Come combattere il ‘Postumanesimo’
1 Giugno 2017Ottavio Olita
“Postindustriale? Peggio, molto peggio. La realtà sociale, culturale, politica nella quale viviamo è di pieno ‘Postumanesimo’ e le vittime sacrificali sono i più giovani“.
L’allarme, angosciato e angosciante, lo ha lanciato un vescovo, monsignor Francesco Savino, che da due anni guida la diocesi di Cassano allo Jonio, in un convegno che si è svolto a Rende, nell’area dell’Università di Arcavacata, per iniziativa dell’amministrazione comunale della cittadina che sorge alle porte di Cosenza e del Comune di Cassano allo Jonio, dell’associazione culturale Irfea, della sezione calabrese dell’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia e del Rotary Club, dal titolo ‘La scuola per gli esclusi’.
La lacerazione dei rapporti umani, l’esclusione dei giovani da una vita collettiva degna di essere vissuta, il rinchiudersi sempre più preoccupante dei ragazzi nel loro isolamento fatto di computer, telefonini, social network sta cancellando quel tessuto di rapporti umani che si è sempre retto sull’incontro, sulla discussione, sul confronto guardandosi negli occhi. Scambi fondamentali per le relazioni anche fra genitori e figli, fra fratelli, fra ragazzi che ora arrivano a dare a Facebook anche il ruolo di sede per lo scambio di affettività.
In un quadro così desolante, quale deve essere il ruolo degli educatori? Dirigenti scolastici, professori, presidi si sono confrontati nella piena coscienza che si sta correndo un gravissimo rischio: quello del progressivo abbandono della scuola, con livelli di dispersione scolastica che raggiungono picchi pericolosi in tutto il sud Italia e nelle isole, in particolare in Sardegna.
E dalla Sardegna è giunta nel convegno un’altra forte denuncia, quella di don Ettore Cannavera, fondatore e instancabile animatore della comunità d’accoglienza ‘La Collina’ di Serdiana.
“Il carcere, in particolare per i minori, è la negazione dell’articolo 27 della Costituzione che attribuisce alla pena un’unica funzione, quella del recupero del reo, senza alcun riferimento a carceri o detenzioni”.
Come si può pensare che un minorenne possa essere recuperato se viene allontanato dagli affetti, dalla sua quotidianità, dalla sua intensa vita di relazione? E soprattutto: a cosa gli servirà condividere cella e spazi con quanti hanno già avuto una concreta storia criminale? Sì, perché nelle carceri minorili vengono reclusi giovani dai 14 fino ai 25 anni d’età.
Le statistiche dimostrano che il 70 per cento dei minori reclusi torna a delinquere. Occorrono quindi misure alternative che spingano i ragazzi ad una nuova responsabilità, in comunità d’accoglienza nelle quali farli lavorare, relazionare, recuperare la propria umanità sotto guide autorevoli che dettino regole comportamentali certe.
Coinvolgimento, partecipazione: queste le parole-guida per un’azione positiva e concreta che restituisca ai giovani presenze e ruoli che ogni giorno vengono loro negati. E non soltanto per le spaventose cifre della disoccupazione – tanto più alta proprio a danno di quanti dovrebbero invece cominciare a costruirsi un futuro – ma anche come prima esperienza di apertura al mondo e alle sue complessità.
E su questo punto è stata fondamentale – per capire quante forme possibili d’intervento si possono realizzare – la testimonianza sull’esperienza della Scuola popolare di Is Mirrionis che operò a Cagliari dal 1971 al 1975, esperienza raccontata nel libro “Lo studio restituito agli esclusi” edito da ‘La collina’. Studenti all’incirca ventenni che si misero a disposizione di decine e decine di adulti scacciati o allontanatisi dalla scuola prima del conseguimento della Licenza Elementare o Media, fondamentale, allora, anche per poter lavorare o per migliorare la propria condizione. Risultati esaltanti, sia per chi faceva il ‘docente’ sia per chi seguiva i corsi da ‘discente’.
Irripetibile, oggi, quell’esperienza è però servita a dare un’indicazione, anche agli amministratori comunali presenti, sulla possibile utilizzazione dei giovani in azioni di supporto per la lotta alla dispersione scolastica o anche per dare un senso e una finalità all’accoglienza degli immigrati favorendone l’istruzione, dall’apprendimento della lingua ad approfondimenti di conoscenza della storia, della cultura, della geografia, delle tradizioni, dell’enogastronomia dei comuni che li ospitano.
Il convegno di Rende è servito a lanciare un bel masso pesante nello stagno dell’ignavia. Le onde circolari che da quel lancio si sono ingenerate possono portare a significativi risultati.
Questa è stata la speranza e l’impegno di quanti hanno contribuito al successo dell’iniziativa.