Cinque domande

16 Maggio 2011

Alfonso Stiglitz

Il 25 marzo scorso un gruppo di ventisette intellettuali riuniti a Seneghe ha prodotto un documento contenente cinque domande per i sardi. La scelta, fatta in preparazione del 28 aprile, Sa die de sa Sardigna, festa un po’ in ribasso dei Sardi, non è casuale ma dichiaratamente rivolta, alle cinque domande che nel 1793 gli Stamenti rivolsero al Re e che furono l’incipit della rivolta, legata al nome di Giovanni Maria Angioy. Le domande sono importanti e centrano i problemi nei quali la Sardegna si trova ad affondare. Giustamente i firmatari pongono in primo luogo la constatazione del tramonto della vertenzialità, ed è questa forse la maggiore differenza con le domande di allora; un tramonto che è figlio del fallimento dell’Autonomia e dell’illusione, nobile, di quella stagione di intenso dibattito, non molto distante dal fallimento di quell’altra, angioina, che tutto sommato continuiamo a sentire vicina, certamente più delle lontane vicende giudicali o di quelle nuragiche ancora più remote, anche se parte integrante delle nostre identità.
Così come la constatazione che la crisi sarda è in primo luogo “culturale e di forza progettuale”; non c’è dubbio, infatti, che la classe politica nostrana, a tutti i livelli, compreso chi si muove nella società al di fuori dei raggruppamenti politici, trova una forte difficoltà nell’individuare i problemi e proporre idee forti che possano creare una nuova stagione di idee.
Basta pensare alla sostanziale assenza dei sardi sul tema del federalismo, per il quale potremmo stare sulle “spalle di giganti” e che, invece, ci trova impreparati o, peggio, indifferenti.Ma è sulla quarta domanda che voglio soffermarmi, quella sugli intellettuali, non solo perché è quella che per mestiere mi riguarda da vicino, ma anche perché se la crisi sarda è in primo luogo culturale, gli intellettuali ne sono lo specchio. E in questo caso la visione che viene dall’impostazione della domanda mi pare un po’ debole, ricalcando la vecchia divisione città-campagna per arrivare a un panintellettualismo per il quale ogni prodotto materiale è di per sé un prodotto culturale. Il che è vero, ma non è altrettanto vero che ogni ruolo svolto è nella società un ruolo di intellettuale.
Nell’insieme della domanda, infatti, la visione è quella dell’intellettuale che usa gli strumenti di comunicazione da una parte e l’artigiano che usa quelli materiali dall’altra, l’intellettuale di città versus quello di campagna (entità francamente inafferrabili), accademia versus competenze diffuse. Mi sembra significativo che da tutto questo scompaiano le strutture culturali, verso le quali gli intellettuali sono un po’ distratti, se non indifferenti o addirittura ostili. Penso ai luoghi della cultura diffusi in tutti i nostri paesi e città, biblioteche, musei, archivi, che danno lavoro a oltre 800 persone e che in quella domanda sono inesistenti. Sono fastidiose per il potere quelle strutture perché non diffondono la cultura dall’alto della cattedra, urbana o rurale, come spesso l’intellettuale è portato a fare, ma mettono a disposizione informazioni che i cittadini, non il popolo, in quanto persone pensanti possono usare come meglio ritengono, senza necessità di guida obbligata. Oggi le informazioni non sono più appannaggio esclusivo di un ”Intellettuale”, dotato di ampia biblioteca casalinga, in borghi di analfabeti come era un tempo nei nostri paesi e città.
Non a caso le giunte regionali le hanno mantenute sempre a livello di sopravvivenza, salvo estemporanei interventi, magari volti a normalizzare la situazione. Per non dire, ma solo un accenno, perché meriterebbe da solo un intervento, il problema dell’occupazione in campo culturale, oggi forse una delle situazioni in assoluto più drammatiche.
Scorrerndo l’elenco dei firmatari si nota l’assenza di operatori culturali del territorio; il prodotto identitario tira in tutti gli altri campi, ma non in quello culturale. Emerge la figura di intellettuale, itinerante, staccato dal territorio di origine o di scelta, tendenzialmente cosmopolita, sebbene, non sembri paradossale, strettamente legato all’isola; ovviamente non vuole essere una critica ai presenti nel documento, semmai agli assenti.Il pessimismo di fondo, che condivido, che traspare dalle cinque domande e dalla loro presentazione dimentica la realtà dell’intensa presenza di strutture culturali capillarmente diffuse nel territorio, presidi culturali delle nostre comunità, scarsamente considerati dai nostri intellettuali mannos.
Non è senza importanza l’assenza di analisi sulla diffusione, in questi luoghi culturali, in tutto il territorio regionale, di nuove tecnologie a disposizione gratuita del cittadino, che unitamente al viaggiare dei libri tra le strutture, forniscono informazioni a un livello tale da modificare radicalmente il vecchio divario intellettuale città-campagna; non sembra casuale che sempre più le proposte innovative e interessanti abbiano sede nei paesi, con città spesso conformiste.
Infine il richiamo importante fatto nel documento al problema della lingua, vissuta però come Lingua Sarda e non come lingue parlate in Sardegna, tutte altrettanto integranti di un territorio ricco di identità. Ciò rischia di essere escludente verso le comunità partecipi della Sardegna, quali, ad esempio, quelle tabarchine, algheresi e così via, ripercorrendo un rapporto dominante-dominato, lingua maggioritaria-minoranze linguistiche che contestiamo nei confronti dell’Italia.In conclusione preferirei una visione che riparta dal sogno di Michelangelo Pira di un villaggio globale, che per certi versi è realizzato ma che sembra poco interessare noi intellettuali, forse perché riesce a mettere in discussione il nostro ruolo di mediatori culturali con il potere e ci lascia senza un riferimento di classe, come si osava dire un po’ schematica in altri tempi. Ripensare noi stessi è forse la migliore risposta alla domanda culturale che viene posta.

P.S.Il documento con le cinque domande è scaricabile dalla rete a questo indirizzo: http://www.senegheonline.it/wp-content/uploads/2011/04/faghimus-s-istoria.pdf

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