Contorni – Identità (1)
16 Dicembre 2014Giulio Angioni
La nostra specie può vivere solo in società e ha pensieri e sentimenti di appartenenza, di gruppo, identitari. Nella contingenza dei nostri tempi, la fine della guerra fredda ha rimesso in questione la geopolitica dei sentimenti identitari. L’attenzione a ciò che si dice variamente identità ha prodotto molti discorsi di vari specialismi e anche interdisciplinari. Non è il caso di tentarne una rassegna. L’oggetto problematico di ogni antropologia, si sa, è la pluralità e insieme l’unicità o identità culturale dell’umanità: la coppia inscindibile di invarianza-variazione culturale. Così ha sempre detto a modo suo anche il senso comune, come quando afferma che più il mondo cambia e più è la stessa cosa. La pluralità delle forme di vita fa l’identità e l’unicità della nostra specie, predisposta a vivere mille vite diverse, che però nei singoli individui si riduce sempre a una troppo spesso senza nemmeno riuscire ad apprezzarne o a immaginarne altre. Sempre implicati in convivenze e vicinanze tra più o meno diversi universi culturali, l’esperienza della diversità di modi di vivere porta spesso a giudizi di valore, sulla base del sapere garante dell’identità del proprio gruppo, su di noi rispetto agli altri e sugli altri rispetto a noi.
All’ingrosso oggi si distinguono, si compenetrano e si confrontano nel mondo, comunque in Occidente, almeno due modi di sentire la molteplicità delle forme di vita in compresenza più o meno armonica, o in competizione più o meno acuta. Da una parte si considera la molteplicità culturale come un valore, anche quando problematico, e quindi un disvalore l’omologazione culturale. Ciò può portare a considerare sacrosanta la difesa della propria identità insidiata dall’omologazione o globalizzazione o mondializzazione. La mondializzazione, dall’altra parte, almeno con cose come i diritti dell’uomo e anche della natura, si rifà positiva ogni volta che si ha a che fare coi guai di etnicismi egoistici, per esempio alla maniera delle leghe padane, o violenti, per esempio alla maniera recente dei popoli ex jugoslavi, e più in generale ogni volta che si ha a che fare con le diversità asimmetriche anche planetarie del potere economico, politico, militare, mass-mediatico, religioso, linguistico e così via.
Oggi lo stato del mondo, riguardo alle situazioni e ai sentimenti di appartenenza e di identità che più contano, tende a dividersi e a dividerci in due grandi appartenenze fondamentali, ma troppo implicite e ovvie per essere tenute abbastanza in conto anche in tema di identità e del suo uso inflazionato, due grandi appartenenze (dentro una ancora più grande) che è utile esplicutare proprio per vedere meno sfocate situazioni particolari e locali, come quella sarda, o anche come quelle, poniamo, palestinese o curda, in quanto casi differenziati di una fenomenologia varia ma anche unitaria. Mentre palestinesi o curdi hanno probabilmente soprattutto dubbi e incertezze, è abbastanza sicuro che baschi o sardi oggi nel mondo si sentono e si qualificano come occidentali, sebbene con qualche incertezza. Un’isola un tempo remota ed esotica come la Sardegna sta e vuole stare nel Nord del mondo, libero e civile, parte dei paesi ricchi; mentre c’è tutta un’altra parte da cui anche i sardi o i baschi o i corsi si sentono e vogliono sentirsi diversi, che diciamo Terzo Mondo e giù di lì, paesi poveri, Sud, popoli in via di sviluppo e così via distinguendo.
In una situazione bipolare di questo genere, che cos’è il problema delle varietà e delle appartenenze minori e minoritarie perché incorporate in formazioni statuali più ampie? I loro modi d’essere e di sentire possono essere visti meglio nella loro importanza e nelle loro dinamiche se oggi le identità minori si guardano dal punto di vista dei problemi complessi che derivano dalla necessità di fare i conti con le due grandi differenze e appartenenze al Nord o al Sud nel mondo globale. Non è neanch’esso un fatto nuovo, ma è nuovo per la sua portata, che concerne tutto il pianeta e tutta l’umanità: è nuovo per la sua enormità che chiamiamo globalizzazione. È relativamente nuovo il fatto che oggi nel pianeta terra siamo costretti nel bene e nel male a sentirci parte di una delle due grandi partizioni, vaghe ma non per questo prive di forza identificatrice, anche armata.
Da decenni in Europa non si lesinano la pubblica simpatia e le misure di tutela verso gruppi minoritari in convivenza problematica coi maggioritari più o meno esclusivisti. Il tema delle identità o appartenenze culturali o etniche pone il problema preliminare che così si designano di solito le identità locali o minori, e tendenzialmente solo esse, per cui i giamaicani di Londra hanno una loro identità etnica, gli inglesi forse no, ma non importa, mentre gli scozzesi e i gallesi invece sì, e importa. Oggi poi il problema delle identità o etnie o diversità minoritarie interne agli stati europei integrati nell’Unione Europea è posto in modo nuovo. Dalla caduta di frontiere a Occidente e dalla costituzione di una Europa unita non pochi prevedono l’emergere sempre più rilevante di un mosaico di identità locali o minori sia rispetto all’Europa, sia rispetto agli stati che la compongono o la comporranno. È un’idea e una speranza che il nuovo assetto europeo unitario liberi dalle varie pastoie le identità locali o minori e le destini a ruoli nuovi e importanti.
(continua)
*Nell’immagine: Emanuela Volpe Identità – Dipinto donne velate