Conte dice no al carbone e alla dorsale del gas in Sardegna
6 Ottobre 2019[Antonio Muscas]
Dopo lo smacco del benestare alla realizzazione della dorsale del metano nel tratto sud dell’isola da parte dell’ufficio tecnico del ministero dell’ambiente avvenuto in concomitanza con lo sciopero mondiale sul clima, finalmente Conte, durante la sua visita in Sardegna del 2 ottobre, ha ristabilito un po’ l’ordine esprimendo senza indugi la contrarietà del governo ad ogni ipotesi di proroga per il carbone e alla realizzazione della dorsale per il metano in Sardegna.
Una boccata d’ossigeno pur senza troppe illusioni. Dopo le enormi pressioni esercitate da sindacati confederali, confindustria sarda e tutti i governi succedutisi alla guida della Sardegna negli ultimi vent’anni, l’insistente campagna condotta da parte dei maggiori quotidiani isolani e italiani per promuovere un progetto obsoleto, antistorico, esoso e disastroso per il nostro futuro e la nostra economia, la dichiarazione di Conte ha fissato un fermo vincolo sull’indirizzo energetico, sebbene il suo no alla proroga al carbone e alla dorsale non faccia la necessaria chiarezza sui piani per affrontare la transizione.
Dal canto nostro, seppure riteniamo vitale scongiurare l’inutile e arrugginito tubo, siamo consapevoli degli enormi sforzi economici e umani richiesti da un programma che abbia in prospettiva una società totalmente “rinnovabile” o almeno a minimo impatto. Proprio per questo diviene ancora più urgente evitare deleterie perdite di tempo e intraprendere immediatamente la strada della transizione.
E, a dire il vero, sono già numerosi i soggetti attivamente coinvolti in questo processo, consci delle innumerevoli opportunità presenti, e ove unione europea e numerosi enti pubblici stanno svolgendo la loro parte. Il nostro futuro si chiama comunità energetiche e sarà costituito da isole di autoproduzione e scambio in cui la comunità tutta sarà coinvolta nella produzione e gestione dell’energia.
Mettere insieme e far funzionare correttamente le comunità energetiche necessiterà di investimenti notevoli in termini economici e umani: gli enti pubblici dovranno non esclusivamente destinare fondi per la loro realizzazione finanziando la ricerca, la sperimentazione e lo sviluppo ma si dovranno occupare anche della formazione di figure professionali di alto livello e contare sulla collaborazione di tutti i cittadini attraverso l’educazione all’utilizzo maggiormente consapevole delle risorse e dell’energia.
Come facilmente si può comprendere, realizzare piccoli e numerosi nuclei di produzione e farli dialogare tra loro al fine di gestire in maniera ottimale produzione, consumo e scambio, implica sviluppare e mettere a punto complessi e articolati sistemi di comunicazione, controllo e gestione.
Poiché stiamo comunque parlando di una quantità considerevole di impianti di produzione e di sistemi di accumulo – non esenti da conseguenze ambientali e in cui persistono problemi di sfruttamento intensivo delle risorse – al fine di ridurre al minimo l’impatto e le spese di realizzazione e gestione, si dovrà fare in modo di ottimizzare l’intero sistema abbattendo drasticamente i consumi e sfruttando a pieno ogni chilowattora di energia prodotta o accumulata. Ciò significa mettere in rete, far dialogare e gestire a diversi livelli tutti i produttori e gli utilizzatori, inclusi veicoli e sistemi che per diverse ragioni hanno necessità di disconnettersi dalla rete per determinati periodi di tempo. Missione certo ardua ma capace di liberare e mettere in circolazione intelligenze, saperi e conoscenze; e a esserne coinvolti saranno tutti i settori, dalla scuola fino alla più piccola e remota attività, sia essa produttiva, culturale o di qualunque altro genere, già ché non esiste campo in cui attualmente l’energia non abbia un ruolo. Significa predisporsi alla creazione di nuove e numerose figure, ove già oggi sono in tanti a muoversi autonomamente e investire convintamente in questo percorso.
Per fare un esempio, basti pensare all’agricoltura, le cui aziende di settore sono ancora oggi prevalentemente a conduzione familiare. L’auspicata istituzione di un distretto biologico sardo avrebbe necessità di alta tecnologia, intensa e capillare, utile ad una gestione attenta e razionale del suolo e delle risorse naturali, all’ottimizzazione e razionalizzazione di tutte le fasi dei processi produttivi. Numerosi sarebbero i tecnici coinvolti per i prodotti e i relativi sistemi produttivi, la micromeccanizzazione agricola e la pianificazione, la progettazione e la gestione dei sistemi di irrigazione, lavorazione, raccolta, trasformazione e trasporto dei prodotti. Oggi agricoltura e allevamento sono tra i settori maggiormente responsabili delle emissioni climalteranti, del consumo energetico e di suolo. Una pianificazione accorta con obbiettivi e investimenti sostanziali e certi, potrebbe ribaltare lo scenario e trasformare un problema in una eccellenza.
