato l’ambiente circostante i siti di produzione, ed ora il nuovo business è il risanamento…. magari condotto dagli stessi soggetti che hanno prodotto l’inquinamento.
E gli operai? Per ora Cassa Integrazione, poi si vedrà. L’assenza di un vero piano industriale con un cronoprogramma di rientro al lavoro sta preoccupando quella parte dei Sindacati che non credono più nelle “promesse” degli industriali di turno. E gli impegni nel protocollo sono da classificare nel novero delle eterne promesse che da 15 anni ad oggi ci sentiamo dire. L’unica cosa reale sembra l’installazione di un impianto di produzione di plastiche biodegradabili (40-60 occupati), con annessa centrale a biomasse.
La richiesta di 25.000 tonnellate di olio di girasole (eventualmente raddoppiabili), e dei relativi 35.000 tonnellate di scarti, implica una scelta da parte delle parti sociali e della governance sarda a tutti i livelli sul modello di sviluppo agricolo che si propone coinvolgendo la riconversione di almeno 30.000 ettari.
E’ chiaro che la frase “ai migliori prezzi di mercato” implica un’attività di sussidio da parte della Regione agli agricoltori che sceglieranno di convertire le proprie attività tradizionali in coltivazione del girasole. Le colture alternative, come il cardo, sono ancora nella fase di sviluppo.
Sono consapevole che questa scelta è strategica per una regione come la nostra dove il lavoro è sempre di più merce rara, ma non posso evitare di farmi alcune domande:
1) E’ necessaria la riattivazione della vecchia centrale ENI per la produzione di vapore se a 5 km il sito di Fiume Santo produce, e smaltisce, enormi quantità di vapore?
2) Una nuova centrale a biomasse è compatibile con un piano Energetico di una Regione Sardegna che già adesso produce un surplus energetico importante?
3) Qual è il costo sul lungo periodo dei posti di lavoro promessi, contributi regionali vari inclusi?
4) Che cosa succederà nel momento in cui l’approvvigionamento all’estero della materia prima si rivelasse più conveniente per l’Azienda?
5) Quale ruolo hanno le controparti locali (Provincia e Comuni) nella governace del processo di riconversione?
6) Cosa si intende con la frase “-siano implementati a livello regionale, provinciale e comunale, piani di raccolta differenziata della frazione organica e programmi di riduzione dell’utilizzo dì plastiche in agricoltura e nell’agroindustria che prevedano l’utilizzo di bioplastiche biodegradabili e compostabilì”? Che il mercato di riferimento delle plastiche biodegradabili è la Sardegna?
Mi sembra poco remunerativo investire su un mercato così ristretto.
Un protocollo d’intesa è un oggetto che serve per definire in maniera chiara gli impegni delle controparti che firmano. In questo protocollo l’unica cosa certa è la chiusura, imminente e quasi totale, degli impianti esistenti a Porto Torres, con la contestuale assistenza economica della regione al processo di ricollocazione degli operai. Mi sembra poco per sbandierare questo come in nuovo futuro dell’industria sarda.
Aspetto fiducioso che le Autorità territoriali si sveglino e chiariscano i miei dubbi.