Compari
22 Ottobre 2009Marco Ligas
“È necessario che lo Stato riconosca la questione sarda legata all’arretratezza delle infrastrutture e dei servizi ed al ritardo nello sviluppo, imputabili alle condizioni di insularità, creando un ponte costituzionale per restituire alla Sardegna la differenza del gap rispetto alla media nazionale in termini economici e di abbattimento dei costi per i collegamenti“.
Questa affermazione l’ha fatta Cappellacci quando ha presentato il ‘nuovo patto istituzionale’ nel corso della campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio Regionale.
Se la esaminiamo attentamente non possiamo dire che in essa non siano presenti obbiettivi o constatazioni importanti: la richiesta, nei confronti dello Stato, del riconoscimento della marginalità della nostra isola; la sottolineatura della debolezza delle infrastrutture e dei servizi; la consapevolezza del ritardo nello sviluppo economico e sociale della Sardegna, la necessità di un abbattimento dei costi dei collegamenti con la penisola.
Semmai va rilevato come queste rivendicazioni siano antiche e ambivalenti: non c’è stata Giunta nella storia dell’Autonomia che non le abbia fatte. Il più delle volte sono state usate dai partiti che governavano la Regione nel tentativo di legittimare una capacità contestativa più apparente che reale nei confronti dello Stato; tanto è vero che questa carica contestativa diventava evanescente in quanto i leaders nazionali degli stessi partiti che governavano la regione non mostravano alcun interesse per le rivendicazioni autonomistiche.
Il fatto è che l’Autonomia della Sardegna non è mai stata sorretta da una legislazione e da un convincimento politico che consentissero la nascita di strutture capaci di dar vita ad iniziative locali di trasformazione e di progresso economico e sociale. Mancando queste condizioni il nostro istituto autonomistico si è trasformato in un apparato oneroso e inutile provocando in larghi strati della popolazione, e soprattutto nei partiti, un falso unanimismo. Queste preoccupazioni le aveva espresse già Renzo Laconi agli esordi dell’Autonomia regionale. Laconi manifestava i suoi timori più che sul terreno legislativo (della qualità della legge) su quello proprio della politica, ovvero della volontà dei partiti di rispettare le indicazioni presenti nello Statuto, scaturite dalle lotte popolari sviluppatesi nell’immediato dopoguerra.
Oggi, a distanza di 60 anni dalla nascita dell’Autonomia, affrontiamo ancora problemi analoghi a quelli del passato con una differenza non secondaria che appesantisce il quadro politico regionale: la presenza di una classe dirigente più incline al trasformismo, che intreccia con arroganza, quasi con spavalderia, gli interessi pubblici a quelli privati. Dispone della quasi totalità degli strumenti di comunicazione e usa la crisi economica non per recuperare i ritardi dello sviluppo ma per consolidare gli interessi degli strati sociali legati al capitalismo più conservatore, quello che, in regioni come la nostra, crea ancora rapporti comparatici.
Le dichiarazioni programmatiche di Cappellacci sono il contrario di quello che fa, è sufficiente vedere la loro traduzione nelle iniziative che porta avanti. Sono passati otto mesi dalle elezioni regionali e da quando la nuova Giunta governa l’isola. Consapevole di tralasciarne altri, sottolineo soltanto due aspetti della sua politica per mettere in evidenza come i progetti avviati per realizzare gli impegni assunti durante la campagna elettorale vadano in direzione del tutto opposta.
(1) Il piano per l’occupazione, tanto proclamato durante la campagna elettorale al punto che si è fatto ricorso (verbale) all’aiuto di Putin, va avanti nel Sulcis con la chiusura di importanti stabilimenti industriali come l’Eurallumina, l’Otefal, la Rockwool e di decine di imprese delle manutenzioni e dei servizi. A Portotorres e ad Ottana le prospettive non sono diverse.
Proprio in questi giorni si è svolta una delle innumerevoli riunioni, questa volta con L’Eni, nel tentativo di raggiungere un accordo che consenta la ripresa delle attività a Portotorres, ma nuovamente le decisioni sono state rinviate ad incontri successivi che, se si faranno, sanciranno il ridimensionamento delle attività produttive e dell’occupazione. Poco importa se i lavoratori, esasperati, salgono sulle torri degli impianti e rivendicano un’attenzione da parte delle forze politiche anche quando non sono in corso campagne elettorali.
Ma questa Giunta non riesce a programmare neanche un piano che avvii un sistema energetico alternativo. Paradossalmente in queste settimane, nel pieno della crisi industriale, si è parlato di un progetto grottesco che prevede la creazione di energia eolica da realizzare nel litorale del Sinis! E non è improbabile che la massiccia opposizione contro questo progetto venga usata per giustificare l’eventuale realizzazione di una centrale nucleare, magari argomentando la decisione col fatto che non si possono rifiutare tutte le iniziative che prevedono sviluppo e occupazione!
(2) Ma se il piano per l’occupazione è questo appena delineato, quello definito per la casa raggiunge il livello dello scandalo. Prevede l’ampliamento fino al dieci per cento delle case nella fascia dei 300 metri dal mare, giustificato con l’intento, che definirei nobile, di migliorare la qualità architettonica e applicare le norme sul risparmio energetico. Non solo viola la normativa del Codice Urbani, non solo non garantisce la casa a chi non l’ha, ma rappresenta un attacco senza precedenti al patrimonio ambientale della nostra regione. L’obiettivo non dichiarato ma sin troppo evidente è quello di trasformare le coste in una colata di cemento. Gli assessori regionali hanno un bel coraggio a sostenere (Silvestro Ladu, Pdl), che l’iniziativa legislativa ha una triplice valenza; rilancia il settore edilizio e contribuisce in modo determinante alla soluzione del problema abitativo, dà una boccata d’ossigeno all’economia e all’occupazione ed è immediatamente operativa, cosa molto rara in questi tempi.
L’unica verità di questa valutazione è l’immediatezza operativa, il resto caratterizza il ruolo della Giunta come un organo al servizio di faccendieri senza scrupoli.