In tutto questo variamente colorato, affascinante e non privo di trappole scenario futuro, c’è la nostra realtà sarda fatta di centrali a carbone e scarti di lavorazione del petrolio, di fallimentari, fallite e velenose industrie energivore, di assalto del territorio a opera di società del finto rinnovabile e degli attori ancorati tenacemente al disastroso passato, l’unico in grado di garantire loro un posto in un mondo in continua evoluzione che li terrorizza.
L’arretratezza e inadeguatezza del nostro governo sardo, dei rappresentanti dei sindacati confederali e dalla stessa confindustria sarda, è resa evidente dalla inarrestabile moria del tessuto produttivo, dall’impressionante abbandono scolastico, dalla nuova emigrazione di massa, dalle distese sempre più ampie di territorio abbandonato, contaminato o sottratto alla sua naturale vocazione.
È illuminante la recente vicenda della centrale a carbone di Portoscuso. Mentre le organizzazioni sindacali confederali da anni si stracciano le vesti per difenderne la sopravvivenza, chiedendo insistentemente la deroga all’uso del carbone in Sardegna almeno fino al 2030 in quanto funzionale al riavvio dell’Eurallumina, il Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE), a seguito dell’installazione del primo compensatore sincrono di Codrongianos (SS), che ha consentito il miglioramento delle condizioni di esercizio del sistema elettrico sardo, il 31 dicembre 2014 ha comunicato la non essenzialità della centrale a carbone di Portoscuso non rinnovando l’autorizzazione integrata ambientale e destinandola così alla dismissione.
E a proposito di Eurallumina, che dalla centrale a carbone avrebbe dovuto, sulla carta, ricevere il vapore, è degna di nota la deliberazione n. 9/66 del 22 febbraio 2019 con la quale l’allora giunta Pigliaru, in merito al procedimento di ammodernamento dello stabilimento, non potendo “escludere con ragionevole certezza, la presenza di impatti negativi del progettato intervento sulla salute della popolazione e dei lavoratori dell’area interessata, né la possibilità di un’alterazione negativa di una situazione ambientale caratterizzata da particolare sensibilità e da fragilità della popolazione” ha dato “atto che, nel rispetto del principio di precauzione, data la mancanza degli elementi sopra richiamati, non si possa procedere alla conclusione del procedimento”.
In sintesi, precedente governo Pigliaru e attuale governo Solinas, organizzazioni sindacali confederali difendono a spada tratta l’uso del carbone e spingono per la riapertura dello stabilimento Eurallumina, ma nel frattempo le autorizzazioni per la riapertura dello stabilimento per evidenti problemi di natura ambientale e sanitaria non possono essere concesse dallo stesso governo regionale e le centrali a combustibile fossile vengono dismesse come banale conseguenza delle modifiche dell’assetto energico: vengono disattivate come fatto casuale, senza pianificazione utile a mettere in atto piani di riorganizzazione economica, lavorativa e sociale.
Politici e sindacalisti, ancora una volta vengono preceduti dalla realtà, impossibilitata ad attendere la loro inadeguatezza. E così, mentre noi lottiamo per il sacrosanto diritto alla salute nostra e dell’ambiente e rivendichiamo il nostro ruolo nei processi decisionali del nostro territorio, mentre noi lottiamo per garantirci un futuro sano e decoroso, loro, oramai fuori dal tempo, restano ancorati all’età del carbone.
6 Ottobre 2019 alle 14:27
Il rapporto tra privati ed enti che gestiscono i ricavati della produzione di energie non inquinanti (mi riferisco al fotovoltaico domestico il cui impianto non è a costo zero, anzi), è una lotta all’ultimo sangue. Personalmente, me ne sono pentita, per quanto ho speso in danaro e tempo per cercare, inutilmente, di regolarizzare certi dettagli burocratici. Così sono doppiamente in perdita.
6 Ottobre 2019 alle 14:38
Giustissimo ma ad oggi è ancora utopia. Non solo l’energia andrebbe trattata così, ma tutte le fonti di reddito dall’agricoltura all’allevamento al turismo e il trasporto. Per esperienza datal’età, posso dire di avere conosciuto tanti talenti in vita mia che si sono persi per mancanza di fondi, capitali di investimento e conduzione. Abbiamo la possibilità del biologico alimentare perchè siamo forse l’unica regione non ancora inquinata per la maggior parte del territorio. Mancano gli indirizzi perchè mancano i programmi e le idee di sviluppo. Chi va a governare prende il suo compito esclusivamente per la ricerca e il consolidamento del consenso partitico fregandosene altamente della gente amministrata.