Circolazione di ferragosto
18 Agosto 2012manifesto sardo – circolo del manifesto Sardegna
A volte gli incontri che sembrano più complicati, sia per la data (in questo caso il 13 agosto, a Pietrasanta) che per le difficoltà nei rapporti fra parte della redazione de ‘il manifesto’, circoli e altri compagni del manifesto stesso, sono quelli che riescono meglio.
L’incontro nazionale di Pietrasanta per il futuro de ‘il manifesto’ e i suoi modelli di gestione è stato molto positivo.
Rimandiamo per i materiali alle pagine nazionali de ‘il manifesto’, che sta ora seguendo il dibattito pubblicando gli interventi dei vari circoli, e ai materiali del nuovo blog dei compagni di Bologna .
Ecco di seguito il documento da noi proposto.
Care compagne e cari compagni,
del dibattito sullo stato del Manifesto, iniziato in ritardo e subito concluso, ci ha sorpreso l’estraneità mostrata da una parte della redazione. Abbiamo avuto l’impressione che le sollecitazioni dei circoli e di tanti compagni perché si parlasse della crisi del quotidiano (e naturalmente del come superarla) siano state considerate più un intralcio che una risorsa: insomma un mettere il naso in questioni riservate.
Ma è davvero, ci siamo chiesti, così invadente o inopportuno o pericoloso aprire un dibattito sulle difficoltà che vive il quotidiano? Non sarebbe stato opportuno da subito confrontarsi tra lettori e redattori, sia sugli aspetti contingenti della crisi del giornale sia sulle questioni più generali che riguardano il futuro progetto editoriale? Perché non è stata e non viene ancora praticata questa strada? Di che si ha paura? Non vi è da parte dei compagni dei circoli – come qualcuno forse ha temuto – idea di sostituirsi alla redazione. Tradurre lo schema ‘rosso ed esperto’ significa riconoscere senza problemi l’esperto, ovvero che una redazione deve essere professionale e composta da giornalisti, e che questo vogliamo, perché il manifesto ha una tradizione apprezzata di qualità giornalistica; ma che in un quotidiano comunista il rosso qualifichi non solo una linea giornalistica quanto una modalità democratica di gestire un progetto editoriale, che si legge anche nei più complessivi assetti di proprietà e gestione.
Il giornale si arricchirebbe se si intensificassero le relazioni con i circoli e con i lettori delle varie regioni. Da loro potrebbero venire suggerimenti importanti. Del resto, ci chiediamo mai chi siano i compagni (certamente migliaia) che partecipano alle cene che organizziamo per sostenere il Manifesto e che contribuiscono al suo mantenimento: sono dei semplici gregari a cui non è dovuta alcuna spiegazione sulle scelte effettuate da chi dirige il giornale o si tratta di persone che hanno la capacità e il diritto di riflettere e decidere assieme al collettivo su ciò che deve/dovrà essere il Manifesto?
Quando nel 1970 Pintor ci presentò l’idea del Manifesto, l’accompagnò con una richiesta precisa: badate, ci disse, che questa ipotesi andrà avanti se anche da parte vostra ci sarà un coinvolgimento teso a capire meglio ciò che avviene nel nostro paese e se riuscirete a parlare di queste realtà. Non solo dunque un impegno finanziario.
Sottolineare queste cose significa essere dei passatisti, adorare la storia come un feticcio, o piuttosto difendere e rafforzare l’idea della partecipazione anche all’interno della nostra area di appartenenza? In realtà si tratta di un metodo di lavoro che non dovremmo mai accantonare. Averlo fatto invece ha ridotto la nostra esistenza, i nostri problemi, ad una questione occupazionale, importantissima come è fondamentale oggi il diritto al lavoro, ma parziale.
Proviamo perciò, in un clima diverso, meno diffidente, a recuperare il tempo perso e cercare le soluzioni per superare la crisi che rischia di travolgerci. Non siamo esperti di aspetti giuridici ma riteniamo che il primo passo da compiere sia quello di acquistare la testata (questa proposta non significa un’improvvisa conversione ai vantaggi speculativi derivanti dalla proprietà ma serve a mantenere in vita lo strumento di informazione che abbiamo faticosamente creato e difeso nel corso di questi anni); non sappiamo se la forma migliore sia quella dell’Associazione o della Cooperativa, ma non crediamo che questo sia un dilemma insormontabile: sicuramente sapremo trovare la soluzione più adeguata.
