Cicha ziemia
13 Luglio 2023[Marinella Lőrinczi]
Per chi ha studiato un po’ di russo questo titolo di film in polacco è di facile comprensione, certamente non lo è per chi conosca l’inglese.
Quando il film è uscito nelle sale italiane, alla fine del mese di giugno, in uno dei cinematografi del Cagliaritano dove lo proiettavano alle ore 22,45 (e dopo averlo visto se ne capisce la ragione; infatti non è raccomandato sotto i 14 anni), il suo titolo era annunciato in polacco, senza nessuna traduzione; in un altro cinema lo proiettavano anche alle 15,30 – ed è qua che ho deciso di vederlo – cosicché, usciti dalla sala, l’atmosfera opprimente del film si scioglieva immediatamente al torrido caldo pomeridiano.
In sala noi spettatori eravamo in tre. Nel programma di quest’altro cinema il titolo era presentato in inglese: Silent Land; è del tutto incomprensibile la mancata traduzione in italiano: Terra silenziosa / silente / tranquilla a seconda dei gusti semantici, ma anche Terra muta sarebbe stato appropriato, se tradotto attraverso l’inglese.
Film dalla durata di 2 ore scarse, realizzato tra il 2020-2021 grazie anche a cofinanziamenti di istituzioni sarde[1], girato in Sardegna in piena pandemia sotto la direzione della giovane regista polacca Agnieszka Woszczyńska (nata nel 1984), debuttante nei lungometraggi. Delle presentazioni o recensioni in rete ne ho lette 4-5 (vedere nelle successive note), quelle italiane menzionano l’ambientazione (pardon: location) sarda, più precisamente tra Alghero e Cheremule, oppure l’Italia o un’isola italiana qualsiasi. Nell’unica recensione da me letta in traduzione dal polacco[2] l’Italia (Włochy in polacco), sua siccità compresa, viene menzionata tre volte e mai la Sardegna, come cortesia imporrebbe. E, sempre a parere di chi scrive, questa localizzazione, sarda, è invece importante anche per altre ragioni che enumererò più avanti.
Punto uno: vivendo in Sardegna, io come tanti altri, ero curiosa di vedere l’utilizzo che se ne fa nel film. Della trama sapevo poco o niente, ma quel poco bastava per incuriosirmi. Volevo aggiungere le impressioni trasmesse da questo film a quanto ho ricavato leggendo relazioni, descrizioni, pareri, giudizi sulla Sardegna presenti in testi di viaggiatori o visitatori o studiosi stranieri (comunque non sardi), dal Settecento in poi[3]. Ai quali poi si sommano anche i testi letterari (Sea and Sardinia “Mare e Sardegna” dal titolo germanicamente allitterante, 1921, di David Herbert Lawrence, ad esempio) o autobiografici (dei vari viaggiatori menzionati, tra cui Honoré de Balzac[4] o la svedese Amelie Posse Brázdová[5]); ma quest’immaginario, nel suo complesso[6], è molto difficile da descrivere ed impossibile da riassumere in poche parole, tenendo conto anche della impoprtante bibliografia al riguardo. Anche in relazione al film Cicha ziemia dobbiamo rimanere nel settore degli eterogiudizi sulla Sardegna e non debordare negli autogiudizi (identitari, come si usa dire oggidì) prodotti dall’interno, soprattutto da persone che condividono il cd. in-group membership (detto in inglese per essere cool …). Si tratta naturalmente di due dimensioni culturali e del pensiero, parallele solo in astratto, ma anche questo è un sentiero qui non percorribile.
Naturalmente non è stato possibile leggere tutte le presentazioni o recensioni del film. In quelle da me lette[7] chi se ne dice soddisfatto, chi no, chi è più essenziale, chi è più sofisticato, usando magari anche termini cinematografici tecnici. Qualcuno paragona il film a una serie di “cartoline vacanziere” nitidissime, che ritraggono una coppia e i posti da loro frequentati, coppia non giovanissima, senza figli, in profonda crisi (o, meglio, in apatia “robotica”), sbalzata per suo volere in una terra la cui lingua (sarebbe più esatto dire le cui lingue, ma questo non è evidente) per loro sono “mute” e dove la morale generale delle persone coinvolte è dormiente. Le “cartoline” (per me chiare, essenziali ed efficacissime) costruite dalla regista e dai tecnici corrispondono più o meno a numerose riprese in piano sequenza, quando il tempo filmico e quello reale si sovrappongono. Questa tecnica è stata adottata anche da Salvatore Mereu per Bentu (2022)[8]. L’avevo, a suo tempo, apprezzata nell’indimenticabile e “spietato” 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni (2007) del regista romeno Cristian Mungiu[9].
