Compagno T. Lettere a un comunista sardo
1 Luglio 2017Francesco Casula
Prima di entrare, per così dire, in medias res, ovvero nel merito del pamflet storico-politico di Cristiano Sabino, due rapide osservazioni sul versante più specificatamente formale:
- L’autore utilizza la forma epistolare. Come genere letterario mi è sempre piaciuto, sia per confezionare romanzi (penso a Le ultime lettere di Iacopo Ortis) sia per reportage di viaggio (ricordo Le Lettere di Honorè de Balzac, proprio a proposito di un Voyage in Sardaigne).
In questo saggio ha una funzione particolare:permette a Sabino di replicare, contestare le posizioni del destinatario delle lettere (reale o immaginario, poco importa) chiarendo e argomentando le proprie. Inoltre – pur nella continuità dei ragionamenti – “spezza” la narrazione, alleggerendola e rendendola più vivace.
- Sabino, oltre che intellettuale è anche militante e dirigente politico. Le sue analisi sono rigorose ma nel contempo appassionate. E non vi è alcuna contraddizione fra rigore e passione. Già Blaise Pascal, precursore della moderna scienza, amico di Cartesio e di Galileo, scriveva e sollecitava a scrivere con la mente ma anche con il cuore. E Michelangelo Pira, nel suo capolavoro, La rivolta dell’oggetto, analizza la Sardegna e i Sardi, non stendendoli su un tavolo di marmo, per sezionarli come fossero cadaveri, freddamente, ma con calda partecipazione e passione. Il che non sottrae niente al rigore scientifico dell’analisi sociologica, antropologica ed etnologica.
I temi e gli spunti offerti dal saggio di Sabino sono numerosi. Aleggia in più parti, con precisi riferimenti, Marx e il marxismo. Ricorda l’autore:”Marx aveva avvertito del pericolo positivistico e di ridurre tutto a questione econonomica”. Inutilmente. Il marxismo italico e occidentalista, sarà fortemente impregnato proprio di positivismo e di materialismo volgare (e non dialettico).
Sarà inoltre caratterizzato da un esasperato produttivismo, fabrichismo, operaismo. Scompare di fatto in tal modo – per stare a casa nostra – il lussiano popolo lavoratore sardo: opportunamente ricordato nella bella introduzione, da Roberto Loddo. Ad iniziare dai pastori: su cui Sabino scrive cose egregie e assolutamente condivisili.
Con l’operaismo vi sarà la sottovalutazione del Meridione: che porterà Gaetano Salvemini a polemizzare duramente con Filippo Turati e ad abbandonare il Partito socialista, accusato di “Nordismo”. Nel confronti del Meridione si arriverà fino al disprezzo e all’insulto, quasi pararazzistico: penso a Corrado Prampolini, leader socialista emiliano, secondo il quale gli italiani si dividono in Nordici e Sudici. Solo una boutade di cattivo gusto? Non credo.
Il limite maggiore del marxismo occidentalista comunque (escluso, io preciserei, l’austro marxismo) è però lo statalismo-centralismo: ben interiorizzato e metabolizzato dall’interlocutore delle Lettere, il Compagno T. Il che significa, nella versione sarda, una Sardegna ridotta a regione indissolubilmente legata allo stato tricolore, sancito e normato dall’articolo 5 della Costituzione. Per cui la Sinistra – lo ricorda Loddo nella Introduzione – considerava il mondo indipendentistico un pianeta lontano dal suo sistema solare.
Uno statalismo-centralismo escludente qualunque riconoscimento della Sardegna come minoranza nazionale ed etno-linguistica. Per la sinistra le minoranze nazionali – e dunque le lotte di liberazione – “risiedono” tutte all’estero. E sono i Kurdi, i Palestinesi. Persino i Baschi. Non i Sardi. Eppure la sinistra non nasce statalista. Il Marx più autentico e rivoluzionario sosteneva infatti che un popolo che opprime un altro popolo, non può mai essere libero. E a proposito della Questione Irlandese sosteneva che :”la vittoria della classe operaia non può risolvere la Questione Irlandese, sarà invece la soluzione della questione irlandese e favoroire o meglio, rendere possibile la vittoria della classe ooeraia inglese”.
Ma tant’è. I nipotini di Marx si sono rifugiati sotto le grandi ali stataliste e centraliste di Engels, secondo cui “il proletariato può utilizzare soltanto la forma della repubblica una e indivisibile…e non solo ha bisogno dell’accentramento com’è avviato dalla borghesia ma dovrà addirittura portarlo più avanti”. Insieme alla critica serrata e convincente del marxismo statalista Cristiano Sabino, con coraggio procede a una feroce ma felice e benvenuta autocritica “in casa propria”: nel suo mondo indipendentista. E dunque, in modo deciso, scrive che occorre smetterla con le cupole spaccate e con le segreterie e gli stati maggiori senza esercito.
Ed anche con le guerre di religione e la costruzione di chiese con sacerdoti, scomuniche, eretici, rituali, rivelazioni e testi sacri. Nella strategia della riflessione dell’autore rimane ben saldo l’obiettivo dello stato sardo. Ma precisa: uno stato come federazioni di comunità libere e svincolate da un centro metropolitano e burocratico. Sulla scia della elaborazione, lucida e profonda, di Eliseo Spiga. Per dire che lo stato sardo deve essere il più dissimile possibile dallo stato borghese moderno:accentrato e centralista, autoritario e burocratico. Ed antisociale.
Il saggio di Sabino, essenzialmente politico-culturale ma con abbondanti e diffuse escursioni e scorribande sul versante della storia sarda, a mio parere del tutto condivisibili (dalla sconfitta di Giovanni Maria Angioy alla rivolta di Palabanda e alla Fusione Pergfetta), lo possiamo considerare come un Manifesto politico-culturale, il contributo per un progetto e un processo di costruzione di un vasto, variegato e plurale Movimento di liberazione nazionale e sociale: perché questo è oggi all’ordine del giorno. Hic Rhodus, hic salta. Il resto è dettaglio secondario.
Ma che fare? Ite faghimus? Sabino ci offre una preziosa indicazione, con un afflatto letterario e finanche lacerti lirici:”Le idee nuove, prima di potersi imporre all’attenzione generale devono crescere, prendere coraggio, sedimentare silenziosamente negli anfratti delle coscienze e poi, come un falco che spicchi il volo per la prima volta, librarsi nel cielo pulito della Storia, attirando l’attenzione di tutti”.