Naturalmente la nostra discussione non può fermarsi sulla forma giuridica; occorre definirla ma non basta. Dobbiamo necessariamente entrare nel merito di ciò che dovrà essere, di ciò che vorremmo che sia il piano politico editoriale: in poche parole ipotizzare il Manifesto dei prossimi anni.
Non possiamo non partire da ciò che succede nel nostro paese, o meglio da ciò che viene deciso fuori dal nostro paese perché ormai la strada per restare nell’euro è segnata. Così le decisioni più importanti che ci riguardano vengono prese a Berlino, Francoforte e Bruxelles. La nostra Costituzione e la democrazia non hanno più il valore originario; il diritto al lavoro pure: vengono eliminate le tutele, alimentate nuove forme di precarietà, ridotte le pensioni; lo stato sociale va verso l’estinzione. Nel frattempo vengono svenduti i beni dello Stato ma non si toccano i patrimoni di quel 10% della popolazione che detiene il 50% della ricchezza. Si potrebbe parlare a lungo della crisi ma queste poche affermazioni sono sufficienti per intenderci.
Tutte le formazioni di sinistra, politiche e sindacali, sono paralizzate. O balbettano o sono complici, volontari o no poco importa, del neoliberismo.
Il Manifesto deve parlare di più di queste cose, deve farlo con maggiore spirito critico, deve aprire dei varchi nel sistema perverso dell’informazione che si presenta sempre più come uno strumento efficacissimo delle politiche neoliberiste, un vero megafono in mano al potere. Dobbiamo mettere in evidenza con più precisione, con più insistenza, come ricorda Luciano Gallino, l’intreccio tra lobbies e personale politico: le prime che finanziano le campagne elettorali del personale politico ottenendo in cambio ciò che servirà alla loro crescita. Al tempo stesso dobbiamo denunciare l’alleanza tra top manager, industriali, banchieri, politici e accademici, sottolineando come le università siano diventate centri di elaborazione ideologica funzionale al mantenimento e rafforzamento delle scelte neoliberiste.
Questi indicati sono solo pochi esempi ma importanti; lavorare su queste questioni significa applicare il metodo dell’inchiesta, più impegnativo e più costoso ma anche più qualificante.
Pensiamo inoltre, come sostiene Marco Revelli, che dovremmo prestare maggiore attenzione ad una politica economica, fondata sui processi di riorganizzazione capillare del sistema produttivo intorno a una generale messa in sicurezza delle nostre vite e del nostro ambiente di cui scrive Guido Viale.
Ma su questo punto dovrebbero essere soprattutto le realtà locali del Manifesto ad elaborare i percorsi della politica economica diversa e funzionale ai bisogni delle popolazioni locali.
Infine, una riflessione che contiene una proposta generale.
– La qualità informativa che appartiene alla storia del manifesto, contemporaneamente strumento di conoscenza e strumento di servizio per la sinistra, per essere adeguata al panorama politico e sociale corrente crediamo debba superare spazi ristretti ed esclusivamente nazionali.
– Lo scenario nel quale ci muoviamo è, come mai fino ad ora successo, condizionato da logiche di area vasta, planetaria. Nello stesso tempo i temi sui quali la sinistra può operare, e già in alcuni casi agisce, sono grandi temi condivisi come il lavoro, l’ambiente, i diritti civili, i beni comuni e i soggetti ad essi legati.
– L’unica esperienza di quotidiano di tradizione comunista e nello stesso tempo non di partito in Europa e forse nel mondo merita non solo e non tanto di essere salvata, ma soprattutto di essere proposta come strumento cognitivo e comunicativo in dimensione transnazionale.
– Noi crediamo che la discussione debba superare gli attuali confini e gli attuali soggetti, pur inclusi in forme da definire (e, a nostro parere, con il coinvolgimento della rete di circoli, sostenitori di varie realtà associate, lettori singoli): proponiamo che venga presa in considerazione la possibilità di coinvolgere soggetti singoli e associativi europei e mondiali, costruendo una rete di sostegno e anche una proprietà non nazionale, magari supportata e costituita, fra i ‘soci sostenitori’, da grandi nomi della cultura e dello spettacolo, che abbiamo visto in vari modi mobilitati nel sostegno mediatico esplicito al giornale.
Care compagne e cari compagni, considerate queste riflessioni come suggerimenti che per ragioni di tempo abbiamo espresso in modo schematico.