I paesaggi del film sono sì belli, mediterranei, pieni di colori e di calura, ma anche stereotipati (volutamente, a mio avviso) perché dovrebbero suggerire per contrasto e nemmeno tanto simbolicamente il vuoto di fredda (“gelida” per me è eccessivo) ed amorfa indifferenza di quelle due anime, marito e moglie polacchi. L’angoscia non è nascosta in un paesaggio indifferente, non ne è determinata, si annida invece e lievita nei due vacui cervelli di neoborghesi dell’era postcomunista. I quali per me non costituiscono “una coppia affiatata” ma semplicemente una coppia di conviventi solitari. Le due scene di congiungimento carnale sembrano tolte da un manuale per principianti zelanti, ma non c’è due senza tre, e la terza si svolge così: (lei:) “Ti va di farlo?”, (lui:) scuote la testa, nemmeno la gira verso di lei, e si copre il viso con un panno, tanto per farsi capire con chiarezza.
Il mare mediterrano in generale, sardo nella fattispecie, per loro non è “ipnotico”; se lo fosse stato avrebbero da subito affittato una villa (che è normale e non “lussuosa”) in riva al mare e non su una collina, con piscina annessa (poi risultata vuota a causa della siccità, ma a loro importa poco, esigono il dovuto). E quindi scendono al mare bellissimo per necessità, non per scelta.
Alcuni recensori menzionano il “silenzio”, i “silenzi” del film che creerebbero una “eccessiva vacuità”. Che i protagonisti parlino poco tra di loro (in polacco: il film è sottotitolato), è evidente, anche perché non hanno molto da dirsi. I due sono inerti ed indifferenti, verso la loro propria vita come lo sono verso la morte. Si usa anche l’inglese, nel film, i due protagonisti lo parlano molto bene, gli italo-sardi ospitanti, e quelli indaganti sulla morte di un operaio extracomunitario (un bel ragazzo bruno), così-così. Ma è ancor più evidente e percepibile l’assenza della musica di sottofondo, di accompagnamento o descrittiva: tutti i suoni sono prodotti dalle persone e dall’ambiente, e in un momenti critico interviene anche il tuono (la mente perfetta del poema gnostico greco-copto).
E proprio per merito di tutti i dettagli sopra enumerati, nonché per la concatenazione di tanti altri ancora, il concept (equivalente alle idee essenziali da dove nasce il film) è pienamente realizzato e non abortito, come insinua qualcuno poiché sarebbe la “ridondanza estetica” ad assumere il predominio e non il pieno sfruttamento del progetto iniziale. Infatti per qualcun altro si tratta invece di un “ottimo esordio della cineasta polacca”. Ma di sardo c’è poco nel film; oltre all’ambientazione si intravvede una cicìa in un ristorante, si balla una specia di ballo tondo, e forse è presente anche qualche altro elemento che non ricordo più.
Punto due: dopo le prime decine di minuti, ma soprattutto dopo la morte per incidente del giovane operaio arabo, per me la storia che si andava svolgendo non risultava affatto nuova. In un ambiente geografico sardo, tra monte e mare, si stava consumando una silenziosa tragedia di coppia formata da alti belli e biondi nordici (qua slavi), per la cui colposa indifferenza il giovane extracomunitario muore, ma forse è lasciato morire anche per una inconfessata gelosia del marito che non sopporterebbe l’intruso. Il quale però si insinuerà successivamente nella loro esistenza (ovvero nella loro coscienza) come un fantasma che mai più scomparirà. Perciò i due diventano indissolubilmente tre.
Queste vicende mi hanno fatto subito venire in mente un romanzo scritto in francese dall’importante scrittore romeno Petru Dumitriu (1924-2002), che si intitola Le sourire sarde; pubblicato in Francia nel 1967 da Seuil, nel periodo in cui si diffonde oltre le frontiere la fama della Costa Smeralda; tradotto in italiano ottimamente da Giulio Concu per Il Maestrale (2012, con una postfazione di chi scrive[10]). Il titolo Il sorriso sardo si rifà ad un episodio di un romanzo poco noto (del 1842) di Honoré de Balzac, che Dumitriu stimava profondamente.
