Come si fermano le guerre?
7 Febbraio 2025[Roberto Mirasola]
Pubblichiamo l’intervento introduttivo di Roberto Mirasola di Sinistra Futura all’assemblea del 7 febbraio nella Fondazione Berlinguer a Cagliari con Moni Ovadia che ha presentato la campagna nazionale “Centomila No Alle Guerre”, iniziativa organizzata da CGIL, Sinistra Futura, ARCI, ANPI, Theandric e Il Manifesto Sardo, con il supporto di Orizzonte Sinistra e Coraggio della Pace.
I tanti scenari di guerra presenti nel mondo con una prospettiva di una folle corsa al riarmo ci esortano ad affermare le ragioni della pace oggi perlopiù dimenticate. A fronte dei tanti, troppi, possiamo dire che tre anni di guerra in Ucraina hanno reso il mondo, un luogo ancora più pericoloso. I teatri di guerra sono aumentati e non diminuiti. Oggi si vuole convincere la popolazione europea di essere in pericolo, che il nemico è ormai ai confini dell’U.E. ed è dunque necessario porre al centro del dibattito politico la sicurezza con una necessaria spesa per incrementare gli armamenti.
Ovviamente non si dice che tale riarmo è a discapito della spesa sociale e che dunque la sanità, la scuola, gli ammortizzatori sociali saranno abbandonati a loro stessi. Predomina sempre più la logica del profitto e sgomita per farsi strada l’economia di guerra con le banche impegnate a incrementare i loro guadagni e a finanziare le grandi aziende produttrici di armi.
Possiamo accettare questa come prospettiva? NO. Il continuo armamento dell’Ucraina non ha portato una pacificazione in quell’area e il numero dei morti aumenta sempre di più. L’Europa non ha saputo risolvere le sue contraddizioni interne dimostrandosi incapace di esercitare quello che avrebbe dovuto essere il suo ruolo di pacificatore. Oggi predominano i vecchi problemi di Polonia e paesi baltici con la Russia, ma l’U.E. non può essere trascinata in un pericoloso Risiko.
Si sarebbe dovuto portare sin dall’inizio Russia e Ucraina in un tavolo di pace, la diplomazia avrebbe dovuto agire per porre fine a una pericolosa guerra che ha portato con sé un incremento dei costi energetici che a oggi non hanno trovato soluzione. È ancora la borsa di Amsterdam a dettare i prezzi il più delle volte con criteri speculativi. Dobbiamo dire che gli Stati Uniti si sono avvantaggiati da queste scelte, gli stessi che vogliono scatenare l’ennesima guerra commerciale imponendo i dazi alle importazioni.
Dicevo che i conflitti anziché diminuire in questi tre anni sono aumentati e, infatti, vi è stato un triste 7 ottobre 2023 che ha avuto come conseguenza un genocidio a Gaza. Utilizzo questo termine a malincuore ma sento il dovere di rievocare l’accusa fatta dal Sud Africa che ha portato la Corte Internazionale di Giustizia a imporre a Israele sei misure cautelari, tra cui l’obbligo per Israele di astenersi da atti contemplati dalla Convenzione sul genocidio.
Fatta questa affermazione, sento il dovere di ribadire la vicinanza al mondo ebraico della diaspora che tanto ha sofferto e che niente ha a che vedere con le scelte del governo Netanyahu. Abbiamo il dovere di distinguere senza confondere le responsabilità. Così come dobbiamo ricordare le tante voci che in Israele sono per la pace: Gideon Levy, Amira Hass, Ilan Papè sono solo un esempio.
La tregua, infine, si è raggiunta ma a che prezzo. Si parla di 70/80 mila vittime. Io credo che nessuna delle parti in causa possa parlare di vittoria di fronte a questa mattanza, né Hamas né tantomeno Israele. Tuttavia, nessuno lavora seriamente a una pace giusta ma anzi si avanzano delle proposte improponibili, come l’idea che i Gazawi debbano essere ospitati da paesi confinanti come l’Egitto o la Giordania. La pace in Palestina è una priorità per l’equilibrio del Medio Oriente. Lo si è visto in Siria dove l’azzeramento nelle file di Hezbollah e Hamas ha portato al crollo del regime di Bashar Al Assad nel giro di dieci giorni, con la conseguenza di uno sconfinamento difensivo di Israele nelle alture del Golan. Per non parlare della vecchia idea di Israele di risolvere una volta per tutte i suoi problemi con l’Iran.
Le prospettive non sono certo rosee, come detto, si parla di incrementare gli armamenti per un 2% del PIL che Trump vorrebbe portare al 5%. I tamburi di guerra rimbombano sempre di più e il motivo è al tempo stesso semplice ma di difficile soluzione. Non utilizzo facilmente il termine occidente perché ritengo che vi siano all’interno di questa idea delle differenze sostanziali tra il mondo anglosassone e la vecchia Europa continentale figlia dell’impero Carolingio stanca delle tante guerre combattute al suo interno.
Ad ogni modo questa parte di mondo non accetta i cambiamenti avvenuti, non accetta che parte del pianeta voglia partecipare giustamente alla distribuzione della ricchezza, non accetta i BRICS e non vuole rimettere in discussione gli accordi nati all’indomani dalla fine della Seconda guerra mondiale. In realtà abbiamo bisogno di nuovi accordi e di nuove Istituzioni mondiali che possano garantire un nuovo equilibrio mondiale e di conseguenza una pace duratura. Per fare questo è necessario che si percorra strada la costruzione di un pensiero di pace che oggi è politicamente debole ma che ha un forte consenso nelle popolazioni stanche della guerra.
Molti penseranno in questa sala che queste tematiche sono lontane da noi che invece abbiamo ben altri problemi quali sanità, disoccupazione, inflazione e via dicendo. Noi siamo convinti che la guerra sia più vicina di quanto si pensi e dobbiamo portarla al centro del dibattito politico. Cagliari si accorse della guerra tre anni dopo l’inizio del conflitto e il risveglio sotto le bombe del febbraio 43 fu brusco e doloroso. Il passato dovrebbe essere per noi un monito da non sottovalutare.
Sinistra Futura è particolarmente attenta a queste tematiche ed è preoccupata da alcune voci che circolano in ambienti ristretti. Ad esempio, sembrerebbe che vi sarà una ripresa delle esercitazioni militari nei poligoni per testare nuove armi da utilizzare in contesti di guerra, così come sembrerebbe che le tante servitù militari presenti in città non saranno dismesse così come si credeva.
L’idea della guerra fa capolino pure da noi. Non è, dunque, un problema lontano se pensiamo che ospitiamo il 65% delle servitù militari italiane. Ecco per noi il problema è centrale e intendiamo affrontarlo perché crediamo in un’isola della pace con Cagliari che si affaccia nel Mediterraneo per accogliere i popoli e certamente non vogliamo un’isola armata sino ai denti per combattere guerre che non vogliamo.