Considerazioni sulla questione sarda
1 Ottobre 2010
Il compagno Vincenzo Pillai ci ha mandato questo intervento che affronta i temi del dibattito in corso. Lo pubblichiamo volentieri
Vincenzo Pillai
Il dibattito in corso nell’ultimo anno ha fatto compiere, almeno in apparenza, un notevole passo avanti nella discussione sulla questione sarda come questione nazionale in sé, anche se non vanno ignorati gli intrecci con la questione meridionale. E’ ovvio che le analisi del perché e del come si sia giunti in Sardegna allo sfascio economico e sociale che peggiora di giorno in giorno , variano a seconda del punto di vista che si assume rispetto alla lotta di classe, alla lotta di liberazione nazionale e a come si sono sviluppate senza intrecciarsi. Voglio provare a sintetizzare in alcune proposizioni le conclusioni a cui sono giunto per ora, sperando di fare cosa utile.
1) la Sardegna non è una terra povera come in molti vogliono farci credere o ripetono inconsapevolmente per ottenere, forse, benevolenza. La Sardegna è ricca di risorse naturali e di cultura; i sardi, moltissimi sardi sono poveri e si impoveriscono ogni giorno che passa perché stretti in un meccanismo di colonizzazione che definisco “interna” solo perché non ha le caratteristiche dell’aperta violenza tipica nelle colonie classiche
2) ciò non significa che non vi siano state repressioni violente ma che ha prevalso la funzione di mediazione autocolonizzante della nobiltà ,prima, della borghesia compradora e grandi proprietari terrieri, dopo.
3) questa funzione autocolonizzatrice è il centro della nostra storia, il tumore maligno ; ha pervaso man mano tutte le forme di aggregazione che si sono sviluppate : sindacati, partiti, le associazioni più disparate e, ovviamente, le istituzioni rappresentative a tutti i livelli.
Chi si è posto controcorrente è stato sconfitto , progressivamente inglobato o emarginato.
Persino Lussu, che poteva contare su una conoscenza del popolo e su un carisma personale ineguagliati, ha ceduto alla necessità di pensare la vittoria del socialismo come lotta da condurre prioritariamente in tutta Italia a vantaggio,quindi ,anche della Sardegna e i suoi epigoni sardisti hanno funzionato ,nel suo nome, da mediatori economici e culturali con uno Stato che nella mediazione trovava lo strumento per eccellenza dello sfruttamento coloniale senza l’uso continuo delle baionette. Non diversamente il quadro dirigente del Pci e Psi del dopoguerra, dopo aver sconfitto quanti volevano un partito comunista sardo, hanno trovato nella battaglia per la RINASCITA , rappresentata come aiuto dovuto dallo stato , il veicolo ideologico per sopire il ribellismo e non incanalarlo nella difficile strada della saldatura fra lotta di classe e lotta di liberazione nazionale. Questo processo ha impedito sia la formazione di una classe operaia in sé e per sé, sia la trasformazione di un popolo in una nazione sarda in sé e per sé.
4) non esamino qui il ruolo degli altri partiti ,dei sindacati, della chiesa perché, pur con contraddizioni interne (per il riaffiorare carsico del sentimento di nazione e della consapevolezza che si stava consumando subdolamente un genocidio), hanno svolto il ruolo per il quale erano nati : mediare, dentro il modo di produrre e di consumare del capitalismo, le spinte alla ribellione, le analisi e le proposte che soggetti numericamente poco rilevanti proponevano.
Il collettivo Città-campagna, Democrazia proletaria sarda, le organizzazioni neo sardiste (tutti assenti dalle istituzioni per la propria debolezza e insufficiente legame di massa; anche perché Pci e Psd’az hanno saputo isolarle mettendo elettoralmente a proprio frutto la stagione delle grandi lotte) , hanno potuto solo alimentare quella fiammella che ravviva il dibattito di quelle stesse forze politiche che oggi con clamore e con non poca confusione lessicale, indicativa della confusione e della mistificazione dei propositi, discutono nel consiglio regionale.
5) rimandando ad altro scritto l’analisi , anche se solo parziale, dell’operato di Soru, voglio qui sottolineare che l’apertura della vertenza con lo Stato per la restituzione della quota parte delle tasse incamerate dallo stesso mentre spettavano alla Sardegna, d’azione costituisce un’intuizione e un avvio tanto geniale quanto mal condotta. O, meglio: geniale perché è riuscita a fare chiarezza e a saldare in un fronte ampio tutti coloro che fino ad allora avevano permesso ,più o meno consapevolmente, il furto; mal condotta solo dal mio punto di vista , perché non è stato utilizzato il potenziale di lotta e consapevolezza che stava crescendo, ma condotta certamente bene se si prende a riferimento la continuità dello scambio diseguale. Soru ha firmato con lo Stato un compromesso di scaglionamento della restituzione del mal tolto in trance che ,se mai verranno pagate, avranno un valore puramente monetario, come bene evidenzia la discussione in corso. Mentre quella è stata una delle più importanti occasioni politiche che i sardi hanno avuto nel dopoguerra per riconoscersi come nazione derubata e lanciare una lotta che avrebbe progressivamente saldato insieme tutti i temi dell’identità: dal diritto alla valorizzazione della propria cultura e lingua al diritto di progettare uno sviluppo ecocompatibile con un rapporto industria-agropastorizia fuori dai canoni imposti dalle multinazionali dell’energia,dell’alimentazione e del turismo; dal diritto ad avere rapporti diretti con altre nazioni senza farsi giocare sul tavolo dei compromessi dal governo italiano, al diritto di decidere con chi stabilire un rapporto federalista privilegiato.
Invece ha nuovamente trionfato la cultura dell’autocolonizzazione e lo stretto rapporto esistente da tempo fra Prodi (allora presidente del consiglio) e Soru ha favorito quello schifo di mercato ,con dentro anche il g8, che ha portato l’intera sinistra alla sconfitta anche elettorale. Si potrebbe dire che ha barattato la primogenitura di essere leader riconosciuto di una nazione risvegliata con un piatto di lenticchie con contorno fasullo! E’, dunque, la sconfitta politica ad essere particolarmente pesante. Perché avviene in un contesto mondiale in cui il capitalismo, di fronte alla crisi di sistema, messa in luce e non prodotta, come vogliono farci credere, da operazioni finanziarie, attacca salari e diritti nei luoghi di lavoro e nella società conquistati in Europa con cento anni di lotte e milioni di morti. Ancora una volta in Sardegna colonizzatori e autocolonizzati ci propongono il percorso del compromesso con formule arzigogolate che possono trascinarci in una discussione sempre più lontana dalla sostanza delle cose, presentandoci come più facili da raggiungere obbiettivi fasulli. Sapremo rispondere ,dopo tante faticose esperienze, che vogliamo unificare in una sola lotta le vertenze per il lavoro e per il pane con un’azione decisa per la liberazione nazionale? Che per fare ciò occorre dotarsi di una organizzazione veramente democratica e del tutto autonoma dalle direzioni dei partiti che operano in Italia e non per questo incapace di fare lotte comuni sui diritti fondamentali con tutti i popoli d’Italia e del mondo? Lotta di liberazione nazionale e lotta di classe si qualificano reciprocamente , si danno forza, allontanano le anime morte della politica e della cultura, gli opportunisti nascosti sotto i più diversi colori e sempre pronti a cambiare casacca. Per continuare questa discussione con spirito critico e senza pregiudizi, facendo tesoro degli interventi,dei suggerimenti emersi oggi, siamo tutti invitati, siamo tutti autoinvitati per non essere autocolonizzati.