Anche in questo romanzo franco-romeno agisce una coppia di alti belli e biondi nordici, svedesi, che insieme con il loro unico figlio si insediano per parecchi anni in Sardegna e non solo per le vacanze, in una modesta casa situata in alto, non lontano da un nuraghe, da dove una lunghissima gradinata porta giù al mare (mentre la scalinata interna alle mura del nuraghe conduce ancor più in alto). L’intero paesaggio, ogni suo dettaglio, sono altamente evocativi e simbolici. Il bel figlio della coppia svedese, crescendo e maturando, si trasforma durante l’adolescenza nell’oggetto di attenzioni malate o piuttosto egoistiche da parte della madre, il che scatena la gelosia e poi la furia omicida del padre, diventato inutile e messo da parte, gradatamente, come studioso archeologo, marito e genitore. Questa triade di persone colte e ricche che si autodistrugge in Sardegna si rispecchia abbastanza fedelmente nella triade molto meno violenta, nel suo insieme, del film polacco; al figlio subentra, per ragioni di xenofobia silente e implicita, un immigrato magrebino altrettanto innocente, ma che non merita, nemmeno lui, nessuna compassione, per cui è abbandonato alla sua sorte mortale.
[1] In uscita ‘Silent Land’, coproduzione green girata in Sardegna.
[2] Di Daria Sienkiewicz, leggibile a https://www.filmweb.pl/reviews/recenzja-filmu-Cicha+ziemia-24358.
[3] Presentati ad esempio nella prefazione di Giulio Angioni alle Notizie della Sardegna (1773-1776) scritte dal pastore luterano tedesco Joseph Fuos (Nuoro, Ilisso, 2000); oppure da Francesco Casula ne I viaggiatori italiani e stranieri in Sardegna (Quartu, Alfa editrice, 2015; la prefazione è leggibile qui: https://truncare.myblog.it/2015/03/02/i-viaggiatori-italiani-stranieri-sardegna-francesco-casula-alfa-editrice-quartu-2015prefazione/; recensione del nov. 2015 di Bastiana Madau a https://www.manifestosardo.org/i-viaggiatori-italiani-e-stranieri-in-sardegna/).
[4] Se ne parlerà nella parte finale, in relazione al romanzo Il sorriso sardo dello scrittore romeno Petru Dumitriu (1924-2002).
[5] Den oförlikneliga fångenskapen, cioè “L’incomparabile prigionia”, 1931, titolo mitigato nella traduzione italiana di Aldo Brigaglia (Tema, 1998) in Interludio di Sardegna, mentre quella inglese, del 1933, è Sardinian Sideshow “Spettacolo di piazza sardo” (su questo memoriale, che è errato definire diario, si veda l’articolo di Laura Candiani a https://www.dols.it/2016/02/18/amelie-posse-brazdova/; di Roberto Barbieri – 2016 – a https://www.storiedialghero.it/amelie-ed-oki-turisti-per-caso/; inoltre http://www.carlofigari.it/wp-content/uploads/2019/01/06-10-15SPC12IN.pdf, https://incoghina-sassari.blogautore.repubblica.it/2019/08/02/movida-letteratura-e-cucina/, https://www.calameo.com/read/00469906668aaf9a5800a).
[6] Comprese le vicende raccontate e rappresentate nei film che vengono diffusi nel mondo; si veda la III parte (Cinema e fumetto) del volume collettivo Creazioni identitarie. Arte, cinema e musica in Sardegna dal secondo dopoguerra a oggi. Studi e testimonianze, Nuoro, Il Maestrale, 2022, 509 pp. più ill. Al novero dei film va aggiunto il recente La terra delle donne, 2023, per la regia di Marisa Vallone.
[7]. Elenco in ordine casuale: https://movieplayer.it/articoli/silent-land-recensione-film_30044; https://hotcorn.com/it/film/news/silent-land-recensione-film-aga-woszczynska/; https://www.spettacolo.eu/silent-land-recensione/; https://www.taxidrivers.it/292890/festival/biografilm/biografilm-2023-silent-land-di-aga-woszczynska.html (riporta soprattutto una intervista con la regista); https://www.filmweb.pl/reviews/recenzja-filmu-Cicha+ziemia-24358.
[8] Liberamente tratto da un racconto di Antonio Cossu; https://www.raicultura.it/cinema/articoli/2022/08/Bentu-di-Salvatore-Mereu-452231a1-f365-4efd-b32e-76e7cafa9d2b.html.
[9] Palma d’Oro a Cannes nel 2008; https://www.mymovies.it/film/2007/4mesi3settimanee2giorni/rassegnastampa/212183/; mia presentazione riprodotta qui: https://people.unica.it/mlorinczi/files/2008/01/mungiu.pdf.
[10] Leggibile qui: https://people.unica.it/mlorinczi/files/2012/06/Dumitriu-Orizzonti.pdf. Romanzo e sua traduzione purtroppo non hanno potuto godere della diffusione di cui sarebbero stati pienamente meritevoli.