Colonie e ‘quartieri’. Colloquio con Jeff Harper
1 Gennaio 2010Alice Sassu
Non più il solito tragitto. Per arrivare a Gerusalemme da Betlemme si era soliti prendere il bus numero 21 che conduceva alla città, ma da un mese a questa parte i militari non permettono più agli internazionali di attraversare il chekpoint e, dunque, di giungere a destinazione. La motivazione ci è oscura, dicono: “ordini dall’alto”. Ora si può varcare il muro solo prendendo un taxi che conduce ad un altro checkpoint, quello di Gilo, che si attraversa a piedi, e poi si prende un bus che conduce dentro Gerusalemme. La sede dell’ICAHD (Comitato israeliano contro la demolizione delle case http://www.icahd.org/eng/) si trova al centro della città, ed è là che dobbiamo incontrare Jeff Halper. Lui è un docente di antropologia, ebreo israeliano, che nel 1997 fonda l’ICAHD, associazione che lotta contro l’occupazione in Palestina e contro la demolizione delle case palestinesi a Gerusalemme est. L’ICAHD offre aiuti economici alle famiglie e pratica quotidiana disobbedienza civile contro il proprio governo. Halper è stato in carcere almeno una decina di volte, dicono di lui che ogni qual volta famiglie palestinesi hanno bisogno di sostegno per improvvisi tentativi di demolizione, lui si precipiti, incatenandosi ai cancelli delle loro case. È chiarissima la sua idea sul processo strategico di pianificazione, costruzione, e diffusione delle colonie nei territori occupati e così ci racconta: “Israele dice che non ci sono frontiere e che la linea verde non è ufficiale. È per questo che le colonie vengono considerate dentro il territorio israeliano. Non essendosi risolto il conflitto e non essendoci lo stato palestinese, non ci sono frontiere e non c’è occupazione. Per Israele, quelle costruite nei territori occupati non sono colonie, ma quartieri. Perché ufficialmente non si parla di territori occupati, ma di territori amministrati”. La linea verde che, secondo l’armistizio del ‘49, delimitava il confine tra Israele e Cisgiordania, non solo è stata ampiamente varcata, ma Israele ha anche provveduto a colonizzare i territori palestinesi occupati, andando così contro svariate leggi internazionali. Se tra gli anni sessanta e settanta i coloni ebrei in Palestina ammontavano a circa 35.000, nel 2006 sono arrivati a 526.894, di cui circa solo 72.000 vivono nella zona adiacente alla linea verde. Le terre vengono confiscate alle famiglie palestinesi secondo tecniche pseudo legali: o per scopi militari, o attraverso il ripristino della legge ottomana secondo la quale la terra non ufficialmente registrata o incolta per un certo periodo, diventa proprietà dello stato. Una volta espropriate le terre, il governo presenta un piano regolatore urbano della zona e costruisce appartamenti da rivendere ai coloni ebrei. Le colonie vengono finanziate dallo stato e sui finanziamenti prendono decisioni diversi ministeri, ma per quel che concerne la confisca delle terre e l’approvazione dei piani è tutto più articolato. Accade che a volte l’iniziativa è del governo e altre volte è degli stessi coloni, perché: “dove il governo non vuole dare l’immagine agli americani e agli europei che stanno facendo una cosa illegale, allora dicono ai coloni: finanziate il piano regolatore e presentatelo voi, perché poi l’amministrazione alla fine l’approverà”. Questo succede sia a Gerusalemme est, sia nei territori occupati della Palestina. È interessante sottolineare che, contrariamente a quanto si pensi, i coloni non sono solamente dei fondamentalisti sionisti, i cosiddetti “ideologici”, infatti la maggioranza dei coloni è di tipo “economico”, spinta a colonizzare dagli incentivi e dalle sovvenzioni offerte dal governo. “Ci sono mezzo milione di coloni. L’85% dei coloni è di tipo economico e non sa nulla dell’occupazione: vive dentro la grande colonia, come Male Adumin, perché Israele ha costruito per loro delle case economiche. Poi c’è un 15% di coloni ideologici, che saranno circa 70.000 mila persone”. I coloni ideologici sono però molto forti politicamente e sono da sempre supportati da partiti di estrema destra, come il Likud. Nello specifico “gli ideologici” non sono gli ebrei ortodossi (detti mizrahi), ma ebrei occidentali provenienti soprattutto dagli Stati Uniti (chiamati ashkenazi). Non essendoci un numero elevato di coloni ideologici, ovvero militanti della causa sionista, intenti a “conquistare la terra promessa fino al fiume Giordano”, la strategia israeliana è prevalentemente quella di costruire le colonie e offrirle al mercato degli Stati Uniti, sotto forma di abitazioni economiche dove costruirsi una nuova vita. Quando Halper parla dei coloni economici mostra come in verità siano proprio le leggi israeliane e i piani governativi ad incentivare gli insediamenti, e dice: “è il governo che vuole il piano. Il problema è che in Israele non ci sono case per essere affittate, devi comprare la casa. Ed è il governo che decide dove devi costruire. Tu puoi presentare un piano di costruzione al governo, però è lui che decide dove costruire. Negli ultimi 30 anni, quasi tutti i piani di costruzione sono stati approvati in Cisgiordania”. Gli insediamenti sono diversi tra loro: vanno da vere e proprie città, come Ma’ale Adumin o Ariel, con una popolazione di circa 30.000 abitanti, a piccoli insediamenti anche con meno di 1.000 abitanti. Tuttavia, la costruzione delle colonie non avviene solo nelle zone più esterne rispetto alle città palestinesi, ma anche nei centri abitati, come ad Hebron dove circa 400-500 coloni sono “protetti” da 4.000 soldati in una città di circa 150.000 palestinesi. In una recente visita ad Hebron, un piccolo commerciante che ha una bottega adiacente alla zona centrale militarizzata da Israele, ci racconta che il governo ha offerto circa un milione di dollari per la sua casa (che in effetti è molto grande), ma lui non ha accettato, dice di resistere, perché quella è la sua terra e a lui basta dormire nella sua terra, mangiare un po’ di pane e stare con la sua famiglia. Anche se teme che la casa gli venga espropriata. Halper, gioca con la nipotina che disegna con le matite colorate e nel frattempo ci parla di tre tipi di colonie: le colonie principali come Ma’ale Adumin, le colonie ideologiche come Tapua, e gli aut-post. “Questa settimana Netanjiau ha portato al parlamento israeliano un piano per decidere a quale colonia dare maggiori finanziamenti. Hanno deciso di dare la priorità a quelle colonie fuori dai blocchi delle grandi colonie, e quindi ora è tutto molto più complesso”. Gli aut-post, sono dei piccoli insediamenti, che rappresentano quella tipologia di colonia considerata ufficialmente “illegale”. Questi sono creati da coloni ideologici, dunque, civili fondamentalisti sempre armati fino al collo. Quando il governo israeliano riceve delle pressioni internazioni per la soppressione di un certo numero di colonie nella terra palestinese, la strategia del governo è quella di smantellare questi piccoli insediamenti e di trasferire però la popolazione in altre colonie più grandi. Queste ultime, infatti, nonostante siano quelle più invadenti, non vengono menzionate dalla comunità internazionale, perciò le colonie diventano sempre più grandi e la strategia del governo prosegue senza nessun intoppo. Salutiamo Halper e salutiamo la sua bella nipotina che passava il suo tempo a disegnare con matite e colori. La piccola ci mostra uno dei suoi disegni: una bandiera israeliana. “Questo è il sionismo”, esclama Jeff Halper, “lo insegnano dalle elementari”.
1 Maggio 2016 alle 04:56
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